Aristotele e la finalità nelle opere della natura
- Ultimissime
- 07 Lug 2012
di Umberto Fasol*
*preside e docente di scienze naturali in un liceo scientifico
La seconda prova della maturità classica di quest’anno è stata di greco. Il brano scelto dal Ministero è preso da Aristotele e presenta un buon livello di difficoltà per la traduzione: gli studenti non ne sono rimasti entusiasti. Vorrei in questa sede offrire a tutti i nostri lettori la possibilità di gustare la bellezza e la profondità di quanto afferma questo grandissimo personaggio del quarto secolo a.C., parlando di un tema che ci sta particolarmente a cuore: il rapporto tra le parti e il tutto, all’interno del mondo animale.
«Non infatti il caso, ma la finalità è presente nelle opere della natura, e massimamente: e il fine in vista del quale esse sono state costituite o si sono formate, occupa la regione del bello. Se poi qualcuno ritenesse indegna l’osservazione degli altri animali, nello stesso modo dovrebbe giudicare anche quella di se stesso; non è infatti senza grande disgusto che si vede di che cosa sia costituito il genere umano: sangue, carni, ossa, vene, e simili parti. Similmente occorre ritenere che quando si discute intorno a una parte o a un oggetto qualsiasi non si richiama l’attenzione sulla materia né si discute in funzione di essa, bensì della forma totale: si parla, per esempio, di una casa, ma non dei mattoni, della calce, del legno; e allo stesso modo – quando si tratta della natura – si parla della totalità sintetica della cosa stessa, non di quelle parti che non si danno mai separate dalla cosa stessa cui appartengono» (Aristotele, De partibus animalium).
Io credo che valga la pena sottolineare l’accento che Aristotele pone sulla “totalità sintetica della cosa stessa” piuttosto che sulle parti che “non si danno mai separate dalla cosa stessa”: penso allo studio della singola cellula, ma anche alla sua biochimica o ancora meglio a qualunque organismo. Non c’è dettaglio di un essere vivente che non acquisti senso se non all’interno del sistema: perfino il cuore, quello stupendo organo a quattro cavità che pulsa nel nostro mediastino circa centomila volte al giorno, spontaneamente e a ritmo, isolato dal contesto, strappato di tutti i suoi cavi naturali e posto sul nostro tavolo, diventa assolutamente inutilizzabile.
Se il cuore, invece, viene invece studiato nella sua location, con tutti i suoi collegamenti di vasi e di nervi (del simpatico e del parasimpatico) diventa “di più” di quello che vediamo. Difficile escludere quindi, per conto mio, l’evidenza di un “progetto”, nella vita, che assegna ad ogni parte un ruolo che non le compete per la natura della sua materia, ma che emerge dal suo collegamento con le altre.
Rimangono aperte, oggi come allora, ai tempi di Aristotele, la sfida della ricerca della base materiale di questo progetto-finalità e la sfida della sua possibile evoluzione.
45 commenti a Aristotele e la finalità nelle opere della natura
Questo di Aristotele mi sembra il thread migliore per riprendere il discorso sul riduzionismo, che, contrariamente a quel che dice Andrea, non è meno romantico di altre spiegazioni onnicomprensive.
Appunto, lui torna a dire che l’individualità è prodotta dal cervello, io dico che il cervello è strumento della forma (sensitiva e/o razionale, mentre per quella vegetativa basta un sistema nervoso più ridotto; la figura degli enti inanimati non è invece propriamente una forma sostanziale, ma qua sarebbe lungo introdurre le differenze) che lo determina perchè altrimenti il cervello si percepirebbe lui come individuo.
Andrea ancora dice che non ci sono elementi per preferire questa teoria alla sua, considerandole equipollenti: l’elemento è proprio questo e non lo ripeterò oltre all’infinito: l’individuo comprende il cervello come una cosa che gli appartiene e non viceversa visto che il cervello in quanto tale è incosciente.
La spiegazione riduzionista non esce invece da questa contraddizione
Venendo più strettamente al post.
L’entelechia si da perchè la materia è principio indeterminato determinabile mentre la forma è il principio determinante.
Non esistesse la forma, esisterebbe la materia con un’unica organizzazione, mentre la materia intesa in quanto tale è un’astrazione (che si fa togliendo ad ogni ente la sua particolarità individuale e di genere)dell’intelletto (ovviamente cum fundamento in re, altrimenti non sarebbe possibile accomuanre alcunchè) poichè ciò che di fatto esiste sono i singoli enti.
Ciao Licurgo, giusto, anche perchè sei rimasto tagliato fuori nella discussione precedente dalla chiusura del post.
l’individuo, ossia il nome che il cervello funzionante da a sè nell’esercizio delle proprie funzioni comprende che la definizione del sè non può esaurirsi al cervello stesso ma all’insieme cervello + tutti gli altri organi + l’atto del riflettere su sè stesso (che percepisce come proprio).
il braccio è una parte di me, perchè è elettricamente e sensorialmente collegato al mio cervello. Tutto ciò che io dico essere fisicamente parte di me ha questa caratteristica. Se mi si attacca un moncherino non lo chiamo parte di me, se questo moncherino fosse un prodotto di tecnologia avanzata imperniato sulle terminazioni nervose del vecchio braccio, lo muoverei e lo sentirei mio, ossia parte della mia individualità.
il mio braccio “è me” quanto lo è il cervello, il fatto che la sede del pensiero sia il cervello è una conseguenza dell’evoluzione, che ha riscontrato (senza alcun fine, semplicemente in conseguenza del fatto che in una fase precedente gli individui la cui unità di controllo era maggiormente protetta avevano maggior probabilità di riuscire a riprodursi) come più efficiente il contenimento della parte neurale nella scatola cranica. Potremmo benissimo avere un cervello maggiormente distribuito, ed in ultima analisi, concidente con l’interezza della nostra fisicità, ma probabilmente i frequenti danni arrecati dall’esperienza al nostro corpo finirebbero per compromettere il funzionamento dell’unità di controllo dell’intero organismo.
E’ efficiente specializzare gli organi e dare loro sedi differenti, perchè non tutti hanno lo stesso livello di funzionalità alla sopravvivenza, chi si specializza internamente ha maggiore probabilità di sopravvivere, e come al solito questo non è uno scopo , ma un effetto della variabilità della struttura fisica dei nostri stessi figli.
“ciò che di fatto esiste sono i singoli enti”… ed esistono le relazioni, e ogni ente esiste in relazione ad altri, una singola cellula non è comprensibile se non in relazione a ciò di cui è composta e a ciò di cui è parte; del resto anche la delimitazione di un ente rispetto a tutto il resto può essere considerata un’astrazione dell’intelletto
Andrea.
