Il vero pensiero di Tommaso d’Aquino sulle donne e sull’aborto

pensiero di san tommaso San Tommaso sulla donna. Un errore della natura? Quale concezione ne aveva Tommaso d’Aquino? Sosteneva l’aborto in quanto rifiutava l’infusione dell’anima al concepimento? In questo dossier chiariremo una volta per tutte queste false convinzioni.

 

Esiste un’opinione assai diffusa, purtroppo talvolta anche tra i cattolici, secondo cui oggi San Tommaso d’Aquino disapproverebbe l’attuale insegnamento del Magistero della Chiesa Cattolica sull’aborto.

Egli sostenne infatti che l’anima spirituale non venga infusa al momento del concepimento, e pertanto, si argomenta, avrebbe approvato l’aborto non essendo questo, secondo la sua dottrina, la soppressione di un essere umano. In realtà questa opinione si basa su una lettura superficiale dei testi dell’Aquinate, non informata da una chiara comprensione delle fondamentali questioni metafisiche e teologiche che sottendono le tesi qui discusse. Per comprendere la posizione tomista è necessario introdurre preliminarmente alcuni concetti fondamentali che l’Aquinate mutua direttamente da Aristotele, relativi in particolare alla dottrina sull’anima e alle teorie sulla riproduzione dei mammiferi. Non è possibile in questa sede una disamina dettagliata delle ricerche dello Stagirita, e ci si deve limitare ad un sunto schematico che sia di utilità al profano.

Quanto spiegheremo ci permetterà infine di chiarire anche un altro comune equivoco, esposto più avanti, relativo all’opinione di Tommaso sulla donna.

 

 
 
 
 

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1. ARISTOTELE: SULL’ANIMA E LA NASCITA DI UN NUOVO INDIVIDUO

Secondo la metafisica aristotelica la sostanza sensibile (l’esistenza di sostanze soprasensibili non è qui in discussione) è sinolo, ossia unione, di forma e materia. La forma (eidos) esprime la natura, l’essenza di un certo ente. Ogni ente ha un’essenza, ovvero il che cos’è l’essere di quel dato ente (to ti en einai, quod quid erat esse); l’essenza è ciò che viene espresso nella definizione, ed è quindi il contenuto strutturante per cui un certo ente è proprio quello che è; così ad esempio un cerchio è un certa figura che ha una serie di proprietà prese nella loro unità che lo costituiscono come tale; l’essenza è ciò per cui un cerchio è un cerchio, ciò per cui un uomo è un uomo e così via (è necessario dare questi esempi per comprendere attraverso l’analogia, perché quando si enunciano i principi primi, come appunto l’essenza, non si dispone di concetti più generali con cui si possa dare una definizione univoca). La forma è quindi atto, ovvero ciò per cui un dato ente esiste attualmente secondo una data essenza. La materia invece è il sostrato che riceve una data forma e fa sì che essa esista concretamente in un dato individuo, come la creta può ricevere la forma di un vaso o di una statua; ma l’analogia con la creta non deve essere spinta troppo in là, infatti ancor prima di ricevere la forma, ad esempio, di un vaso, la creta esiste già in qualche altra forma, mentre la materia, considerata come principio metafisico, è solo potenza rispetto alle forme. La materia quindi non può esistere senza la forma, e le forme necessitano di un sostrato da attuare (ripetiamo che qui non sono in discussione le sostanze soprasensibili, ossia immateriali), e pertanto la sostanza, intesa come ciò che sussiste per sé, è il sinolo di materia e forma.

La dottrina aristotelica sull’anima è compresa all’interno del fondamentale quadro teoretico appena esposto: per il Filosofo infatti l’anima è la forma di un corpo fisico organico; forma nel senso metafisico sopra introdotto, ma una forma particolare, ovvero ciò per cui i viventi vivono ed esercitano le funzioni che sono loro proprie. Non tutti gli enti sono viventi, ma solo quelli che sono in-formati, strutturati, attuati in modo da avere in sé il principio del proprio sviluppo, del proprio movimento, del proprio agire e dell’autoconservazione; la forma dei viventi è ciò che chiamiamo anima.

