Da filosofo laico di fronte all’invito di Leone XIV

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Il filosofo Riccardo Manzotti (Università IULM) riflette sull’invito di Leone XVI alla vita accademica di essere meno scientista e ampliare lo sguardo sul senso e sull’esistenza.


 

Due giorni fa Leone XIV ha pronunciato un’omelia molto profonda rivolta a studenti e ricercatori universitari.

Ha invitato loro ad aprire lo “sguardo” perché la vita accademica non dovrebbe essere una chiusura su dettagli o ambiti ristretti, ma un cammino in cui studio, ricerca e insegnamento siano strumenti per guardare in alto, verso Dio, verso gli altri, verso il senso profondo della vita.

Una proposta che sfida il mondo accademico, su cui abbiamo voluto ascoltare il prezioso punto di vista di Riccardo Manzotti, filosofo non credente che condivide il richiamo del Papa a uno sguardo ampio e non scientista.


 

di
Riccardo Manzotti*
 
 
*docente ordinario di Filosofia Teoretica all’Università IULM di Milano

 
 

Il monologo del Faust di Christopher Marlowe del 1590 si apre con queste parole brucianti:

«Saper discutere, è questo il fine della logica? Non leggere più allora, hai già raggiunto questo fine; l’ingegno di Faust vuole un tema più grande».

Il grande Faust, mosso dal suo inesauribile Streben —un’ambizione senza limiti— non accetta di ridurre il suo ruolo di dotto alla semplice trasmissione di conoscenza: ci deve essere qualcos’altro.

Che cosa è questo «tema più grande» che non si riduce al semplice discutere e saper fare ragionamenti logici? Che cosa cerca l’ingegno di Faust oltre le parole e la conoscenza, che sono, appunto, il limite dell’accademia? Sono la vita e le scelte esistenziali che, senza essere irrazionali, vengono prima della logica.

 

Non solo fatti empirici

Non siamo soltanto libri, lettori e scrittori, ma persone che esistono e vivono. In questo percorso non possiamo evitare di fare scelte esistenziali la cui criticità è affrontata, ma non risolta, dall’etica.

Per chi crede —per onestà devo confessare di non essere tra questi— la religione offre una rivelazione.

Tuttavia, sia che lo si cerchi nell’esistenza di tutti i giorni, sia che si creda a una rivelazione trascendente, il nostro sapere non si riduce esclusivamente a una concatenazione di fatti empirici e di proposizioni induttivo-deduttive: il nostro esistere guarda in alto, guarda alla vita.

 

L’apertura esistenziale e la ricerca scientifica

L’omelia di Leone XIV ha una dimensione esistenziale che tocca da vicino il ruolo della formazione scolastica e accademica, nonché quello della ricerca che, da troppo tempo ormai, è diventata pura trasmissione di dati e nozioni allo scopo di accumulare pubblicazioni e raccattare fondi.

In questo modo, il sapere è stato svuotato della sua dimensione esistenziale, trasformando discenti e docenti in meri trasmettitori di conoscenza. L’università è diventata una fortezza Bastiani del sapere: si fanno esercitazioni, ma non si combatte.

Lo sguardo verso l’alto della donna del Vangelo, credenti o meno, rappresenta quell’apertura esistenziale che la ricerca scientifica troppo spesso ha perso.

Diceva il premio Nobel Konrad Lorenz che lo specialista è colui che sa sempre di più di sempre di meno, fino ad arrivare a sapere tutto di niente. L’esistenza umana non è infinita, ma è più di niente.

Lo «sguardo ampio» cui fa riferimento l’omelia ci ricorda che l’orizzonte dell’esistenza è sempre più vasto di quello della conoscenza.

La mentalità oggi diffusa in ambito accademico induce a confondere il corretto e l’incorretto in senso empirico e logico con il giusto o lo sbagliato in senso esistenziale. La scienza —intesa come sapere puramente informativo— ci toglie spazio di esistenza, ci fa credere che esista una soluzione logica per ogni fatto della vita.

 

Come invita Leone XIV: guardare oltre il dato

Lo scientismo è credere che la scienza possa rispondere all’enigma del vivere. Ma non è così: la scienza ci spiega come vivere, ma la vita ci richiede di porci la domanda sul perché vivere.

Ovviamente l’università non deve imporre valori, ma non deve neppure negare l’importanza o la pertinenza della domanda sulla loro natura.

Negare che esistano domande che non troveranno mai una soluzione logica è un atto dogmatico che ricercatori, professori e scienziati dovrebbero —proprio in virtù, e non nonostante, il metodo scientifico— evitare come la peste.

