Sì, il cervello ha un sesso: il vero mito sono le idee femministe

cervello sesso

La neuroscienziata Martina Ardizzi sostiene che le differenze di sesso nel cervello sono un mito. Ecco cosa ne pensa lo specialista Marco Del Giudice (Università di Trieste) in questa intervista.


 

Il cervello umano non ha sesso: maschile e femminile sono luoghi comuni!

Così ha affermato la neuroscienziata Martina Ardizzi al recente Festivaletteratura di Mantova, spiegando che né il cervello né gli ormoni distinguerebbero tra uomini e donne.

Le parole d’ordine dell’intervista apparsa su “Repubblica” sono “mito”, “falso mito”, “luogo comune”, con l’obbiettivo di ridurre o annullare le differenze biologiche per esaltare i condizionamenti ambientali. Un approccio tipico dei gender studies.

Ardizzi a suo supporto cita studi e ricerche, per questo motivo abbiamo chiesto un parere a Marco Del Giudice, docente di Psicometria presso l’Università di Trieste e autore di oltre 120 pubblicazioni scientifiche sui temi del comportamento, dell’evoluzione e dello sviluppo psicologico con particolare attenzione alla psicologia evoluzionistica e alle differenze di genere.

Il prof. Del Giudice era già stato ospite di UCCR nel 2022 proprio sul tema dei gender studies.

 

Il cervello e il sesso: l’intervista

DOMANDA – Prof. Del Giudice, andiamo subito al punto sollevato dalla dott.ssa Ardizzi: esistono “due cervelli” maschili e femminili o è un luogo comune?

RISPOSTA – Non esistono due tipi di cervello rigidamente distinti tra loro, però esistono moltissime differenze medie tra cervelli maschili e femminili (nelle dimensioni, nella conformazione della corteccia, nelle connessioni tra aree diverse, e soprattutto nel funzionamento neurochimico) che prese nel complesso creano una differenza sostanziale a livello statistico.

Fermo restando che naturalmente c’è un’enorme variabilità individuale all’interno dei due sessi, nel cervello come nel comportamento, e infiniti modi diversi di essere maschi o femmine.

 

DOMANDA – Cosa intende?

RISPOSTA – Dire che ci sono grandi differenze statistiche ma anche un’enorme variabilità individuale può sembrare paradossale, ma basta pensare ai visi delle persone: non esistono due tipi rigidamente distinti di viso, uno per gli uomini e uno per le donne.

Al contrario, ci sono infiniti visi diversi, con tratti mescolati in varia misura per cui molti uomini hanno almeno qualche caratteristica più femminile (per esempio la grandezza degli occhi, il taglio della bocca, la forma delle sopracciglia, la larghezza della mascella, ecc.) e molte donne hanno almeno qualche caratteristica maschile.

Eppure, salvo rare eccezioni, l’insieme dei tratti del viso ci identifica chiaramente come uomini o donne, e sarebbe assurdo sostenere che non esistono visi maschili e femminili. Lo stesso tipo di ragionamento si può applicare alle differenze a livello cerebrale, o a quelle nei tratti di personalità.

 

DOMANDA – C’è quindi un fondo di verità nel dire che non vi sia una separazione netta?

RISPOSTA – Sì, ma questa idea spesso viene estremizzata in modo ideologico, e usata per negare o minimizzare le differenze che invece esistono. La questione delle differenze di genere è ovviamente molto “calda” e piena di implicazioni importanti per la scuola, il lavoro e la società.

Purtroppo i filoni culturali e scientifici più influenzati dal femminismo si sono chiusi in una “bolla” autoreferenziale per cui, con l’intenzione spesso sincera di “sfatare miti”, si finisce per divulgare e rinforzare quelli che sono realmente dei miti ereditati dagli anni ’70.

Per esempio l’idea che le differenze di genere siano un prodotto della cultura e della socializzazione, che le differenze a livello cerebrale siano inesistenti o comunque non importanti, che gli stereotipi di genere siano sempre infondati e dannosi, e così via.

 

I gender studies sono obsoleti

DOMANDA – Eppure ancora oggi vengono presentate come affermazioni scientificamente all’avanguardia

RISPOSTA – Chi segue l’informazione mainstream non sa quanto queste idee siano entrate profondamente in crisi, perché viene dato spazio a tutto quello che conferma le convinzioni della “bolla” e le voci discordanti non vengono neanche prese in considerazione.

Per contrastare questa inerzia culturale ho scritto un mio piccolo vademecum divulgativo in cui faccio il punto della situazione scientifica e fornisco una bibliografia abbastanza ricca per chi volesse approfondire.

Ho anche lavorato per aprire dei ponti di dialogo tra ricercatori con posizioni contrastanti tra loro, per esempio organizzando questo workshop internazionale, con presentazioni, discussioni e dibattiti tutti disponibili online.