Non rispondo oltre.
Ho già evidenziato in lungo e in largo le contraddizioni del tuo ragionamento nell’altro post. Queste di oggi sono semplici ripetizioni di assurdità, che, come detto, sono già state confutate (qua la lettura del thread per chi avesse voglia e pazienza https://www.uccronline.it/2012/07/04/sette-scienziati-contro-il-riduzionismo-luomo-e-ben-oltre-i-suoi-geni/).
Bello, ‘dopo il cervello che è me tanto quanto il braccio ma il cervello è la sede di me’, questo inconscio cervello ‘che da nomi’, che sono assurdità già ampiamente confutate nel post sui sette scienziati contro il riduzionismo… oggi abbiamo una novità: l’ ‘evoluzione che riscontra’…domani che avremo…’ la gravitazione che canta’?!
‘La sede di me’ ovvio intendo del mio io cosciente.
Peraltro ‘la sede’ va bene col mio discorso dello strumento: una sede non produce nulla…
ok no problem, non andiamo oltre su quel tema.
In realtà a monte della deviazione che i commenti hanno poi intrapreso su quel thread, io sostenevo che il riduzionismo non riducesse l’uomo al suo DNA, in quanto lo stato delle sinapsi e delle interconessioni neurali di un uomo in un dato istante non è tracciabile nel DNA, ma è un prodotto dell’interazione uomo ambiente e del suo apprendimento.
confermo l’evoluzione non riscontra, evoluzione = insieme di variazioni causali dell’organizzazione della materia su cui agisce il filtro dell’ambiente, la causalità è in realtà la non completa determinazione del meccanismo di copia del DNA, mentre il filtro dell’ambiente potrebbe addirittura agire durante la vita del singolo individuo (e non nell’istante in cui egli si riproduce) modificandone il DNA come mi pare di capire sostengano alcuni studiosi.
L’evoluzione non decide niente, è il nome di un processo in virtù del quale se sei vivo e puoi riprodurti, l’effetto del tuo riprodurti supererà il filtro ambientale successivo in funzione di uno specifico fit dato dalle sue (eventualmente mutate) caratteristiche e dalle caratteristiche eventualmente mutate in quella fase, dell’ambiente stesso.
Andrea.
Hai usato tu il termine ‘riscontra’ non io… comunque sì, finiamola sul tema del vecchio thread.
Confermo che sei partito sull’altro thread dicendo che il riduzionismo con la genetica c’entra poco.
Non saprei tecnicamente, ma tutto ciò che riduce qualcosa ad un principio unico (nel tuo caso la materia, ma varrebbe se si dicesse che la materia è una forma spirituale come dicono alcuni devoti delle filosofie orientali)etimologicamente è definibile come riduzionismo.
Pastor nubium.
Per me l’individualità, come percezione di se stesso come indiviso ma diviso dall’esterno, deriva dall’istinto prima che dall’intelletto (il quale, ovviamente nell’uomo, poi dai sensi astrae e si forma il concetto).
Anche un cane, ma anche una formica a livelli ancor più embrionali, si percepiscono come individui, altrimenti non tenderebbero all’autoconservazione (mangiare, ripararsi, evitare il dolore e il pericolo ecc..)
Ciao Licurgo, questo è un argomento interessante,pur concordando sull’aspetto istintivo mi chiedo se sia necessario che le formiche abbiano una tale percezione di sè per mostrare il comportamento che mostrano. L’autoconservazione della formica è in realtà spesso sacrificio di sè per il bene del formicaio, da un punto di vista umano, ossia effettuando per questo preciso aspetto la stessa trasposizione interpretativa che hai fatto sull’autocoscienza, questo potrebbe essere definito puro altruismo, cosa che, concorderai, non credo possa essere plausibile (l’altruismo è sempre cosciente per essere definito tale tra umani)
Personalmente (ma non sono un esperto di formiche), ed in coerenza con quanto ho sostenuto finora ritengo che 250000 neuroni non siano sufficienti a produrre l’autocoscienza, del resto è noto che animali ben più complessi della formica ne siano sprovvisti. Ovviamente la questione è delicata, perchè qualunque esperimento volto a determinare l’autocoscienza (vedi esperimenti di Gallup) non puo che essere formulato partendo dal concetto umano di autocoscienza.
Io non sono sicuro che esista un concetto binario di autocoscienza, ma che possano esistere diverse sfumature tali per cui scimmie e delfini ne abbiano una simile alla nostra, i cani una un po’ più “sfumata” (per così dire) e così via man mano che si procede verso il basso nel livello d’encefalizzazione. Le formiche stanno veramente molto in basso in questa catena, e quindi tenderei ad ipotizzare che il loro comportamento sia legato ad una sorta di “coscienza” che va letta al livello collettivo, del formicaio ( è come se il formicaio fosse il vero organismo, così come il nostro corpo è il vero organismo e i suoi organi sono semplicemente pezzi che ne realizzano le funzioni interfacciandosi chimicamente ed elettricamente).
“Coscienza del formicaio” va messo tra triple virgolette perchè sarebbe assurdo dire che nel caso delle formiche la somma delle singole intelligenze produca un’intelligenza superiore (non basta sommare i neuroni, devono anche essere interconnessi tra loro per produrre un intelligenza superiore, e le formiche si scambiano messaggi chimici molto semplici)
@Licurgo
l’individuo nasce da una relazione, e la relazione con l’altro serve a darmi una coscienza della mia individualità, non avrei percezione dell’io se non attraverso l’incontro scontro con ‘altro’. l’animale, la pianta, le montagne, l’atomo (l”indivisibile’…), nasce in e da una concatenazione di relazioni di altri enti
@Andrea
Concordo sull’obiezione della formica-formicaio
Andrea.
La formica non ha intelletto, ma un minimo di percezione istintiva di sè ce l’ha (altrimenti non agirebbe). Il suo istinto fa sì che lei si muova come una parte di un insieme più grande della sua, minima ma presente, individualità (cosa che succede in parte in quasi tutti gli animali, visto che pressochè tutti gli animali sono in qualche modo sociali e non solipsisti, anche se più sono intelligenti e sviluppati più, solitamente, tendono a rafforzare l’individualità rispetto al gruppo: vedi l’uomo). Per parlare però di altruismo nei termini in cui lo usiamo manca la consapevolezza del sacrificio di sè per un bene maggiore, ovvero, come sempre, manca il passaggio della ragione e della scelta.
Concordo al 100% sul passaggio graduale nelle forme animali da una minima percezione del sè all’autocoscienza più sviluppata anzichè concepire un discorso binario, e concordo anche sul legame tra questa gradualità e lo sviluppo della complessità del sistema nervoso centrale.
