La falsa neutralità dello Stato secolare

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La giurista Marta Cartabia presenta il volume del collega Joseph Weiler, colui che ha messo in crisi il paradigma della presunta neutralità dello Stato secolare, scardinando l’equivalenza laicità-neutralità.


 
di Mara Cartabia*
*ex presidente della Corte Costituzionale

da “La Stampa”, 25 luglio 2025

 

La prima edizione del libro L’Europa è ancora cristiana? di Joseph Weiler è stata scritta e pubblicata nel 2003 all’apice di un cambiamento epocale.

Era l’inizio del nuovo secolo e in Europa stavano emergendo in modo incontrovertibile gli effetti della secolarizzazione che, gradualmente, era già penetrata nel tessuto sociale, lungo il corso di tutta l’età moderna. A questi effetti si univano i primi segnali della assai più recente trasformazione in senso multiculturale della società europea.

I valori della cristianità erano messi in discussione e talora contrastati apertamente. La tradizione cristiana era quasi motivo di imbarazzo nei dibattiti pubblici e politici, come dimostra la discussione sulle radici cristiane dell’Europa. La cultura cristiana, che aveva dominato per secoli il vecchio continente, appariva una eredità da relegare nel passato.

Nel mezzo di quel dibattito, la voce profonda e coraggiosa di Joseph Weiler si è fatta sentire e ha segnato un punto di svolta nel corso della cultura giuridica e, oserei dire, della storia europea. È a lui che si devono almeno due contributi di pensiero con cui oggi ci si deve misurare e che, a mio avviso, sono difficilmente confutabili.

 

Lo Stato secolare non rappresenta la neutralità

Il primo è la dimostrazione che in Europa non esiste un unico modello di rapporto tra Stato e fenomeno religioso a cui occorra uniformarsi: si riscontra, al contrario, una varietà di soluzioni istituzionali, tuttora vigenti, che vanno dalla religione di Stato, allo schema pattizio o concordatario, alla più rigida separazione.

Il secondo, decisivo, contributo sta nell’aver mostrato che l’asserita “neutralità” dello Stato secolare nei confronti della religione non è affatto neutra, né può esserlo.

Mi spiego. All’inizio del nuovo secolo, ripudiati i vecchi paradigmi basati su ciò che restava del principio “cuius regio eius religio”, si era avviata la ricerca di nuove modalità di regolazione del fattore religioso, specie in ambito pubblico. Tutto portava a far emergere come paradigma dominante quello della “laïcité à la française”, vale a dire un’equivalenza tra laicità e neutralità, che induceva a rimuovere dall’ambito pubblico ogni riferimento religioso.

La legge francese del 2004 sul divieto dei simboli religiosi “ostensibili” è l’emblema di quella concezione, incentrata sull’idea della “neutralità” dello spazio pubblico, che sospinge ogni manifestazione religiosa fuori dai confini della piazza pubblica. In poche parole, si tendeva a pensare che l’unica alternativa ai vecchi schemi, ormai inservibili, fosse l’affrancamento da ogni presenza ed espressione religiosa.

Cos’altro poteva fare lo Stato per rispettare a un tempo le posizioni secolarizzate dei più e la varietà di appartenenza religiosa delle residue minoranze di credenti? La “neutralità” sembrava la strada razionalmente obbligata.

A fronte della secolarizzazione diffusa e del pluralismo religioso crescente, lo Stato proponeva uno spazio vuoto, equidistante da ogni posizione. E in questa direzione si stavano muovendo non solo l’esperienza francese e quella di altri paesi limitrofi, ma anche le Corti europee, di Strasburgo e del Lussemburgo.

Proprio in relazione a due decisioni delle Corti europee riguardanti i simboli religiosi, Joseph Weiler è intervenuto mettendo profondamente in crisi la nascente idea della laicità-neutralità.

In questi due interventi Joseph Weiler ha svelato una ambiguità di cui pochi si erano accorti, o forse nessuno: nonostante l’apparenza, il secolarismo non è affatto neutrale rispetto alla religione. Piuttosto, la laicità è una delle componenti, probabilmente quella maggioritaria, del pluralismo religioso che contraddistingue il contesto attuale e la visione secolare del mondo.

