Divieto di gender a scuola e analfabetismo funzionale dilagante

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Le critiche all’emendamento al ddl Valditara non c’entrano nulla con il suo contenuto. Il divieto è verso l’indottrinamento all’identità di genere non all’educazione sessuo-affettiva.


 

Dicasi alfabetismo funzionale l’incapacità di comprendere informazioni scritte.

Un chiaro esempio sta avvenendo da ieri sera, quando la Commissione Cultura della Camera ha approvato un emendamento al disegno di legge Valditara sulle attività didattiche e progettuali relative all’educazione sessuo-affettiva nelle scuole dell’infanzia e primarie e alle scuole secondarie inferiori.

Il primo passo per approvare o disapprovare è solitamente informarsi esattamente dei contenuti. Ma politici e giornalisti vivono di reazioni e pregiudizi, influenzando le masse acritiche.

Solo così si spiegano le opposizioni al ddl in nome del diritto all’educazione sessuale, senza accorgersi che il divieto riguarda la propaganda gender. Due elementi diversi, dove il primo viene usato come “cavallo di Troia” per il secondo.

 

Cosa prevede l’emendamento al ddl Valditara

Il primo passaggio, dicevamo, è capire i contenuti.

L’onorevole leghista Rossano Sasso, relatore della legge in discussione, ha fornito in un comunicato alcune precisazioni:
1) L’emendamento non vieta l’educazione alla sessualità;
2) L’emendamento esclude l’ingresso ad “attivisti ideologizzati” ed “esperti esterni” nelle scuole medie ed elementari per parlare di tematiche sessuali;
3) L’emendamento permette il punto 2) soltanto presso le scuole superiori, previo consenso dei genitori che dovranno conoscere temi e materiale didattico;

Tralasciando gli attacchi politici alla sinistra, Sasso ribadisce ulteriormente:

«L’emendamento non vieta affatto l’educazione alla sessualità né impedisce l’accesso a informazioni corrette: si limita a escludere dalle scuole primarie e secondarie di primo grado attività didattiche che esorbitino da quanto previsto dalle indicazioni nazionali, che già includono – e anzi potenzieranno – contenuti su relazioni, empatia e rispetto. Una misura pensata per garantire che i contenuti trattati siano adeguati all’età degli studenti e pienamente condivisi con le famiglie, senza delegare l’educazione su temi così delicati a soggetti esterni non sempre qualificati o imparziali».

Chiunque volesse criticare il disegno di legge dovrebbe partire da qui.

Gli schieramenti politici non ci interessano, ottime proposte su temi specifici possono arrivare dalla Lega come dal Partito Democratico.

 

La propaganda è diversa da educazione sessuale

Non c’è nessun divieto dell’informazione o dell’educazione sessuale tout court ma si pongono dei paletti verso attivisti esperti e temi trattati. Definirla “sessuofobia” è un uso strumentale del linguaggio che si potrebbe definire analfabetismo funzionale deliberato.

Si preferisce affidarsi ad una narrazione emotiva e indignata (detta anche “buttarla in caciara”) piuttosto che restare sui fatti concreti.

Ecco quindi i richiami fuori luogo alla cultura patriarcale, al femminicidio, all’attacco alla libertà di insegnamento, al “ritorno al Medioevo”. Ma cosa c’entra?

Rispettare pedagogicamente l’età degli studenti per parlare di certi temi, vietare l’ingresso nelle scuole di associazionismi controversi e chiedere che i genitori siano informati preventivamente su contenuti particolarmente sensibili sono norme di buon senso.

 

Il gender non esiste? Leggiamo i programmi

Solo una piccola minoranza di critici ha capito che la direttiva della maggioranza non si occupa propriamente di educazione sessuo-affettiva ma della propaganda gender spacciata per tale.

La risposta standard è però sempre la stessa: il gender è un’invenzione clericale o della destra clericale.

Eppure basterebbe sfogliare i programmi scolastici sull'”educazione inclusiva e senza stereotipi” usciti da progetti europei come il Boosting in Gender Equality in Education per venire bombardati dal linguaggio queer-arcobaleno (“coming out”, “outing”, “ruoli di genere”, “norme di genere”, “intersezionalità” ecc.) con l’immancabile pippone antiscientifico sull’identità di genere, definita come «l’identità profondamente sentita a livello interno e individuale, che può corrispondere o meno al sesso assegnato alla nascita».