Ma è il discorso dello strumento (se fosse involucro ci sarebbero problemi logici, se è strumento no) che abbiamo fatto tante volte nei giorni scorsi.
…………………………….
Pastor Nubium.
Per me è ozioso stabilire se l’uno si forma dal molteplice o se l’uno riconosce il molteplice partendo da un’ autopercezione, anche embrionale.
Certo è che il ‘fuori’ è fondamentale e che se non ci fosse un esterno non avrebbe senso parlare di individuo (per quello insisistevo nell’aggiungere ‘diviso dall’esterno’ all”indiviso in sè’).
Quel che non mi trova concorde è dire che l’io sia quasi un’astrazione (artificiale?) dell’intelletto: certo, l’io consapevole e il suo concetto astratto è figlio dell’intelletto, ma il ‘sentirsi’ individuo è questione di istinto e di elaborazione delle sensazioni rispetto ad un centro (se stessi) e, appunto, esiste anche negli animali meno intelligenti.
Se fosse un procedimento esclusivamente intellettivo e concettuale (posto che non esiste concetto che non parta dal sensibile come dato primario di elaborazione) sarebbe presente solo ed esclusivamente nell’uomo o, al massimo, nei soli animali col sistema nervoso centrale maggiormente complesso.
Ciao Licurgo,
faccio due commenti:
” ma un minimo di percezione istintiva di sè ce l’ha (altrimenti non agirebbe)”
ecco qui dobbiamo stare attenti a mio avviso perchè, io ritengo che sia attualmente possibile simulare tecnicamente il comportamento di una formica con un software al punto di rendere una formica artificiale indistinguibile da una vera. I limiti della verifica di tale indistinguibilità sono al momento legati al fatto che ci sarebbe impossibile costruire qualcosa che si comporta come una formica e sembra una formica.
Nel momento in cui stabilissimo che il comportamento della formica (incluso l’insieme delle “relazioni” che leggiamo, sempre con ottica umana nell’osservarla) fosse simulabile da un programma in modo assolutamente aderente, saremmo costretti a dire che il programma ha una qualche percezione di sè ? O dovremmo invece ridefinire tale concetto quando lo attribuiamo, da uomini, alla formica vera?
la formica non pare essere abbastanza intelligente da comprendere il fatto di vivere in una colonia complessa, nè è in grado di organizzare il comportamento dei suoi simili all’interno della colonia, la formica pare vivere seguendo un insieme di semplici regole senza avere coscienza dell’interazione che ha con i suoi simili. queste migliaia di connessioni chimiche creano l’illusione di un’organizzazione imposta da una strategia, il fatto che tale strategia invece “emerga” è alla radice della differenza tra chi ritiene che l’evoluzione possa produrre complessità e chi invece lo nega.
Hai parlato di gradualità in un modo con cui concordo al 100%,
La gradualità nel campo delle facoltà intelligenti è un concetto che ho notato essere sempre osteggiato da chi concepisce la nettta separazione tra uomo e animale, se sei credente (immagino di si) ti chiederei come individui, se lo individui, un netto criterio di separazione tra uomini a animali, posto che vi possa essere gradualità nella relazione sistema nervoso –> autocoscienza come tu stesso ammetti.
Se non lo individui allora sono io che non ho capito molto sulla concezione dei credenti nella relazione uomo-Dio, oppure mi è stata mal spiegata da altri credenti (i miei anni di catechismo non “fanno fede”, vista la tenera età), oppure in ultima analisi il mio ritenerti credente è una fallacia logica legata al fatto che abbiamo avuto posizioni opposte su altri argomenti.
la sostanza del ragionamento per ricondurmi al topic:
la mia opinione è che la finalità sia un’interpretazione umana proprio perchè l’universo appare all’uomo come un formicaio armonioso, mentre in realtà non “sarebbe” lecito spostare l’ambito della finalità al di là della ” creazione” delle semplici regole d’interazione della materia conseguenti all’origine dell’universo.
sui motivi dell’esistenza di tali leggi e dell’eventuale presenza di finalità da parte di un ente originante nel crearle brancolo nel buio quanto a indizi, come il resto del genere umano a mio avviso.
Andrea.
Io non sono credente; sono teista ma non credo in nessuna religione o in un Dio provvidente e buono: insomma sono una specie di pagano.
Dico che la forma razionale (l’intelligenza umana) si distingue da quella sensitiva (l’animale, o meglio gli altri animali) per il fatto che l’uomo pensa al fatto che pensa e si interroga sul fatto che pensa e da lì si forma concetti assolutamente astratti (bellezza, bontà, coscienza).
L’animale, man mano che si evolve la sua struttura cerebrale (ma mai al livello di forma razionale, altrimenti avrebbe anch’esso il metapensiero ed il concetto astratto) compie ragionamenti sempre più articolati e ha sempre più presente a se stesso la sua esistenza come distinta dal resto (ovvero individualità), ma mai arriva ad un livello di consapevolezza astratta come la nostra…e basta vedere le discussioni che stiamo facendo qua tutti insieme per averne la prova empirica della differenza tra sensitiva e razionale.
Simulare il comportamento della formica vuol dire costruire qualcosa altro ad imitazione di una formica, ovvero simulandone i comportamenti, ma quella non sarà mai una formica reale, per cui il problema dell’autopercezione si fa complicato e sfuggente (una formica costruita imita il comportamento della formica, ma non è una formica, e non essendo dotata di linguaggio o latri modi espressivi ai nostri sensi non sapremo mai dire se ha lo stesso identico atteggiamento della formica vera, visto che il comportamentismo per esprimersi compiutamente ha bisogno di dati empirici di valutazione). Non escludo peraltro che in forme consce così minimali ci sia una sostanziale somiglianza con un meccanismo; cosa che escludo nel cane, nel cavallo, nel delfino e nella scimmia che, infatti, essendo animali dal sistema nervoso centrale evoluto ( ma pur sempre facenti parte della forma sensistiva per la mancanza delle suddette astrazioni concettuali), hanno un’individualità molto più distaccata dall’ insieme/gruppo rispetto alla formica
Per finire: non concordo che siamo noi a mettere la finalità nella natura (o perlomeno che siamo solo e soltanto noi), perchè se essa fosse solo nella nostra mente ma non avesse rispondenza oggettiva sul mondo, noi saremmo schizofrenici e non potremmo nemmeno agire (se la causa/effetto fosse solo nella nostra testa, ad esempio, non sapremo mai se ogni volta che mettiamo a bollire l’acqua essa si scalda).
Che poi, a livello submolecolare, la cosa si complichi concordo…ma in fondo è proprio il bello della materia: apparentemente, nella meccanica newtoniana, molto semplice e perfettamente fruibile, sempre più complicata se le si va ‘dentro’.
