Il fisico Brian Keating: «Segni di un Dio, negarlo è banale»

Il fisico americano Brian Keating riflette sulla bellezza e l’ordine dell’Universo individuando i segni di una benevolenza e di un Dio progettista. In un suo recente podcast lo scienziato ha risposto alle tesi antireligiose di Steven Weinberg.


 

Brian Keating è uno dei fisici più importanti degli Stati Uniti.

Attualmente è docente presso l’Università della California, nonché membro delle più importanti società scientifiche americane. E’ specializzato nello studio della radiazione cosmica di fondo e della sua relazione con l’origine e l’evoluzione dell’universo.

Molto interessante è anche la sua opera di divulgazione scientifica, in particolare attraverso il podcast chiamato Into the impossibile, al quale invita di volta in volta premi Nobel, scienziati, scrittori ed altri esponenti della cultura per lunghi dialoghi, non solo scientifici.

Recentemente, ad esempio, hanno partecipato Noam Chomsky, Roger Penrose, Reinhard Genzel, Paul Davies e anche l’italiano Carlo Rovelli. Non di rado le discussioni affrontano tematiche teologiche e religiose, Keating si è infatti spesso occupato dell’interazione tra scienza e fede.

Keating si definisce agnostico ma nell’ultima puntata ha sorpreso molti dei suoi lettori e ascoltatori parlando di «segni di benevolenza e di un progettista».

 

Keating: “Banale negare i segni di un Dio”

Qualche settimana fa l’eminente fisico ha infatti dedicato un podcast al premio Nobel Steven Weinberg, deceduto nell’estate scorsa, celebre fisico che Keating ha definito «il miglior ospite che non ho mai avuto».

Tuttavia, ha affermato Keating, «oltre ad essere uno scienziato brillante, Weinberg aveva anche idee eccessivamente semplicistiche sulla religione e sui credenti. Spesso sosteneva che la scienza, nella sua forma migliore, dovrebbe rendere la religione meno plausibile».

Verso la fine del suo intervento su Weinberg, pur respingendo (giustamente) l’idea di una prova scientifica di Dio e le tesi dell’Intelligent Design, Brian Keating ha mostrato che pur partendo dalle stesse considerazioni dell’ateo Weinberg, si può giungere a conclusioni totalmente diverse.

Riflettendo sul quadro meravigliosamente eloquente e dolce espresso dalla bellezza e dall’ordine universale, infatti, ha commentato: «Dire che non ci sono segni di benevolenza e di un progettista [“designer”], anche dal punto di vista di un laico penso sia un’idea molto banale, semplicistica e sofistica che non mi sarei aspettato da Weinberg».

 

Steven Weinberg nostalgico della “gloria di Dio”

In molti sanno che Weinberg divenne noto in particolare anche per la frase: «Più conosciamo l’Universo e più appare senza scopo».

Pochi sanno (e nemmeno Keating sembra saperlo) che, tuttavia, diversi anni dopo -come abbiamo scritto in una nostra Ultimissima del 2017-, lo stesso Steven Weinberg ritrattò parzialmente quelle parole e si mostrò molto meno positivista, quasi nostalgico verso Dio.

In un suo testo del 1993, Weinberg scrisse infatti:

«Nel mio libro del 1977, “I primi tre minuti”, fui tanto imprudente da osservare che “più l’universo appare comprensibile, più appare senza scopo”. Non volevo dire che la scienza c’insegna che l’universo è senza scopo, ma che l’universo stesso non ci suggerisce nessuno scopo, e subito dopo aggiungevo che noi stessi possiamo inventare uno scopo della vita, magari quello di cercare di capire l’universo. Ma ormai il guaio era fatto, e da allora quella frase mi ha sempre perseguitato. […]. La risposta che mi è piaciuta di più è stata quella dell’astronomo Gerard de Vaucouleurs, mio collega all’Università del Texas, il quale disse di trovare “nostalgica” la mia osservazione. Lo era davvero; era piena di nostalgia per un mondo nel quale i cieli narrano la gloria di Dio»1S. Weinberg, Il sogno dell’unità dell’universo, Mondadori 1993, pp. 263-264.

La redazione

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