Aristotele prosegue poi la sua analisi distinguendo nell’anima tre parti, sulla base delle funzioni da esse presiedute: 1) l’anima vegetativa, le cui funzioni sono nascita, nutrizione e crescita; 2) l’anima sensitiva, da cui dipendono movimento e nutrizione; 3) l’anima intellettiva, propria solo dell’uomo e che fonda la capacità di conoscere, di giudicare e di scegliere liberamente. Si deve però stare attenti a non commettere l’errore di ritenere che gli animali abbiano due anime distinte o che l’uomo ne abbia tre, infatti per un animale le funzioni di nutrizione e sviluppo saranno diverse da quelle analoghe per una pianta; le funzioni vegetative dipenderanno quindi da quelle sensitive. In parole povere le funzioni di un’anima superiore includono quelle di un’anima inferiore. Aristotele stesso scrive: «È lo stesso caso quello delle figure e quello dell’anima, perché sempre nel termine seguente è contenuto in potenza il precedente e riguardo alle figure e riguardo agli esseri animati: per esempio, nel quadrato il triangolo, nell’anima sensitiva la nutritiva.» (De anima II 3, 414 b 30)

Quanto esposto finora è un discorso essenzialmente metafisico, che non dipende dalle particolari conoscenze scientifiche dell’epoca, e che pertanto conserva intatta nel tempo la sua validità. Arrivando invece agli aspetti propriamente biologici, con riferimento al trattato De generatione animalium, per la generazione di un nuovo individuo è necessaria l’unione del seme maschile, che il Filosofo identifica con lo sperma, e del seme femminile, identificato con il mestruo. Secondo Aristotele il seme sarebbe il residuo, ovvero il prodotto ultimo del processo di nutrizione; l’ultimo prodotto necessario all’organismo sarebbe il sangue, poi da questo, con un ulteriore processo di trasformazione, verrebbe prodotto il seme. Nelle donne quest’ultimo processo non avverrebbe però in modo completo, dal momento che esse sarebbero più deboli e quindi dotate di meno calore, ed è questa differenza che spiegherebbe l’origine della diversità tra il seme maschile e quello femminile. Dal fatto che il mestruo è simile al sangue e che esso viene espulso quando non avviene la fecondazione, Aristotele deduce che il seme maschile sarebbe l’unico elemento attivo del processo di riproduzione, ovvero il portatore della forma (cioè dell’anima) la quale attuerebbe e controllerebbe la generazione e lo sviluppo del nuovo individuo. Il seme femminile sarebbe invece la materia informata dall’atto del seme maschile e che conterrebbe solo le forme femminili che ovviamente non potrebbero derivare dal seme maschile.

Usando un’analogia, Aristotele dice che il seme maschile e quello femminile starebbero in rapporto tra loro come il vasaio con la creta del vaso. Ad ogni modo entrambi i semi non possono produrre nulla da soli, ma è solo dalla loro unione che si genera il nuovo individuo, che quindi inizia ed esistere dal momento del concepimento. All’inizio solo le funzioni dell’anima vegetativa sono in atto, ma negli animali esistono già in potenza le funzioni dell’anima sensitiva, e nell’uomo quelle dell’anima intellettiva, perché sin dal primo momento è in atto un individuo della stessa specie dei genitori ed il cui sviluppo è già orientato alla piena attuazione delle sue caratteristiche e funzioni proprie.