Nè più nè meno del computer: facilissimo da conoscere ed usare a livello superficiale, complessissimo se si va dentro il linguaggio della progettazione e dentro gli hardware.
E proprio questo paragone sembra (anche se l’argomento decisivo secondo me resta sempre l’argomento dell’atto puro, ma penso che aggiungeremmo troppa carne al fuoco parlandone) deporre a favore di un’intelligenza a monte e dunque di un certo grado di finalismo (dico un certo grado, perchè non escludo che a livelli più profondi o in altre aree dell’universo dove non c’è un’intelligenza, l’uomo, che fruisce il mondo, il rapporto di causlità e la finalità possano essere assenti).
Non c’è più gusto a discutere con te siamo d’accordo su un sacco di cose eheh 😉
solo su due punti dissento:
1) “L’animale, man mano che si evolve la sua struttura cerebrale (ma mai al livello di forma razionale, altrimenti avrebbe anch’esso il metapensiero ed il concetto astratto) compie ragionamenti sempre più articolati e ha sempre più presente a se stesso la sua esistenza come distinta dal resto (ovvero individualità), ma mai arriva ad un livello di consapevolezza astratta come la nostra…”
questo approccio parrebbe minare una relazione graduale tra complessità e consapevolezza che tuttavia mi era parso tu riscontrassi nel post precedente. Posso chiederti secondo te, quali sarebbero le origini dei questo quid “umano” che ci caratterizza ?
2) perchè se essa fosse solo nella nostra mente ma non avesse rispondenza oggettiva sul mondo, noi saremmo schizofrenici e non potremmo nemmeno agire (se la causa/effetto fosse solo nella nostra testa, ad esempio, non sapremo mai se ogni volta che mettiamo a bollire l’acqua essa si scalda)
Ecco questo è un altro punto che non riesco proprio ad accettare, negare la finalità a mio avviso non significa negare le relazioni di causa effetto, significa negare che il prodotto dell’evento n-esimo in una serie di relazioni di causa effetto lunga n, fosse lo scopo esatto della causa numero 1. Un po’ allo stesso modo in cui quando parti col primo colpo in una partita a biliardo, pur avendo lo scopo di mandare tutte le palle in buca (motivo della causa numero 1) tu non avessi come obiettivo l’ottenere l’esatta disposizione di bocce che poi ottieni a fine tiro, che tuttavia è regolata da un preciso insieme di cause ed effetti. Io trovo che l’uomo sia estremamente presuntuoso nell’affermare dal suo piedistallo che lo stato attuale dell’universo, sia non già la conseguenza probabilistica di uno stato iniziale della materia e delle leggi che ne regolano l’interazione, quanto il frutto di un intenzione che avrebbe creato questo immenso “stage” per poi prestare attenzione amorevole ad un mini angolino in cui confinare l’esperienza umana….
Queste frasi raccolgono l’essenza della mia avversione al concetto di creazione intenzionale ed amorevole dell’uomo, cosa che anche tu mi sembri negare nella tua visione pagana.
Ciao Andrea,
Quando tu giochi una partita di biliardo agisci in maniera intelligente allo scopo di mandare tutte le palle in buca. Questo scopo lo puoi raggiungere in un tempo piu’ o meno lungo a seconda della tua abilita, ma comunque in un tempo ragionevole. Ora immagina invece che la boccia da colpire per mandare le altre in buca non sia guidata dalla tua abilita’ e dalla tua volonta’ ma piuttosto da una macchina che colpisce in maniera assolutamente casuale. Quanto credi che potrebbe durare la partita? Mi sembra ovvio che durerebbe un tempo molto piu’ lungo.
Lo stesso principio vale per la comparsa della vita e per il suo sviluppo cosi’ come ora la conosciamo. E’ oramai statisticamente provato che se la vita avesse dovuto svilupparsi solo grazie alla casualita’ avrebbe dovuto impiegare un tempo enormemente lungo; molto piu’ lungo di quello che ora ci sepata dal Big Bang.
Secondo il mio modesto parere (che non e’ solo mio) tutto questo indica che nella natura degli enti fisici dell’ universo e’ stata posta la capacita’ di attuare un fine, e che questa capacita’ trae la sua origine dalla volonta’ e dalla intelligenza di Dio.
In questo modo di pensare io non scorgo traccia di presunzione umana ma, piuttosto una semplice necessita’ logica e, in fondo, anche un atto di profonda umilta’; quello di riconoscere che senza Dio non esisteremmo neppure.
Aggiungo inoltre che se tanta cattiva filosofia non avesse diffuso le sue reeate concezioni antropocentriche non staremmo qui a confrontarci rischiando tripli salti mortali logici: l’uomo non esiste in quanto dubita ma puo’ dubitare in quanto esiste.
“Lo stesso principio vale per la comparsa della vita e per il suo sviluppo cosi’ come ora la conosciamo. E’ oramai statisticamente provato che se la vita avesse dovuto svilupparsi solo grazie alla casualita’ avrebbe dovuto impiegare un tempo enormemente lungo; molto piu’ lungo di quello che ora ci sepata dal Big Bang”
ciao Lucio, son d’accordo sulla premessa ma non sulla conclusione, non credo che l’uomo abbia le prove cui fai riferimento. L’ “insorgere” della vita ha richiesto un tempo enormemente lungo, soprattutto se lo paragoni al tempo che ha poi “richiesto” l’evoluzione per passare da qualcosa di vivo ma estremamente semplice a qualcosa di estremamente complesso come l’uomo. Il che confermerebbe l’estrema rarità (statistica) e l’estrema difficoltà (o se vuoi eccezionalità) della produzione casuale di organizzazioni anche base della materia che siano poi dotate di meccanismi di replicazione (necessari a poter parlare di vita)
Inoltre l’aspetto statistico va considerato non solo sulla scala temporale del tempo che ci separa dall’origine dell’universo bensì anche su quella orizzontale relativa all’immensa numerosità di ambienti nei quali in parallelo tale statistica ha avuto il modo di essere sottoposta al vaglio dell’effettiva probabilità di essere verificata.
Intendo dire che l’universo ha una scala temporale e spaziale che spesso sfugge alle nostre menti umane “programmate” o meglio “evolutesi” per muoversi a loro agio su distanze massime di pochi chilometri e durate massime di qualche decina d’anni.
http://scaleofuniverse.com/
non essendo d’accordo con il primo elemento del tuo ragionamento mi viene quindi molto difficile sposare la seconda parte, e mi vedo costretto a relegare la potenziale funzione di Dio (dando per scontata la necessità logica o filosofica di un creatore di qualcosa che esiste e soprattutto che ha avuto un inizio) a quella di una sorta di equazione generatrice di possibili combinazioni delle costanti di forza dei legami della materia.