 

Influenze biologiche e ambientali sul cervello

DOMANDA – Tornando all’intervista, la dott.ssa Ardizzi sostiene che il cervello è molto plastico, per cui risulta difficile distinguere tra influenze biologiche e ambientali.

RISPOSTA – La plasticità è sicuramente una caratteristica fondamentale del cervello; senza plasticità sarebbe impossibile anche solo apprendere nuove informazioni e comportamenti.

Ma la plasticità a livello individuale non implica che le differenze statistiche tra maschi e femmine siano dovute a influenze ambientali; si tratta di un “salto” che non è giustificato né dal punto di vista logico né da quello dei dati.

Per fare un’analogia: anche i muscoli sono plastici e si possono rinforzare con l’allenamento, ma gli uomini hanno una maggiore forza e massa muscolare grazie a fattori biologici, non solo perché si esercitano di più. E infatti le differenze di genere rimangono notevoli anche negli atleti che si allenano ai massimi livelli possibili (come i campioni di sollevamento pesi).

C’è anche da dire che è facile sopravvalutare la plasticità del cervello: gli studi genetici mostrano che sia l’anatomia che il funzionamento cerebrale hanno una sostanziale base ereditaria, che spesso è maggiore della componente ambientale.

Distinguere le influenze biologiche e ambientali non è affatto banale, ma abbiamo a disposizione diversi metodi che ci portano informazioni preziose, dalle ricerche cross-culturali agli studi sulle anomalie dello sviluppo legate agli ormoni sessuali (per riferimenti su questi temi si può vedere qui).

Detto questo, secondo me la questione più interessante è come le differenze biologiche possano modulare e “incanalare” gli effetti dell’ambiente (per esempio attenuandoli, amplificandoli, o facendo sì che maschi e femmine ricerchino diversi tipi di esperienze) in modi che portano a risultati diversi nei due sessi.

 

DOMANDA – Sempre Ardizzi sostiene che nemmeno i livelli ormonali riflettono differenze marcatamente biologiche. Per esempio, anche se gli uomini hanno “un po’ più” testosterone delle donne, i livelli di questo ormone cambiano in base agli stimoli ambientali. Cita in particolare uno studio in cui, facendo recitare a degli attori dei ruoli dominanti, il testosterone si alzava soprattutto nelle donne.

RISPOSTA – Può essere utile precisare che “un po’ di più” vuol dire almeno dieci volte tanto, una differenza così netta che i livelli normali minimi di testosterone negli uomini sono più alti dei livelli massimi nelle donne.

Dire che il testosterone non è un ormone “maschile” perché anche le donne ne producono sarebbe come dire che la barba non è un tratto maschile perché anche le donne hanno della peluria sul viso. Mi sembra un atteggiamento ideologico che porta facilmente a perdere di vista il senso delle cose.

Lo studio con gli attori a cui si riferisce la dott.ssa Ardizzi è probabilmente questo del 2015. Si tratta di una ricerca effettuata su un campione molto piccolo di appena 41 persone, con delle debolezze metodologiche che sono state notate fin da subito.

Nel corso degli anni ci sono stati diversi altri studi in cui si è cercato di alzare i livelli di testosterone facendo assumere alle persone delle posture dominanti; ad oggi, il verdetto è che questi interventi possono influire brevemente sul vissuto soggettivo, ma non sui livelli ormonali. Ci sono anche dubbi fondati sul fatto che possano modificare effettivamente il comportamento (per tutti i dettagli si può vedere qui e qui).

Attenzione: non c’è niente di strano nella possibilità che il testosterone e altri ormoni possano rispondere in modo “plastico” alle circostanze ambientali, soprattutto se prolungate nel tempo; come notavo prima, plasticità a livello individuale non significa che le differenze tra maschi e femmine siano dovute principalmente all’ambiente.

Però l’idea che semplici manipolazioni sociali (come assumere una postura dominante) bastino a modificare in modo sensibile i livelli di testosterone si è rivelata infondata. Alla luce degli ultimi dieci anni di ricerca, questo sistema ormonale sembra essere decisamente meno malleabile di come a volte viene descritto.

 

I falsi miti femministi su uomini e donne

DOMANDA – È vero che le donne vengono considerate più emotive solo perché la società le lascia più libere di esprimere certe emozioni?

RISPOSTA – Questo è un luogo comune “storico” del femminismo: a molti sembra quasi ovvio che debba essere così, ma in realtà non c’è nessuna prova che si tratti della spiegazione giusta.

Al contrario, va a cozzare con il fatto che le differenze tra uomini e donne nell’espressività emotiva, e in particolare nella frequenza del pianto, tendono ad aumentare (invece che diminuire) nei paesi con maggiore uguaglianza di genere (si può vedere ad esempio qui e qui).