Pertanto, lo Stato che si fa secolare con l’intenzione di non interferire nella libertà religiosa di credenti e non credenti, in realtà manca lo scopo: lo Stato secolare non è affatto terzo rispetto alle opzioni in campo. Di fatto, abbraccia una delle visioni possibili, quella “senza dio” appunto, e se ne fa portavoce.

 

L’ebreo Weiler difese il crocifisso alla Corte europea

Il muro bianco nelle aule scolastiche o il dress code uniforme sui luoghi di lavoro, che impedisce alle donne musulmane di portare il velo sul luogo di lavoro, non esprimono affatto una opzione “neutra”, ma l’opzione per uno spazio pubblico senza religione.

Può essere interessante notare che l’autorevolezza di questi interventi era corroborata – oltre che dalle inarrivabili qualità intellettuali e umane di uno dei più grandi giuristi della nostra epoca – altresì dal fatto che Joseph Weiler non parlava “pro domo sua”. Il caso Lautsi del 2011 riguardava il crocefisso nelle scuole italiane e il caso Achbita del 2017 il velo islamico di una lavoratrice in Belgio.

E, lo sappiamo bene, Joseph Weiler non è né cattolico né musulmano.

 

La libertà di religione tutela anche i non credenti

Altrettanto forte e chiaro è stato il suo richiamo, rivolto alla comunità cristiana, a non ridurre il cristianesimo a una serie di precetti morali. L’etica non è monopolio delle persone di fede – ha ripetuto all’infinito – e la religione non può essere ridotta a etica: in questo libro si incontrano pagine importanti, da rileggere e rimeditare a questo proposito.

La voce di Joseph Weiler ha sempre incoraggiato la comunità dei credenti a partecipare a testa alta alla vita pubblica, così come a ogni espressione della umana esperienza, e di farlo partendo sempre dal rispetto della libertà della persona. Per questo, non si è mai stancato di sottolineare che la libertà di religione porta con sé anche la libertà dalla religione, quella di chi non professa alcun credo.

Mi hanno sempre impressionato la sua conoscenza e la sua profonda comprensione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II sulla libertà di religione; ma non meno impressionante è la sua infaticabile pazienza a spiegare a tutti in ogni occasione che la libertà di ciascuna persona deve essere presa sul serio e profondamente rispettata anzitutto per una ragione teologica: Dio ci ha creati liberi, liberi anche di non riconoscerlo.

Partire dalla libertà di ciascuno non è un cedimento al modernismo e alla cultura liberale, ma è fedeltà al messaggio del Dio di Abramo. Credo che questa scommessa sulla libertà di coscienza di ciascuno, a partire dalla propria, sia un messaggio centrale, da subito ribadito anche da Papa Leone XIV in uno dei suoi primi interventi.

A proposito della posizione del cristiano di fronte ai problemi della società contemporanea, il pontefice ha parlato di sacra libertà della coscienza, anche se erronea: «L’indottrinamento è immorale, impedisce il giudizio critico, attenta alla sacra libertà della propria coscienza – anche se erronea – e si chiude a nuove riflessioni perché rifiuta il movimento, il cambiamento o l’evoluzione delle idee di fronte a nuovi problemi».

Autore

Marta Cartabia

3 commenti a La falsa neutralità dello Stato secolare

  • Paolo Giosuè ha detto:

    Grazie per questo importante articolo. Una pietra miliare, sono meravigliato, scosso!
    La chiarezza di Joseph Weiler sulla non neutralità dello Stato laico è più urgente che mai. Quello che spesso viene definito uno spazio pubblico “neutrale” in realtà non è affatto neutrale, ma si fonda su un’antropologia relativista o atea – una visione non meno dottrinale di quelle religiose, ma priva della loro autoconsapevolezza. Come hanno sostenuto Benedetto XVI e Weiler, questa visione soppianta sottilmente la religione non attraverso un dibattito aperto, ma ridefinendo la ragione in termini laici.