 

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2. TOMMASO D’AQUINO: SULL’ANIMA E LA NASCITA DI UN NUOVO INDIVIDUO

Tommaso accetta le dottrine aristoteliche, ma deve conciliarle con le verità della fede cristiana concernenti direttamente l’uomo, in particolare con il fatto che l’anima umana sia spirituale, e quindi incorruttibile, e che essa sia generata direttamente da Dio. Per quanto riguarda il secondo aspetto, una preoccupazione importante del Dottor Comune è quella di respingere il cosiddetto traducianismo, ovvero la dottrina secondo la quale l’anima deriverebbe dai soli genitori senza il concorso divino, e che Tommaso definisce eretica. Nelle Summa Theologiae (Iª q. 118 a. 2 co.) scrive:

«Trattandosi però di una sostanza immateriale, essa non può venire causata per generazione, ma solo per creazione da parte di Dio. Quindi, ammettere che l’anima intellettiva è causata dal generante, equivale ad ammettere che essa non è sussistente e che, per conseguenza, si corrompe alla corruzione del corpo. È perciò eretico affermare che l’anima intellettiva si trasmette mediante il seme.»

Secondo l’Aquinate allora è necessario ammettere che nel corso dello sviluppo del feto si susseguano diverse forme (anime): prima un’anima vegetativa, poi un’anima sensitiva, ed infine, quando lo sviluppo sia sufficiente a ricevere l’anima intellettiva, questa venga infusa direttamente da Dio:

«Dobbiamo perciò concludere che, al sopraggiungere d’una forma più perfetta, si opera la corruzione della forma precedente, poiché la generazione di un essere implica sempre la corruzione di un altro essere, tanto nell’uomo che negli animali: e questo avviene in maniera che la forma seguente abbia tutte le perfezioni della precedente, e qualche cosa in più. Così, attraverso varie generazioni e corruzioni, si giunge all’ultima forma sostanziale, tanto nell’uomo quanto negli altri animali. E ciò si vede anche sensibilmente negli animali generati dalla putredine. Quindi bisogna affermare che l’anima intellettiva è creata da Dio al termine della generazione umana, con la scomparsa delle forme preesistenti, e che essa è insieme sensitiva e nutritiva.» (ST Iª q. 118 a. 2 ad 2)

È invece contenuta nei Commenti alle Sentenze di Pietro Lombardo la frequentemente citata opinione tomista secondo cui «il concepimento del maschio non si compie fino al quarantesimo giorno, come dice il Filosofo nel nono libro del De animalibus, mentre quello della femmina fino al novantesimo.» (Super Sent., lib. 3 d. 3 q. 5 a. 2 co.). Ma questo non è certamente un passo cruciale per la comprensione dell’opinione di Tommaso sul problema dell’infusione dell’anima, ed inoltre è anche una sua interpretazione piuttosto libera del testo originale aristotelico che parla dei primi movimenti e non si riferisce affatto all’animazione del feto: «Nel caso comunque sia stato concepito un maschio, i primi movimenti hanno luogo attorno al quarantesimo giorno per lo più verso il lato destro, quelli della femmina invece nel lato sinistro verso il novantesimo giorno.» (Historia Animalium, tr. it. di Mario Vegetti (a cura di), in Aristotele, Opere biologiche, cit., pp. 129-482, p. 405)

Si vede così che le tesi di Tommaso sull’infusione dell’anima sono motivate da ragioni del tutto estranee all’attuale problema dell’aborto e non è quindi corretto introdurle nel dibattito senza riflessione e precisazioni. In particolare sappiamo per certo che Tommaso non accettasse la liceità dell’aborto, infatti, sempre nei Commenti alle Sentenze di Pietro Lombardo (lib. 4 d. 31 q. 2 a. 3 expos.), scriveva che praticare un aborto fosse un peccato grave, anche se non quanto l’omicidio, e che fosse equiparabile al praticare dei malefici.

