Evangelizzazione e proselitismo, le cinque grandi differenze
- Ultimissime
- 12 Set 2025

Quali sono le differenze tra chi evangelizza e chi fa proselitismo? 5 giusti comportamenti di fronte agli altri seguendo la frase di Benedetto XVI.
«La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per “attrazione”».
Ce lo ha insegnato più volte Benedetto XVI e quante volte Papa Francesco ha citato questa frase!
Ma cosa cambia davvero? Che differenza c’è tra evangelizzazione e proselitismo?
E’ stato il tema dell’intervento del vescovo spagnolo José Ignacio Munilla alla “Settimana dell’evangelizzazione” svoltasi in Colombia, durante il quale ha tracciato cinque differenze davvero interessanti che riportiamo e approfondiamo secondo la nostra esperienza.
1) Aspettare i tempi dell’altro
Il primo punto riguarda il tempo.
Evangelizzare significa accompagnare le persone nel loro cammino senza ansia di risultati immediati. Anzi, restando totalmente liberi dall’esito.
Per aiutarsi si può pensare a Gesù di Nazareth, nemmeno lui riuscì a convincere tutte le persone che incontrò. Anzi, i Vangeli riportano proprio la proposta di Gesù al giovane ricco di seguirlo per ottenere la vita eterna (Mt 19,16-22). Ma il ragazzo rifiutò e se ne andò, preferì restare attaccato alle sue ricchezze.
Chi evangelizza rispetta profondamente il processo interiore di ciascuno, senza accelerazioni o forzature. Giustamente mons. Munilla spiega che «non bisogna sopraffare la persona», perché «c’è un tempo di grazia che il Signore ha per noi, per la nostra conversione».
Al contrario, chi fa proselitismo cerca conversioni rapide, quasi come un obiettivo da raggiungere. E dimentica che la fede autentica matura solo quando trova un terreno pronto ad accoglierla. La pazienza e il rispetto a dove si trova l’altro è quindi un segno distintivo dell’evangelizzazione vera.
2) Si comunica ciò che si è, non un ragionamento
Il secondo criterio mette al centro la testimonianza.
Chi evangelizza non presenta un discorso teorico, ma offre se stesso. A volte non serve nemmeno parlare di Dio: ci sono storie di conversioni nate semplicemente dall’imbattersi in un’umanità diversa nella vita di tutti i giorni, con un collega di lavoro o un compagno di università.
La fede non viene trasmessa come un insieme di regole, ma come un’esperienza viva, che per prima ha toccato la nostra persona e l’ha trasformata. «Io, nello stesso momento in cui vi dico queste cose», ha spiegato il vescovo spagnolo, «sono testimone che ciò che vi dico è diventato la mia esperienza di vita».
Papa Francesco fu accusato dai alcuni suoi critici (vedi ad esempio Antonio Socci e Riccardo Cascioli) di delegittimare la missione, invece spiegava l’errore di chi è cristiano «solo a parole», invitando a essere «missionari con la nostra parola, ma soprattutto con la nostra vita cristiana, con la nostra testimonianza».
Il proselitista, invece riduce tutto a un esercizio retorico o argomentativo, sperando di convincere l’altro con argomenti logici e schematici, senza lasciar trasparire la gioia personale di ciò che si è ricevuto. E’ un errore tipico degli apologeti che dimenticano che la credibilità maggiore non è nelle parole ma nella vita che parla.
3) Non siamo gli artefici delle conversioni
La terza differenza tra evangelizzazione e proselitismo è il ruolo dello Spirito Santo.
Ma davvero pensiamo di essere noi gli artefici di una conversione? L’evangelizzazione autentica è legata alla preghiera e all’affidamento a Dio, l’unico in grado di toccare i cuori. Il cristiano propone con la sua vita ma è lo Spirito che suscita la fede.
Mentre l’evangelizzatore si percepisce come un semplice strumento, chi fa proselitismo crede più nell’efficacia del proprio ragionamento e si concentra solo nella propria capacità di convincimento e nelle tecniche di persuasione.
4) Nessuna pressione psicologica
Il quarto criterio riguarda la libertà.
E’ legato al primo criterio, che chiedeva di non forzare i tempi. In questa quarta caratterista si ribadisce che il Vangelo è una proposta, non un’imposizione.
E per imposizione si intendono i tentativi di pressione psicologica o sociale, tutte le forme di condizionamento o ricatto emotivo che invece appartengono alla logica del proselitismo.
Un esempio tipico è minacciare le pene dell’inferno in caso di mancata conversione. E’ un messaggio che non serve a illuminare il cuore, ma a paralizzarlo, trasformandosi in un meccanismo di coercizione.
La vera fede non nasce dalla paura o dall’interesse, ma da una risposta libera e personale a qualcosa che attrae. La famosa “attrazione” di cui parlava Papa Ratzinger.
5) Nessuna pressione psicologica
Infine, il quinto punto si concentra sull’atteggiamento verso le persone.
Chi evangelizza non chiede né si attende nulla in cambio e non misura l’affetto verso l’altro sulla base della sua disponibilità d’adesione.
Siamo certi che Gesù abbia guardato con affetto quel giovane ricco mentre si allontanava da lui, rifiutandosi di seguirlo. Il criterio della gratuità è un atteggiamento da imparare: amare l’altro indipendentemente dalla sua risposta, custodire la relazione anche quando l’annuncio non viene accolto.
Il proselitismo, invece, spesso seleziona e mostra attenzione solo a chi si lascia convincere, come se la persona avesse valore soltanto in quanto nuovo adepto.
Questi cinque criteri offrono una bussola preziosa.
La distinzione tra evangelizzare e fare proselitismo va continuamente rinnovata per non cadere negli errori in cui tutti cadiamo. È una questione di autenticità che tocca la credibilità stessa della testimonianza cristiana nel mondo contemporaneo.

















0 commenti a Evangelizzazione e proselitismo, le cinque grandi differenze