Lo stesso appare nelle proposte formative scolastiche stilate dalla rete RE.A.DY, dove in 3 pagine il concetto di “identità di genere” viene ripetuto almeno cinque volte, con il fine di «destrutturare» bambini e bambine dalla norma eterosessuale.

E’ il solito giochino: da una parte negano l’esistenza della teoria di genere e dall’altra la introducono nei loro programmi scolatici chiamandola “identità di genere”.

 

L’educazione sessuale e la violenza di genere

A conferma del fatto che l’emendamento mira ad escludere l’associazionismo arcobaleno dalle scuole, il più scatenato di tutti in queste ore è l’onorevole Alessandro Zan. Il quale scrive che «i percorsi di educazione alla sessualità sono fondamentali anche per prevenire la violenza di genere e per promuovere il rispetto delle differenze».

L’europarlamentare non sa di cosa parla visto che è sufficiente leggere l’ultimo rapporto del Parlamento europeo sulla violenza di genere per trovare scritto: «I Paesi dell’UE in cui si registrano i tassi più elevati di violenza di genere sono Finlandia, Svezia e Ungheria».

Inutile ricordare che i primi due sono i pionieri dell’obbligo scolastico dell’educazione sessuale. La Svezia dal 1955 a partire dalla scuola primaria e la Finlandia dal 1970 a partire dai 7 anni.

A proposito di Svezia, il 45% dei bambini ha dichiarato inoltre di aver subito qualche forma di molestia sessuale nel 2024 ed il 60% ha visto o assistito a molestie sessuali tra pari almeno una volta nello scorso anno scolastico.

 

L’emendamento approvato non è un divieto alla conoscenza, ma un argine all’indottrinamento. E chi non lo capisce, è forse la prova vivente di esserne rimasto vittima.

Autore

La Redazione

3 commenti a Divieto di gender a scuola e analfabetismo funzionale dilagante

  • Paolo Giosuè ha detto:

    L’emendamento non vieta l’educazione sessuale, ma la vuole salvare dagli “attivisti”, dagli ideologi, dai relativisti morali. È la differenza tra insegnare l’amore come significato, senso e insegnare il sesso come tecnica, come potere. E’ la differenza tra il realismo cristiano e l’idealismo pagano. Proteggere l’innocenza di un bambino non è censura, ma riverenza. Come al solito, il neopaganesimo decostruzionista dominante inverte le colpe e addossa la propria colpa, ingiustizia, alla morale tradizionale, alla verità, al “Medioevo”. Ma è proprio il contrario: l’ingiustizia è di chi vuole costruire la città dell’uomo senza Dio, senza sapienza, senza vita eterna, senza legge morale intrinseca all’uomo.

    Dietro questo dibattito si cela qualcosa di più profondo della politica. Quando l’uomo dimentica di essere stato creato, inizia a ricreare se stesso – e inevitabilmente distrugge ciò che imita. La negazione della differenza sessuale non è una nuova liberazione, ma l’antica ribellione: il rifiuto di ricevere il proprio essere come un dono.

    La vera educazione, come ci ha ricordato Benedetto XVI, è un’introduzione alla realtà, non una fuga da essa. Insegnare a un bambino che la verità dipende dal desiderio, da ciò che piace, non significa liberarlo, ma imprigionarlo nella solitudine. L’emendamento ripristina semplicemente l’ovvio: che genitori e scuole devono insegnare ai bambini ad amare la verità di ciò che sono, prima che il mondo, nemico della verità, insegni loro a dubitarne, a cominciare da Cartesio, o meglio, da Protagora.

  • Antonio Iadicicco ha detto:

    Un caloroso Benvenuto all’emendamento in questione!
    Finalmente!
    Grazie per questo articolo che mi chiarisce ulteriormente dicono punti che non conoscevo.

    • Antonio Iadicicco ha risposto a Antonio Iadicicco:

      “alcuni”, non “dicono”.
      Scusatemi non mi sono accorto della modifica del T9