Pensavano di abortire, dissi loro la verità: oggi quel bimbo è salvo

giuseppe talamonti

Il neurochirurgo Giuseppe Talamonti affida a UCCR il racconto di un caso recente che gli è capitato. Un esempio di cosa significa rifiutare l’ideologia “no-life”.


 

di
Giuseppe Talamonti*
 
 
*Neurochirurgo presso presso Ospedale Niguarda di Milano

 
 

Mi è stato richiesto un consulto prenatale per una coppia che ha ricevuto diagnosi di malformazione fetale in un altro ospedale.

Sono due ragazzi con gli occhi spauriti. Hanno una settimana per decidere se abortire.

 

La diagnosi di spina bifida e l’aborto già fissato

L’altro ospedale non aveva ancora comunicato la diagnosi ai genitori che già aveva fissato la data per l’interruzione di gravidanza. Ai due era crollato il mondo addosso.

Gli hanno detto che, se nascesse, il bambino avrebbe una Spina Bifida e sarebbe “inchiodato su una sedia a rotelle, incapace di camminare e di urinare spontaneamente”. Inoltre avrebbe un idrocefalo che comporterebbe gravissimi problemi mentali.

Il suo destino sarebbe di essere “un handicappato totale fin dalla nascita”. Sono sconvolti.

 

L’incontro con un medico obiettivo e pro-life

Insieme ai miei ostetrici esaminiamo tutta la documentazione. Facciamo una nuova ecografia. Alla fine dico loro quello che penso. Ci vorrà una risonanza magnetica fetale, però secondo me le cose stanno così: ha i ventricoli cerebrali un po’ più dilatati del normale, ma non è detto che sia patologico.

Potrebbe anche non avere idrocefalo, seppure io non possa escluderlo. In ogni caso, se anche lo avesse, oggi l’idrocefalo può essere curato con un intervento. Ho pazienti operati che fanno una vita normalissima.

Certo non tutti. Ci sono anche quelli che vanno male, ma non possiamo prevederlo adesso.

Per quanto riguarda la Spina Bifida, l’ecografia mostra che il feto ha tutti i movimenti, cioè significa che non è paralizzato. Se non lo è adesso, probabilmente non lo sarà neanche dopo la nascita. Al massimo potrebbe avere problemi sfinterici ma probabilmente non alle gambe.

Sono stato obiettivo. Non ho nascosto i problemi. Non li ho minimizzati lasciandomi influenzare dalle mie posizioni pro-life.

Ho semplicemente dato ai problemi la corretta prospettiva.

I due genitori hanno un’altra faccia. Dico loro che, se decideranno di interrompere la gravidanza, ci sarà comunque qualcuno che si prenderà cura di loro. Tuttavia, la loro decisione potrà essere assunta su base ponderata e non emotiva.

Devono decidere se rischiare oppure no, ma non è vero che non ci sono speranze.

Mi chiedono come mai, nell’altro ospedale, era stata loro presentata una situazione senza prospettive. Allargo le braccia. Avranno incontrato qualcuno per cui la propria ideologia eugenetica conta più dell’obiettività scientifica.

Non so cosa decideranno. Sono due giovani “tirati per la giacchetta” in un gioco più grande di loro.

 

La scelta della vita sull’eugenetica

Sono passati alcuni mesi. I genitori hanno ascoltato il mio consiglio e hanno portato a termine la gravidanza.

Questa è una di quelle situazioni che mi riconciliano col mio mestiere.

Il padre ha cambiato faccia che quasi non lo riconoscevo. La madre è raggiante. Sorride e si lamenta solo di non averlo ancora potuto prendere in braccio. Il neonato è stato operato.

È presto per dirlo ma, probabilmente, con adeguata riabilitazione, sarà in grado di camminare da solo. Dopo circa una settimana è stato necessario trattarlo per idrocefalo.

Non possiamo prevedere il futuro, ma ci aspettiamo una normale funzione cerebrale. Se avrà ulteriori problemi verranno gestibili.

Un bambino con una prospettiva di vita normale (o quasi) è venuto al mondo perché i genitori non si sono rassegnati alla deriva “no-life” di “ammazziamo tutti quelli che potrebbero essere anormali”.

Oggi è un giorno in cui il Signore mi dice: “Vai avanti. Continua!”.

 

Dare speranza, nonostante tutto

E subito mi viene in mente un caso di qualche anno fa.

Una giovane donna venne a cercarmi. Sguardo altezzoso e cipiglio sicuro. Vestito firmato, orologio di marca e trucco deciso ma non eccessivo. La etichettai come la classica donna milanese in carriera.

“Dottore, lei ovviamente non mi riconosce!” Non avevo la minima idea di chi fosse.

Vent’anni fa! Lei mi ha operata!” Per me ancora buio totale.

“Forse ricorderà i miei genitori! Vennero da lei piangendo perché, all’ecografia, mi avevano diagnosticato un idrocefalo e tutti sconsigliavano di proseguire la gravidanza”.

Mi raccontò che c’era stato chi aveva accusato i genitori di essere dei sadici perché volevano far nascere una persona con un problema cerebrale di quel tipo. Io invece avevo dato loro speranza, senza alcuna certezza. Per loro era stato sufficiente.

“Lei mi operò tre settimane dopo la nascita”. Ricordai un banale intervento di derivazione che avevo del tutto dimenticato.

“Sono qui per dirle che io, che non sarei dovuta nascere, ho vinto il concorso per entrare a Medicina. Cercherò di salvare altri come me!”

Che cosa posso dire se non: “Grazie”

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Giuseppe Talamonti

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