Io non escludo quindi il concetto di DIo, semplicemente non mi pare così ragionevole quello di un Dio che crea l’uomo con il fine di amarlo, preferendogli quello di un Dio che crea un set di condizioni iniziali, tira il primo colpo a biliardo, e poi prosegue con eventuali altre attività.
discorso della presunzione vs necessità logica è sicuramente il perno del problema.
Ti assicuro che la mia non è una connotazione negativa, l’espressione presunzione è legata alla mia percezione rispetto all’opportunità di considerare come più semplice e per questo più probabile l’ipotesi di un Dio a sua volta “semplice” e privo d’intenzioni, a parità di effetti finali riscontrabili ovviamente.
93 miliardi di anni luce di diametro fisico * 14 miliardi d’anni di “vita” (si lo so sto semplificando perchè le due dimensioni sono fortemente dipendenti) alla densità di materia presente, fa un’immensa , sterminata base statistica a mio avviso.
A questo bisogna aggiungere le implicazioni del principio antropico: nel momento in cui la scintilla scatta in un punto qualsiasi, giunti alla fase della vita intelligente, i depositari di quell’intelligenza si chiedono,” perchè Proprio qui? ” , “ci sarà pure un’intenzione”, e si dimenticano che la pallina blu che chiamano terra non si trova assolutamente in una posizione particolare all’interno dell’universo.
Anche se la terra fosse l’unico posto in cui vi è vita nell’universo non potremmo escludere aprioristicamente tali aspetti statistici, allo stesso modo in cui è perfettamente plausibile che una sola persona faccia tredici. Con la differenza che nel caso del tredici, milioni di persone si chiedono perchè non lo abbiano fatto loro, nel caso della vita, per la definizione stessa di vita, non c’è nessuno negli altri posti a chiedersi “perchè non sono vivo anc’io”?
Vedo che sono stato battezzato in Andrea_Ateista, beh non sono proprio uno che fa dell’ateismo una professione (nessuno mi paga per questo) tuttavia accetto di buon grado il nuovo nome visto che ho lasciato alla redazione la libertà di sceglierlo per me.
C’è qualcosa che non torna in quel sito delle scale: se nulla può superare la velocità della luce come ha fatto la materia ad espandersi per 92 miliardi di anni luce se aveva a disposizione solo 14 miliardi di anni??
(infatti io sapevo che l’universo era grande 14 miliardi di anni luce)
Inoltre non capisco perché fai il prodotto dimensione*tempo per parlare di una base statistica quando all’istante zero la dimensione era zero. In genere, la base statistica è solo l’età dell’universo e si dice impossibile un evento che non si verifica dopo un tempo di attesa uguale o superiore all’età dell’universo stesso.
Se vuoi detta la mia opinione, secondo me sei vittima dello “effetto Focus”: la divulgazione scientifica mal fatta dà alla testa
@ Nonsense:
Hai ragione ho detto una cazzata totale mischiando i dati della penultima slide (universo osservabile) con quelli dell’ultima.
Quella di focus non è proprio un complimento ad ogni modo non sarei cosi drastico :
delle due l’una:
1)O sono stato precisissimo fin qui ed erano mesi che aspettavi di potermi dare del “Focusaro”
2) Oppure potrei aver sempre detto cazzate e tu ti sei affacciato solo oggi, in tal caso benvenuto ti invito a correggermi quando sbaglio, sono qui per imparare.
credo che in buon sostanza concorderai con me nel definire che c’è meno probabilità che un evento si verifichi in un solo posto aspettando 14 miliardi di anni rispetto al verificarsi in uno tra miliardi di posti in un universo che arriva ad espandersi fino alle dimensioni di quello attuale.
Questo era il senso di quanto ho cosi Focussivamente detto.
Non siamo qui per fare dietrologia sugli interventi altrui, Ateista.
E, credimi, 10^10 non è un tempo così grande riguardo a certe “probabilità” tanto care agli atei.
mi spiace per il nome (non l’ho scelto io..)
– credimi non è un tempo così grande riguardo a certe “probabilità” –
un po’ qualitativa come frase per poterla giudicare al di la’ dell’opinione personale, se secondo te non è grande, secondo me è grandissimo (anche se ne fai una rappresentazione compatta peraltro senza associarle un’unità di misura)
Ciao Andrea,
Non capisco due punti del tuo intervento:
1) Se tui sei Teista dovresti considerarti comunque credente (anche se non Cristiano o Islamico o altro) poiche’ credi comunque che l’universo sia stato creato da Dio e concepisci comunque Dio come essere trascendente rispetto al creato.
2) quando ti dichiari a favore del finalismo ma poi aggiungi: “(dico un certo grado, perchè non escludo che a livelli più profondi o in altre aree dell’universo dove non c’è un’intelligenza, l’uomo, che fruisce il mondo, il rapporto di causalità e la finalità possano essere assenti) mi pare che tu ti contraddica: La finalita’ dell’ universo, qualora esista, puo’ essere stata voluta solo da Dio, e mi sembra quindi logico pensare che questa debba riguardare la globalita’ del creato, non solo le aree dell’ universo dove c’e’ l’uomo. Questa tua posizione mi ricorda le concezioni soggettivistiche dell’ idealismo….
Vorrei chiederti inoltre: cosa ne pensi della V° prova dell’ esistenza di Dio proposta da Tommaso d’ Aquino?
Naturalmente avrei dovuto scrivere: Ciao Licurgo….
Ciao Lucio.
Io credo in un Dio creatore e trascendente (uso meglio il termine causa incausata proprio perchè il termine Dio è ormai di fatto patrimonio religioso), ma non credo nella sua rivelazione nè nella sua provvidenzialità. Per cui non so nemmeno io come definirmi; mi sono definito non credente perchè mi sembrava che Andrea avesse in mente credente nel senso di cristiano, musulmano o altre religioni positive. In fin dei conti, poi, non è importante la definizione: se tu pensi che per un teista filosofico (nel senso che senza l’atto puro non mi spiego il passaggio dalla potenza all’atto e dunque il mondo nè secondo me ci sono spiegazioni filosfiche più adeguate, ma ora sarebbe lunga discuterne)vada bene l’attributo credente va benissimo anche per me!
Sul finalismo: io dico solo che dove non c’è una ragione umana che comprende e fruisce dell’ordine, mi resta difficile pensare come poter riscontrare l’ordine stesso, perlomeno nel modo in cui noi lo concpeiamo.
E’ in effetti una posizione apparentemente soggettiva, dunque come dici tu sembrerebbe idealista e contraddittoria, ma probabilmente mi sono espresso male: forse dovevo dire che manca quello stesso modo di leggere l’ordine con cui l’uomo lo legge qua, ma non intendevo il caos o il caso.