Per dirla con Karl Popper, a monte di ogni dato c’è una congettura; a monte di ogni misura, un’ipotesi; a monte di ogni ipotesi, un assunto. Ma, ancora più a monte, c’è il porsi della nostra esistenza di fronte a una realtà infinita, già nella sua immanenza.

Lo sguardo ampio, cui fa riferimento Leone XIV, non dice a priori che cosa si vede, ma invita a guardare oltre il dato, oltre il sapere, oltre il semplice conoscere.

È una bella metafora che sottolinea come l’esistenza umana sia tutt’uno con il fatto di essere aperti a ciò che non è ancora noto. Esistere è prima, e più, di sapere. Scienziati e ricercatori non sono solo strumenti di misura: sono esseri umani.

Riportiamo nella scienza e nelle aule universitarie l’esistenza umana.

Autore

Riccardo Manzotti

7 commenti a Da filosofo laico di fronte all’invito di Leone XIV

  • Antonio ha detto:

    Condivido tutto, c’è bisogno di un’alleanza con tutti, credenti e non credenti, su questi temi. Anzi direi tra persone di buona volontà, senza distinguerci tra chi crede e chi no

  • Paolo Giosuè ha detto:

    L’invito di Leone XIV a “guardare oltre i dati” mi ricorda due metafore che possono approfondire questa riflessione sul rapporto tra conoscenza e vita.

    La prima è del Cardinale Caffarra. Una volta ci chiese di immaginare un giovane che scrive una lettera d’amore alla sua fidanzata, che per caso cade anche nelle mani di un’altra ragazza. Chi la comprenderà più profondamente? Non chi conosce semplicemente la grammatica o la sintassi delle parole, ma la fidanzata, perché vive la relazione che quelle parole esprimono. Allo stesso modo, non si può comprendere il Vangelo, né alcun testo nato dalla fede vissuta, solo attraverso l’analisi: la comprensione presuppone la partecipazione alla vita da cui scaturisce.

    La seconda metafora proviene dal filosofo Emanuele Samek Lodovici, che paragonò l’unione di anima e corpo a quella tra luce e aria: distinte ma inseparabili, trasparenti l’una all’altra. È un’immagine calzante per la corretta relazione tra le scienze empiriche e gli ordini superiori della ragione e della grazia. Quando la conoscenza rimane aperta a ciò che la trascende, diventa luminosa; quando si isola, diventa opaco.

    Entrambe le metafore convergono sulla stessa intuizione espressa dal Papa e riconosciuta dal professor Manzotti: studio e ricerca non possono essere ridotti a soli dati e deduzioni. La vera conoscenza, come il vero amore, richiede una partecipazione esistenziale alla realtà, un’apertura a quel “tema più grande” sognato dal Faust di Marlowe e che la fede riconosce come il mistero stesso della vita.

  • Silvano ha detto:

    La lettura si questo bel commento mi ha fatto sorgere un dubbio che riguarda in generale tutto il pensiero diciamo occidentale. In altre parole, a me sembra che quando i filosofi e i maestri spirituali parlano della ricerca di una verità alta e universale si rivolgano a una parte, certo importante dell’umanità, quella parte i cui valori derivano dalle radici culturali giudaico-cristiane (vedi i riferimenti e le citazioni dei pensatori), ma non tengano conto di quella parte della popolazione mondiale le cui radici culturali di riferimento siano altre. Mi sembra di percepire una certa altezzosità, se non addirittura un atteggiamento di razzismo culturale nei confronti di molta parte della popolazione mondiale.

    • Enrico ha risposto a Silvano:

      Silvano l’ntervento di manzotti non ha a che fare con una particolare Fede. È il senso dell’apertura dell’ ateo al trascendente. Si dice che la razionalità esige l’interrogativo ultimo, non può accontentarsi degli interrogativi parziali

  • Lydia ha detto:

    Concordo: la ricerca scientista è di per sè limitata e insoddisfacente. Occorre andare oltre e cercare risposte che tengano conto dell’esistenza umana e della sua problematicità. Il dialogo è fondamentale: atei e credenti devono parlarsi. L’essere umano ha bisogno di relazioni, di attenzione, di amore. Il credente trova in Dio la fonte di questo Amore universale.

  • Roberto ha detto:

    Questo filosofo dice cose di una banalità sorprendente. E lo fa con citazioni e riferimenti. Ossia con quel fumo nozionistico che non ha nulla a che fare con la conoscenza . Mah.