È vero che le differenze sono più marcate nelle persone che si identificano in ruoli di genere tradizionali, ma questo non significa che l’identificazione sia la causa principale delle differenze. È molto probabile che, ad esempio, gli uomini con tratti di personalità più mascolini (una caratteristica in parte dovuta alla genetica e all’esposizione agli androgeni nelle prime fasi dello sviluppo) siano meno espressivi, e allo stesso tempo più portati a identificarsi con i ruoli maschili tradizionali.

A questo proposito è molto interessante considerare i resoconti delle ragazze che iniziano a prendere dosi maschili di testosterone nel corso di una transizione di genere: una delle esperienze psicologiche più comuni è che improvvisamente alcune emozioni diventano meno intense e urgenti, si piange molto meno, mentre invece aumenta la carica aggressiva della rabbia. Le persone spesso riferiscono di essere state colte alla sprovvista da questi cambiamenti emotivi, il che fa pensare che non si tratti semplicemente di aspettative che si auto-avverano.

 

DOMANDA – Passando agli aspetti più cognitivi, Ardizzi sostiene che i maschi sviluppino migliori abilità spaziali perché sono lasciati più liberi di esplorare l’ambiente e di fare giochi più attivi.

RISPOSTA – Sulle abilità spaziali vale quello che dicevo prima delle emozioni: è vero che le abilità spaziali sono in una certa misura “plastiche” e si possono migliorare con l’esercizio, ma non ci sono prove convincenti che la differenza tra maschi e femmine sia spiegata da disparità nel modo in cui vengono trattati i bambini (ne parlo più diffusamente qui).

Il fatto che, fin da molto piccoli, i maschi tendano a preferire giochi più attivi ed esplorino più delle femmine è una costante tra diverse culture, e probabilmente contribuisce ad amplificare e consolidare delle differenze nelle predisposizioni cognitive.

Molto spesso il discorso sulle differenze viene semplificato in termini di tutto o nulla: se esiste la plasticità allora la biologia non conta, e tutto può essere spiegato da fattori sociali. Penso che sia un modo fuorviante di avvicinarsi a questi temi.

Il fatto che certe differenze abbiano una base biologica non vuol dire che non possano rispondere a certi aspetti dell’ambiente; viceversa, l’esistenza di forme di plasticità non significa che le differenze vengano dal nulla e non possano rivelarsi piuttosto robuste e radicate.

 

DOMANDA – Nel suo intervento, Ardizzi si riferisce però a un nuovo studio secondo cui le differenze nelle abilità matematiche che emergono nei primi anni di scuola non sono dovute a fattori biologici.

RISPOSTA – Quello citato nell’intervista è un gran bello studio, rigoroso e sofisticato dal punto di vista statistico.

Gli autori mostrano che le differenze di genere nelle abilità matematiche emergono tra la prima e la seconda elementare, e che questa traiettoria non dipende dal fatto che i bambini semplicemente crescono di età ma da quanto a lungo hanno frequentato la scuola.

I dati dello studio sono compatibili con l’idea che le differenze siano interamente dovute a quello che succede a scuola, e questa è l’interpretazione preferita degli autori e della dott.ssa Ardizzi. Ma sono ugualmente compatibili con la possibilità che le differenze non si manifestino fino a quando i bambini iniziano effettivamente a imparare la matematica, e si rivelino sempre più chiaramente man mano che i bambini apprendono concetti più avanzati (probabilmente amplificate da differenze negli interessi di maschi e femmine).

La prima elementare potrebbe essere un periodo particolarmente efficace in cui intervenire, ma non è detto che le differenze di genere si rivelino così malleabili e soprattutto che gli eventuali effetti di un intervento si mantengano nel tempo, soprattutto se (come penso) le abilità cognitive si intrecciano con interessi e preferenze.

Come in altri casi, una prospettiva di orientamento biologico aiuta a tenere i piedi per terra, non aspettarsi risultati “miracolosi”, e soprattutto non considerare automaticamente tutte le differenze come ingiustizie da rimediare al più presto.

 


Leggi tutte le altre “interviste del venerdì”

Autore

La Redazione

5 commenti a Sì, il cervello ha un sesso: il vero mito sono le idee femministe

  • Laura ha detto:

    Molto interessante! Ero rimasta interdetta all’uscita dell’intervista della neuroscienzata, ora ho capito che l’aveva sparata un po’ troppo grossa

  • Patrizia ha detto:

    Grazie per questo articolo ben documentato e di persona titolata. Rammaricata per il fatto che non ci sia spazio a sufficienza nelle testate più diffuse e nei “festival “ per favorire confronto e consentire divulgazione di un certo livello.

  • Massimo ha detto:

    Ringrazio molto per questo articolo, che speravo proprio uscisse, e che non ha deluso le mie aspettative.

  • Massimo ha detto:

    Ottimo intervento, ben documentato e riferito. Grazie