Per cui, sì, probabilmente un principio di ordine è presente anche dove noi non lo capiamo o leggiamo e dico che hai ragione.
………………………………..
Andrea
E’ la forma razionale, di cui la struttura cerebrale complessa è imprescindibile strumento.
Che significa finalismo?
Tutto ciò che è ordinato da un logos, da un complesso di leggi e da rapporti razionali (almeno io lo intendo così): il rapporto di causlità è uno degli esempi più lampanti di questo complesso di regole.
E, appunto, il biliardo funziona proprio perchè è stato pensato per giocare in quel modo e con quelle regole, indipendentemente da come conduci il gioco.
Se, ripeto, non ci fosse grado di corrispondenza, io potrei scaldare l’acqua mettendola nel freezer, come potrei dire che sto giocando ù a biliardo perchè solletico la palla anzichè tirarla.
“Tutto ciò che è ordinato da un logos, da un complesso di leggi e da rapporti razionali ”
io ho l’impressione che il livello d’intenzionalità e di finalità che i credenti attribuiscono a Dio vada ben oltre questa concezione.
Ovviamente la mia ipotesi è che l’universo si sia modificato nel tempo, se ha avuto un origine con precise leggi di cui abbiamo traccia ed è diventato quello che è oggi, ritengo che nessun intervento esterno sia stato realizzato per condurlo a questo punto. ritengo cioè che l’universo attuale sia il prodotto dell’universo nel suo stato iniziale * regole dell’interazione dei suoi elementi anch’esse fisse immediatamente dopo il big bang.
Credo che per dire che Dio abbia voluto l’ordine che c’è oggi sarebbe stato più efficiente sostenere che Dio avesse creato l’universo stamattina, in alternativa secondo me Dio ha semplicemente tirato il primo colpo su un biliardo (o su infiniti altri uno dei quali ha prodotto la combinazione cui assistiamo oggi)
Andrea.
Beh, qua però stiamo uscendo decisamente dal tema,: ovvero se l’universo ha un’ordine e un’armonia oppure no.
Personalmente sono d’accordo che le leggi di natura siano già a monte nell’atto creativo e poi la materia vada avanti con le sue leggi, tuttavia l’atto creativo è fuori dallo spaziotempo per cui possiamo dire che la partecipazione divina alla storia e l’autonomia nello svolgimento storico della materia non sono così antitetiche.
Ma sarebbe lunghissimo parlarne ora con dovizia, anche perchè, ripeto, sarebbe esageratamente fuori tema. E, per rispetto a lettori che non partecipano nei commenti e che si troverebbero davanti una discussione che diverrebbe infinita, in questa sede preferirei evitare.
“d’accordo che le leggi di natura siano già a monte nell’atto creativo e poi la materia vada avanti con le sue leggi, tuttavia l’atto creativo è fuori dallo spaziotempo per cui possiamo dire che la partecipazione divina alla storia e l’autonomia nello svolgimento storico della materia non sono così antitetiche”
Io concordo perfettamente con te su ordine e armonia, nel senso che credo che le leggi e la loro stabilità esprimano un ordine che permette all’universo di procedere nella sua esistenza (e di non “collassare anzitempo”)
L’eventuale atto creativo ha di sicuro le doti che gli attribuisci, qualunque atto diverso da quello tuttavia per manifestarsi in un sistema spazio tempo deve poter avere una coordinata temporale all’interno di questo, e siccome le leggi paiono essere invariabili, sarei portato a sostenere che non ci siano stati interventi considerabili come “post creazione” dall’interno dell’universo stesso e tantomeno in tempi recenti. Da cui la mia linea di pensiero.
Ok io stesso non continuerò più su questo filone,
grazie della risposta.
Andrea.
Per quel (poco) che conosco del tomismo, credo che quanto affermi non sia nemmeno in contrasto con la dottrina cristiana.
Dio è fuori dello spaziotempo, e dal passaggio della potenza/atto (altrimenti non sarebbe atto puro dunque non sarebbe Dio avendo bisogno anch’egli di un agente esterno per passare dalla potenza all’atto), quindi non esistono diversi atti divini, ma uno ed uno solo che li comprende tutti.
Se sulle leggi di natura ciò è chiarissimo, credo che valga anche per l’azione divina verso l’uomo
E’ come dire che quelli che nello spaziotempo si declinano come eventi temporali della presenza divina (antica alleanza, incarnazione ecc…)sono compresi tutti insieme -nel senso di fuori dallo spaziotempo- nell’atto divino che, per le ragioni dette, è uno e non sequenziabile (altrimenti anche Dio sarebbe soggetto al mutamento, al passaggio potenza atto, dunque non sarebbe atto puro, dunque non sarebbe Dio).
Grazie, Fabrizio.
Scusa, Lucio, dimenticavo la tua domanda su Tommaso.
Io penso che la teleologica sia un’ottima argomentazione, anche se, a parer mio e come ho detto, la migliore via sia quella ‘nulla passa dalla potenza all’atto se non tramite uno più agenti esterni già in atto’, poichè, a parer mio, se sviluppata nelle sue implicazioni contiene in qualche modo anche le altre.
Complimenti per la preparazione aristotelico-tomista : teoria ilemorfica / creazione come atto intemporale e immoltiplicabile / indivisum in se et divisum ab alio : tutti concetti ben padroneggiati per non essere alla sequela di Cristo!
Un amante della metafisica
Grazie Licurgo, Ciao!
@Andrea
Se la tua ipotesi di complessità intelligente che emerge da componenti elementari stupide fosse corretta, il funzionamento di una singola cellula dovrebbe essere molto elementare, dato che l’organismo umano è costituito da trilioni di cellule, cosa che evidentemente non è. Inoltre hai detto tu stesso che la gazza è dotata di una certa autocoscienza. Quindi, a meno che non si voglia sostenere la similarità dell’encefalo della gazza con quello del delfino o dello scimpanzè, se ne deve dedurre che l’autocoscienza non scaturisce solo da una certa complessità di reti neurali ma da qualcosa di più complesso che attiene all’intero organismo ed il suo rapporto con l’ambiente. Già il neuropsicologo Antonio Damasio sostiene che non si può ridurre la coscienza nella sola scatola cranica, ma che anche gli altri organi contribuiscono attivamente alla formazione della coscienza.
E c’è qualche filosofo che addirittura si spinge oltre i limiti dell’organismo.
Infine non hai risposto alla mia obiezione: in che modo l’autocoscienza potrebbe assicurare una maggiore sopravvivenza dell’organismo e per questa ragione fu selezionata dall’ambiente?