Alla luce delle attuali conoscenze scientifiche sullo sviluppo dell’embrione (non discusse qui) non è più possibile sostenere che avvengano successivi processi di informazione nel corso dello sviluppo, e si deve così affermare che un nuovo essere umano sia già generato al momento del concepimento, e che il suo sviluppo sia fin da principio organizzato ed orientato ad attuarne tutte le funzioni proprie, come in fondo affermava già l’originale dottrina aristotelica, alla quale si può ragionevolmente supporre Tommaso avrebbe pienamente aderito se avesse potuto avere migliori conoscenze di embriologia.

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3. TOMMASO D’AQUINO: SULLA DONNA

I concetti illustrati in questa disamina ci permettono anche di smascherare uno dei più frequenti tentativi di denigrazione del pensiero e della figura dell’Aquinate, ovvero la pretesa di farlo passare per un personaggio superficiale, superato e misogino attribuendogli, senza nulla spiegare e nulla aggiungere, la seguente affermazione: «Le femmine nascono a causa di un seme guasto o di venti umidi». Certamente il tentativo di screditare in questo modo, basandosi su una frase, uno dei più grandi e prolifici filosofi della storia, è intellettualmente inconsistente, è un’operazione disonesta che può funzionare solo approfittando dell’eventuale ignoranza dell’ascoltatore. Ad ogni modo è sempre bene chiarire tutto nel dettaglio, e così faremo.

La frase citata è effettivamente tratta dalla Summa Theologiae, ma non è direttamente attribuibile a Tommaso, tuttavia per capire è necessario introdurre ancora qualche nozione. Tutti gli articoli della Summa hanno la stessa struttura, composta da quattro sezioni: 1) Videtur quod (sembra che), ovvero una tesi erronea che sembrerebbe esser vera sulla base di un serie di argomenti; ad esempio “sembra che Dio non esista” e di seguito una serie di ragioni a sostegno di ciò. 2) Sed contra (ma al contrario), ovvero un argomento contrario a quanto esposto nel videtur quod. 3) Respondeo: questa è la parte più importante in cui Tommaso fornisce una spiegazione di carattere generale e confuta la tesi del videtur quod; ad esempio le famose cinque vie per dimostrare l’esistenza di Dio vengono esposte proprio nel respondeo. 4) Soluzione delle difficoltà, in cui gli argomenti del videtur quod vengono esaminati singolarmente e confutati. In linea del tutto generale è quindi errato attribuire a Tommaso le opinioni espresse nel videtur quod, che sono invece quelle che poi egli andrà a criticare, confutare o precisare.

Nell’articolo 1 della questione 92 della prima parte della Summa, il videtur quod recita: «Sembra che non ci fosse bisogno di produrre la donna nella prima costituzione del mondo». Il primo argomento a sostegno di questa tesi è il seguente: «Dice il Filosofo che “la femmina è un maschio mancato”. Ora, nella prima costituzione del mondo non doveva esserci niente di mancato e di difettoso. Perciò la donna non doveva essere creata allora.» 

Torniamo per un attimo ad Aristotele che, sempre nel trattato sulla generazione degli animali, spiega che il seme maschile, in quanto unico elemento attivo nel processo di riproduzione, tenderebbe a produrre un nuovo individuo simile a sé, ovvero un altro maschio. Per spiegare la generazione delle femmine è quindi necessario supporre che qualche fattore esterno concorra in qualche modo ad alterare l’azione del seme maschile, ed ecco perché la femmina sarebbe un maschio mancato. Contrariamente ad una vulgata tanto spesso ripetuta quanto errata, non è affatto vero che la scienza aristotelica non si fondi su un’ampia base osservativa ed empirica; è però vero che lo Stagirita, assieme ad osservazioni scrupolose sue e di altri naturalisti, accolga anche fatti aneddotici propri del sapere popolare. Così tra le varie ipotesi proposte come fattori determinanti per la generazione delle femmine, Aristotele ammette la possibilità che possa influire anche il tipo di vento che soffia al momento del concepimento. Quelle di Aristotele erano, all’epoca di Tommaso, le tesi scientifiche più accreditate.

