Secolarizzazione, il bello della fede senza supporto sociale

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La fede è sfidata dalla secolarizzazione. Un momento drammatico, ma anche un tempo di grazia e di opportunità: l’occasione di un’adesione autentica, ragionata e non scontata. Un piccolo popolo cristiano che sceglie di esserlo con convinzione e senza conformismo.


 

Anche in Spagna, la Chiesa si interroga sulle sfide della secolarizzazione alla fede e sulla crisi della società occidentale.

Mentre al di fuori dell’Europa e dell’Occidente la fede sembra in crescita e i seminari si riempiono, in Spagna e tanti Paesi si assiste a una lenta regressione.

In un recente intervento mons. Luis Argüello, arcivescovo di Valladolid e presidente della Conferenza Episcopale Spagnola ha infatti riconosciuto che «non si può più dare per scontata la conversione, né la trasmissione della fede, né l’iniziazione cristiana».

La Chiesa, ha aggiunto, «è una famiglia di famiglie, ma per essere famiglia di famiglie è necessario che queste ci siano». E non è più scontato che ci siano le famiglie, né che la fede orienti le loro scelte e, infine, «non si può dire che solo perché sei nato in Spagna sei cattolico».

E’ una lettura realistica e drammatica, sempre più persone scivolano nell’immanenza del mondo e non sperimentano la bellezza della fede. Ma per indole i cristiani sono ragionevolmente ottimisti e pensiamo ci sia una grande opportunità quando la fede non è più un elemento scontato nella vita sociale.

Un’occasione preziosa, un’opportunità per una fede finalmente più autentica e radicata.

 

Da una fede scontata a una fede consapevole

Per secoli, l’identità cattolica è stata quasi automatica e oggi non è più così. Questo passaggio, benché impegnativo, ha un lato positivo: obbliga chi rimane, pochi o tanti che siano, ad una decisione per forza di cose consapevole e, soprattutto, controcorrente.

Finché il cattolicesimo era intrecciato con le consuetudini sociali, era più alto il rischio di aderirvi passivamente, più per conformismo che per una scelta. Oggi, invece, la fede ha perso il suo status di “norma” culturale, costringendo ogni giorno i credenti a domandarsi: “Perché rimanere?”, “perché continuare a credere?”, “perché sperare contro ogni speranza?”, “quali ragioni per definirmi cattolico?”.

E’ finito il tempo della scontatezza e del conformismo, inizia quello dell’adesione ragionata, consapevole, matura. Anche per la Chiesa si apre la possibilità di costruire un popolo più autentico, certamente meno numeroso ma più consapevole.

 

La secolarizzazione purifica la fede

Inoltre, in questa condizione, la comunità cristiana si purifica.

C’è meno il rischio di un insieme indistinto di persone che aderiscono vagamente a un sistema culturale, pronte a tradirlo a seconda del vento del progresso. Piuttosto, un popolo di credenti che scelgono certi valori (anche etici) e intendono testimoniare Cristo anche a costo di essere minoritari o controcorrente.

E’ quello che è avvenne all’inizio del cristianesimo, dove la vitalità di testimonianza della Chiesa primitiva era questione di vita o di morte. Ed è ciò che accade oggi in tanti Paesi musulmani, dove i cristiani sanno che se si recheranno a Messa metteranno a rischio la loro vita. Questo impedisce qualunque adesione formale alla fede, costringendo a far emergere l’essenziale e il ciò per cui vale la pena vivere.

Come il seme deve morire per portare frutto (Gv 12,24), più la società si secolarizza e si allontana dal “costume sociale” del cattolicesimo, più la Chiesa ha l’opportunità di sopravvivere con una fede più autentica, depurata, rimanendo sempre capace di attrarre non per inerzia sociale ma per la vitalità e la forza di un Vangelo consapevolmente vissuto.

 

Una sfida che richiede coraggio e formazione

Si tratta certamente di un paradosso, di una provocazione. Ed è una sfida non facile.

Esige coraggio e formazione perché vivere la fede in un mondo che non la considera più ovvia richiede cristiani che conoscano innanzitutto il contenuto della loro fede, che siano capaci di rispondere alle domande del mondo contemporaneo con ragione e carità.

E che siano disposti a incarnare il Vangelo nella loro quotidianità.

È un tempo più difficile, rischioso e impegnativo. Ma forse, proprio per questo, un tempo di grazia, in cui la luce della fede può brillare con maggiore intensità nel buio dell’indifferenza.

Autore

La Redazione

1 commenti a Secolarizzazione, il bello della fede senza supporto sociale

  • Cook ha detto:

    Tutto ciò è vero… ma è anche sintomo di una profonda crisi dell’Occidente. I cristiani continuano ad aumentare in tutti i continenti, soprattutto dove sono perseguitati. E, caso strano, stanno aumentando anche in paesi ormai considerati “ateizzati” come la Svezia, in cui l’incremento negli ultimi anni è stato considerevole. Gli unici paesi in cui la tendenza è al contrario sono appunto i nostri, l’Europa in cui si è giocata per secoli la storia del mondo, anche e soprattutto grazie al cristianesimo. Segno che i nostri paesi stanno abbandonando la propria identità e non per colpa di chi viene da fuori… ma piuttosto per colpa di ciò che ci portiamo dentro.

    Non è la fede cristiana che non sa più parlare all’Europa… è l’Europa che non sa più parlare all’uomo.