Mettiamo alcuni individui mutanti provvisti di autocoscienza ed altri sprovvisti. Perchè la natura avrebbe dovuto selezionare i primi e non gli ultimi?
Attenzione che non mi riferisco al linguaggio o ad altro, ma proprio al fenomeno soggettivo cosciente. E non si può di certo sostenere che l’ambiente l’abbia selezionata in vista di un qualche vantaggio futuro, in quanto inficerebbe tutto il meccanismo della mutazione casuale. Per esempio, che vantaggio evolutivo possiamo attribuire alla minima autocoscienza del delfino? Allora se ne deve dedurre che l’autocoscienza sia un epifenomeno e quindi totalmente indifferente a qualsiasi vantaggio evolutivo, ovvero ripredendo il tuo paragone, che l’autocoscienza apparente del formicaio sia indispensabile per la sopravvivenza, mentre quella della gazza o di qualsiasi altro organismo individuale non lo sia, incluso l’Homo sapiens. La dimostrazione è che poche specie viventi siano dotate di un minimo di autocoscienza e le specie più longeve ne erano del tutto prive. Anzi osservando l’accelerazione evolutiva dell’uomo e quindi il suo “consumarsi” velocemente, se ne potrebbe dedurre che, non solo l’autocoscienza non abbia alcuna attinenza con la sopravvivenza, ma che addirittura la contrasti. E questo perchè sappiamo che l’autocoscienza portata al suo limite implica il concetto di libertà di scelta, ovvero della decisione arbitraria (non sempre l’organismo autocosciente sceglie per il suo meglio) e quindi spesso si oppone di fatto alla teoria evolutiva.
Ricapitolando: se l’autocoscienza (umana) è un epifenomeno, com’è che è stato selezionato dall’ambiente, e mi riferisco alla fase embrionale?
Se non lo è, quale vantaggio evolutivo comporta e perchè è diffusa così scarsamente tra le specie viventi ed estinte? Ed ha senso parlare di intelligenza che non attenga alle caratteistiche proprie di quel determinato organismo, ovvero affermare che l’uomo è più intelligente di un felino, che sappiamo essere una delle macchine evolutive più perfette?
Ciao Antonio,
se tu partissi dal concetto che l’uomo sia stato creato così avresti effettivamente ragione, non vi sarebbe nessun motivo per ritenere che sia necessario che le parti che compongono il nostro organismo fossero così complesse. ma soprattutto non vi sarebbe nemmeno necessità di progettare complessità inutili come l’appendice, il singhiozzo, le ultime vertebre lombari, la naturale predisposizione del canale inguinale all’erniazione e così via.
Tuttavia, calando la struttura umana nel contesto evolutivo, credo si debba ragionare sulla struttura cellulare nel contesto che essa ha avuto nell’intero spettro di evoluzione della vita, dai primordi ad oggi.
a livelli dimensionali molto più piccoli di quelli dell’uomo il meccanismo della cellula ha rappresentato sicuramente un veicolo di differenziazione e specializzazione efficiente. Non è detto che tale resterebbe dovendo riprogettare l’uomo da zero domani mattina.
“in che modo l’autocoscienza potrebbe assicurare una maggiore sopravvivenza dell’organismo e per questa ragione fu selezionata dall’ambiente?”
.. omissis …
“Ricapitolando: se l’autocoscienza (umana) è un epifenomeno, com’è che è stato selezionato dall’ambiente, e mi riferisco alla fase embrionale?
Se non lo è, quale vantaggio evolutivo comporta e perchè è diffusa così scarsamente tra le specie viventi ed estinte? Ed ha senso parlare di intelligenza che non attenga alle caratteistiche proprie di quel determinato organismo, ovvero affermare che l’uomo è più intelligente di un felino, che sappiamo essere una delle macchine evolutive più perfette?”
Ciao Antonio, ti confermo che il mio è solo un sospetto a cui attribuisco una certa probabilità (come tutto ciò che riguarda i nostri discorsi sull’evoluzione) . Da non credente faccio due ipotesi:
1) i l’autocoscienza emerge come puro side-effect della complessità cerebrale, noi l’avremmo e basta, e siccome ce l’abbiamo ci chiediamo, come è lecito, il perché l’abbiamo. la complessità cerebrale emergerebbe dal fatto che essa presenta vantaggi di selezione in campi diversi dall’autocoscienza (es: velocità di calcolo memoria , correlazione di situazioni passate al fine di prevedere scenari futuri etc etc)
2) l’autocoscienza è un fattore differenziante e che fornisce un vantaggio competitivo: questo equivale a dire che presi duecento uomini di cui 100 col cervello di una formica (e le sue capacità di “annusare i feromoni”) e 100 con le facoltà umane, i secondi vincerebbero nella lotta per la vita, ossia nella capacità di formulare strategie di sopravvivenza efficienti per accaparrarsi un set limitato di risorse (perché quello è il contesto in cui l’uomo si è evoluto, la scarsità di risorse). Ma anche assumendo per vero questo aspetto il tutto va ricondotto al contesto ambientale e lo faccio rispondendo a questa tua domanda:
“Se non lo è, quale vantaggio evolutivo comporta e perchè è diffusa così scarsamente tra le specie viventi ed estinte?”
credo che quelle che noi definiamo specie vadano analizzate nel contesto della nicchia ambientale in cui si sono evolute, non credo vi sia una necessaria relazione tra autocoscienza (o altre caratteristiche umane) ed efficienza evolutiva, infondo se ci pensi più del 95% della massa vivente è invertebrata, in quest’ottica non sono forse loro i veri vincitori della lotta?
L’evoluzione si amplifica in contesti ambientali in cui la selezione si fa più pressante, ma non ha molto senso dire in modo assoluto che l’uomo sia una macchina migliore del felino o del verme, è semplicemente più complessa perché l’insieme di pressioni evolutive cui è stato sottoposto ha prodotto tale complessità.
scusa ti ho salutato due volte… forse sono schizofrenico, ha ragione Licurgo..
Ciao Andrea,
sei uno dei pochi che si scusa per eccesso di saluto, il quale molto probabilmente proviene da un eccesso di educazione piuttosto che da altri eccessi. Sappiamo per esempio che in Giappone si perdono da sempre in cerimonie complesse e varie del saluto, con inchini ed altre formalità. Addirittura ho letto da qualche parte che un giapponese, dopo essere stato investito lievemente da un’automobile, si è rialzato, inchinato e scusato con il suo investitore. Ma questi eccessi appartergono più all’evoluzione culturale che a quella naturale. E come giustamente ha detto più volte Licurgo è evidente che sia caratteristica prettamente umana.