Queste spiegazioni scientifiche del tempo quale problema ponevano ad un teologo quale era l’Aquinate? Sappiamo che la fede cristiana afferma che l’uomo e la donna sono stati creati entrambi in stato di grazia, e quindi di perfezione; ma se, come insegna la scienza aristotelica, la donna è per natura un maschio incompiuto, ossia un essere imperfetto, allora sembra che la fede cristiana sia sbagliata, perché sarebbe contraddittorio ammettere che la donna sia stata creata nella prima origine del mondo quando tutto avrebbe dovuto invece essere perfetto. Il quesito quindi è eminentemente teologico, e le tesi scientifiche vengono prese per buone senza questionare nel merito, così come, genericamente parlando, fanno ancora oggi i teologi. Quindi Tommaso, nella soluzione delle difficoltà, accetta la teoria aristotelica, ed ammette pertanto che, considerando il meccanismo della sua generazione, la femmina sia un maschio mancato; ma, argomenta poi, nell’ordine universale della natura la donna è necessaria, perché la riproduzione può avvenire solo dall’incontro di maschio e femmina, e perciò secondo la sua propria essenza anche la donna, in quanto donna, è perfetta.

Proponiamo quindi al lettore il respondeo e la soluzione della difficoltà, concludendo così la nostra disamina:

«Era necessario che in aiuto dell’uomo, come dice la Scrittura, fosse creata la donna: e questo, non perché gli fosse di aiuto in qualche altra funzione, come dissero alcuni, poiché per qualsiasi altra funzione l’uomo può essere aiutato meglio da un altro uomo che dalla donna, ma per cooperare alla generazione. Vi sono infatti dei viventi, che non hanno in se stessi la virtù attiva di generare, ma sono generati da un agente di specie diversa; e sono quei vegetali e quegli animali, che, privi di seme, vengono generati, in una materia adatta, dalla sola virtù attiva dei corpi celesti. – Altri invece possiedono unitamente la virtù attiva e quella passiva della generazione, e sono le piante che nascono dal seme.

Infatti nelle piante non c’è funzione vitale più nobile della generazione: perciò è giusto che la virtù attiva della generazione si trovi in esse sempre unita a quella passiva. – Invece negli animali perfetti la virtù attiva della generazione è riservata al sesso maschile, e la virtù passiva, al sesso femminile. E siccome gli animali hanno delle funzioni vitali più nobili della generazione, negli animali superiori il sesso maschile non è sempre unito a quello femminile, ma solo nel momento del coito; come per indicare che il maschio e la femmina raggiungono nel coito quella unità che nella pianta è perpetua per la fusione dell’elemento maschile con quello femminile, sebbene nelle varie specie prevalga ora l’uno ora l’altro. – L’essere umano poi è ordinato a una funzione vitale ancora più nobile, cioè all’intellezione. A maggior ragione dunque si imponeva per lui la distinzione delle due virtù, mediante la produzione separata dell’uomo e della donna, i quali tuttavia si sarebbero uniti nell’atto della generazione. Per questo, dopo la creazione della donna, la Scrittura aggiunge: “Saranno due in una sola carne”.»

 «Rispetto alla natura particolare la femmina è un essere difettoso e manchevole. Infatti la virtù attiva racchiusa nel seme del maschio tende a produrre un essere perfetto, simile a sé, di sesso maschile. Il fatto che ne derivi una femmina può dipendere dalla debolezza della virtù attiva, o da una indisposizione della materia, o da una trasmutazione causata dal di fuori, p. es., dai venti australi che sono umidi, come dice il Filosofo. Rispetto invece alla natura nella sua universalità, la femmina non è un essere mancato, ma è espressamente voluto in ordine alla generazione. Ora, l’ordinamento della natura nella sua universalità dipende da Dio, il quale è l’autore universale della natura. Perciò nel creare la natura egli produsse non solo il maschio, ma anche la femmina.» (Summa Theologiae)

 

Francesco Santoni

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