    Per quanto riguarda la libertà religiosa, vale la pena ricordare che Dignitatis Humanae fu plasmata dal gesuita padre John Courtney Murray, il quale – in risposta al trauma delle guerre di religione europee – enfatizzò un concetto negativo di libertà, definito come immunità dalla coercizione. Ma forse oggi, mentre il liberalismo stesso produce nuove forme di coercizione (controllo tecnocratico, intelligenza artificiale, dominio biopolitico, ecc.), ciò di cui abbiamo bisogno è un ritorno alla libertà positiva di Agostino, De Lubac, Ratzinger e von Balthasar: libertà per la verità, fondata sulla legge naturale – i comandamenti ebraici e le virtù greche – non sul soggettivismo protestante, kantiano o lockiano, che presupponeva la stabilità sociale e ora vacilla di fronte alla volontà di potenza.

    Sul secondo punto – la libertà dalla religione – aggiungerei una riflessione ispirata a Peter Kreeft. L’indottrinamento è reale, ma il pericolo maggiore oggi è l’indottrinamento al relativismo, che nega l’esistenza di una verità oggettiva. Come scrive Kreeft: “La religione creata dall’uomo non può elevare l’uomo di un centimetro. Ma Dio scende – con la vera religione. Questa è la differenza tra Babele e la Nuova Gerusalemme”. Solo la verità che viene dall’alto può salvarci dai nostri autoinganni.

    Il rabbino Jonathan Sacks lo vide con profetica chiarezza. “Il relativismo è una base profondamente inadeguata per un ordine morale condiviso”.
    Per Sacks, come per Weiler e Ratzinger, la verità non è una minaccia alla libertà, ma il suo fondamento.

    In breve: la vera libertà – personale e civica – non significa il diritto di credere in qualcosa, ma il diritto di cercare e vivere la verità.

  • Paolo Giosuè ha detto:

    Se posso aggiungere una conclusione, che sento più che mai attuale per la necessità di difendere i più deboli, la sfida di Weiler – giustamente sottolineata dal Presidente Cartabia – non è solo giuridica o culturale, ma in ultima analisi antropologica. Ci invita a riflettere sui fondamenti del diritto e della libertà: non come costrutti neutrali o procedurali, ma come espressioni di una visione implicita della persona umana. L’ordine liberale moderno, plasmato da Locke, Kant e, nelle sue fasi più tarde, da Nietzsche, propone un soggetto astratto dalla tradizione, dalla natura e dalla trascendenza, definito più dall’autonomia che dalla relazione. Ma una tale antropologia, una volta distaccata dal diritto naturale e dalla metafisica classica, non può sostenere a lungo la dignità e l’inviolabilità di ogni vita umana.

    La presunta neutralità dello Stato laico, soprattutto quando esclude il ragionamento metafisico e religioso dal discorso pubblico, spesso si traduce non in una maggiore libertà, ma in una minore: sia per le comunità di fede che per i più vulnerabili, i cui diritti sono sempre più condizionati a criteri soggettivi o utilitaristici. Al contrario, una visione ispirata alla tradizione cattolica – agostiniana, tomista e ripresa da pensatori come De Lubac, Ratzinger e von Balthasar – intende la libertà come orientata al bene e alla verità, e richiede quindi la salvaguardia della coscienza, della ragione e della solidarietà umana, non la loro soppressione in nome di un’astratta neutralità.

    Non si tratta di tornare a un modello teocratico, che rischierebbe di confondere Cesare con Dio,come vediamo purtroppo in un contesto geopolitico a noi vicino, ma di ripensare un ordine democratico che non sia né laico né clericale: uno Stato che protegga il legittimo pluralismo delle convinzioni, ma non reprima le religioni quando fanno appello a un ordine morale radicato nella ragione e nella natura.

    In definitiva, ogni sistema giuridico implica una visione dell’uomo. Se il diritto non protegge più la vita dal concepimento alla morte naturale, né misura il valore delle persone secondo criteri di efficienza, allora il problema non è la tecnica giuridica, ma l’antropologia che la sottende. È questa dimensione più profonda che la tesi di Weiler contribuisce a illuminare e che il pensiero cattolico ha il dovere e le risorse intellettuali di articolare in modo nuovo.

  • Giorgio ha detto:

    Qui, giustamente, si parla di valori e di visione.
    Ma, oggi, chi li porta avanti, a parte il Papa?
    Tutti navigano a vista, avendo un orizzonte che fatica ad arrivare ai giorni, altro che agli anni o ai secoli!
    E quello che verrà dopo sarà il problema di qualcun altro