Prendiamo il punto fermo su cui mi pare concordiamo: l’autocoscienza non presenta alcuna funzione evolutiva apprezzabile e nessuno organismo viene selezionato in base a questa caratteristica, la quale semmai, emerge da altre funzioni inferiori (o superiori, a seconda di come si veda la cosa) indispensabili per la sopravvivenza. Io stesso avevo accennato all’ipotesi dell’antropologo Harris sull’evoluzione del cervello dell’Homo erectus rispetto all’habilis, che permise al primo di condurre uno stile di vita praticamente identico all’ultimo per circa un milione di anni. E questo perchè si presuppone che il cervello all’erectus non servisse affatto a ragionare o a far di conto, bensì ad aumentare la resistenza alla corsa, fondamentale per la sopravvivenza quando non si hanno archi a disposizione.
Ma ora viene il paradosso, che il fenomeno soggettivo cosciente, ovvero una funzione, anzi neanche una funzione, un fenomeno appunto, diviene nel corso dell’evoluzione la più potente arma a disposizione di un organismo vivente, tanto che gli consente per la prima volta in miliardi di anni di evoluzione, di dirigere a piacimento il processo evolutivo o addirittura di evitarlo. Ciò mi ricorda lo stupore degli spagnoli quando videro gli indigeni centro americani usare la ruota esclusivamente come gioco per bambini, quando non c’era neanche l’ombra di un carro. E’ evidente che gli spagnoli non pensarono che il carro va attaccato ai buoi, ma se questi non ci sono, il carro a che serve? Allora, niente buoi e nessun carro e neanche successive invenzioni di ingranaggi o pulegge, e quindi tecnologia praticamente ferma alla ruota giocattolo. Questa metafora azzardata potrebbe spiegare l’autocoscienza inutile, che comincia a diventare sempre più utile con la presenza di determinati fattori esterni, fino a divenire indispensabile, per poi alla fine sottomettere tutto il resto.
Ma questo è il punto di vista evolutivo e quindi parziale. Ma se provassimo ad applicarlo a livello cosmologico, cosa succede? Un universo le cui costanti fondamentali consentono l’esistenza della materia, in particolare quella leggera che origina le stelle, dalla cui esplosione derivano tutti gli altri elementi pesanti, tra i quali il carbonio, fondamentale per la vita terrestre (l’unica che conosciamo) il cui sviluppo è progressivo e graduale e da cui scaturisce l’inutilità di quella funzione che oggi ci permette di affermare che l’universo esiste solo perchè noi lo osserviamo (interpretazione di Copenaghen della MQ). Non male per un qualcosa che si ritiene inutile.
Buongiorno Prof, la ringrazio dell’articolo.
Condivido il suo punto di vista, però mi pongo delle domande.
L’obiezione classica agli idealismi di ogni sorta è: ogni finalità, ogni causa, ogni principio è sviluppato dal cervello dell’uomo.
Pertanto un prodotto della natura umana, fatta di “symbol” e segni.
Molto tempo guardai un programma di Scienza (non ricordo il nome) in cui, venivano esaminate le suggestioni celebrali,visive,interpretative dell’Uomo.
La mia domanda è: si può stabilire una correlazione tra mente e spazio?
Grazie di cuore, continuerò a leggerla.
Caro Gemini, sulla tua ultima domanda non so cosa dire. Su quanto affermi prima, sì.
E’ vero che il concetto di finalità o di progetto è una elaborazione della nostra mente, ma è altrettanto vero che non nasce dal nulla, ma dall’osservazione analitica della realtà.
La finalità nasce dopo aver interrogato la realtà e aver scoperto che risponde in termini di “ordine, concatenazione, successione di eventi, causa di eventi, ecc…”
Quindi la finalità prima di essere presente nella mia mente, è stata presente nella natura. La mia mente l’ha colta.
Aristotele è fortissimo in questo senso.
grazie per le belle parole…
Intendevo: la lettura umana della realtà naturale per svilupparsi deve utilizzare -“codici interpretativi”. Ecco la domanda è: lo spazio, o gli altri Enti naturali, possono essere impersonali (quindi non studiabile al 100% dalla mente umana)?
Questo spiegherebbe perché nella Storia si sono stati formati molti sistemi fisici e poi superati a loro volta molti secoli dopo.
Da Newton fino ad Einstein.
La mia domanda si colloca nell’interpretazione scientifica operata da essere umani che sarà sempre limitata. Quindi il finalismo può essere una concezione umana nata da una suggestione per spiegare la Natura?
Grazie.
Concordo Prof. Fasol, grazie per il suo articolo!
@ Fabrizio Ede.
Avevo messo una riga in cui ti ringraziavo per le tue parole nei miei confronti, ma me l’ha messa sopra il tuo intervento.
Te la ripeto qua, almeno potrai leggere, perchè credo che sia un dovere di buona educazione.
Grazie mille per le tue parole.
Ciao Andrea,
Ti rispondo un po’ in fretta perche’ purtroppo ho poco tempo.
Per quanto riguarda il tuo intervento in cui controbatti le mie affermazioni statistiche voglio farti presente che esistono stime molto attendibili che parlano di una estrema improbabilita’ che la vita si sia formata solo per caso (ne ha parlato con competenza anche il Prof. Masiero in questo sito).
L’ altra tua obiezione, quella secondo la quale bisognerebbe tenere presenti anche le (per noi) inconcepibili dimensioni dell’ universo nel calcolo delle probabilita’ in questione, non mi convince per due motivi principali:
1) non e’ appurato che esistano forme di vita al di fuori del nostro pianeta (cioe’ che sia valida la cosiddetta teoria della panspermia)
2) anche se fuori del nostro pianeta esistessero forme di vita mi pare ragionevole supporre che queste dovrebbero essere comunque basate sulla chimica del carbonio. Dovrebbero quindi essere simili a quelle presenti qui sulla terra e dovrebbero pertanto avere bisogno di tutte le numerose e singolari condizioni fisiche ed astronomiche favorevoli che esistono sul nostro pianeta.
Se consideriamo questi fattori, allora (anche se non sono in grado di realizzare su questo punto un attendibile calcolo statistico) mi pare abbastanza ragionevole concludere che anche le inconcepibili dimensioni dell’ universo non possano intaccare piu’ di tanto la tesi che sostengo.
Infine, per quanto riguarda la tua obiezione basata sul Principio Antropico, voglio farti notare che la eventuale comparsa di forme di vita su altri pianeti non necessariamente puo’ giungere ad evolvere in forme di vita intelligenti o addirittura, come nel caso dell’ uomo, capaci di trascendenza.
Per ultimo, anche riguardo al nick con cui la relazione ti ha “ribattezzato”, vorrei chiederti: ma tu ti ritieni ateo o agnostico?