L’aborto e la mortalità materna: rassegna scientifica

L’aborto chirurgico aumenta o diminuisce la mortalità materna? Cosa dice la letteratura scientifica in merito? Abbiamo raccolto una serie di studi scientifici che dimostrano il collegamento tra l’interruzione di gravidanza ed un aumentato rischio di mortalità della donna.


Anche se non sempre citati dai media, una discreta mole di studi scientifici peer-review rileva un collegamento tra l’aborto procurato e un maggiore tasso di mortalità per le donne che vi ricorrono, dato più elevato se paragonato all’aborto spontaneo e alla gravidanza portata a termine. In altri dossier abbiamo invece esaminato la letteratura scientifica riguardante i rischi per chi si sottopone all’aborto di soffrire di depressione e traumi emozionali nel post-aborto, un aumentato rischio di placenta previa, di infezioni (croniche) all’utero, di placenta previa, cancro al seno, di nascite premature e aborti spontanei.

Qui di seguito una serie di studi scientifici (elenco costantemente aggiornato) sul legame tra interruzione di gravidanza e aumento del rischio di mortalità materna.

 

ELENCO STUDI SCIENTIFICI SU ABORTO E MORTALITA’ MATERNA

 

 
 

Nel gennaio 2017 la rivista Contraception ha pubblicato uno studio firmato da Blair Darney, della Oregon Health & Science University, il quale ha tentato di smentire una precedente indagine realizzata dall’epidemiologo cileno Elard S. Koch (Melisa Institute), la quale dimostrava che in Cile, da quando l’aborto è stato vietato dal 1989, non si è verificato alcun aumento della mortalità materna e, anzi, è ancora oggi uno dei Paesi con il tasso più basso di mortalità materna nel mondo. Finanziato per 250mila dollari dalla Society of Family Planning (ente pro-aborto) -la cui rivista è proprio Contraception, dove è apparso lo studio-, Darney ha pubblicato la sua ricerca per dimostrare che vietare l’aborto significa aumentare la mortalità delle donne scoprendo però una diminuzione della mortalità materna nei 31 stati dell’America latina che limitano l’aborto rispetto a quelli relativi a Città del Messico, dove non vi sono restrizioni. Tuttavia, nelle conclusioni il ricercatore ha scritto l’esatto opposto, cioè che «Città del Messico (l’unico stato con accesso all’aborto su richiesta) è associato a una diminuzione di 22,5 unità in MMR rispetto ai 31 stati con accesso limitato». Dopo che sono emerse le manipolazioni, la rivista ha subito ammesso alcuni errori presenti nell’indagine di Darney ed è arrivata a ritirare totalmente lo studio e a ritrattarne le conclusioni.

 

Nel gennaio 2015 uno studio pubblicato sul “Scandinavian Journal of Public Health” ha mostrato che il tasso di suicidi dopo aborto volontario in Finlandia, seppur in calo, rimane molto alto rispetto alla popolazione generale.

 

Nell’estate 2013 sul “Journal of American Physicians and Surgeons” si sono confrontati i dati sanitari nazionali per un periodo di 40 anni tra l’Irlanda e la Gran Bretagna, rilevando migliori risultati per quanto riguarda la salute materna e quella dei neonati in Irlanda, dove l’aborto è fortemente ristretto, rispetto alla Gran Bretagna, dove l’aborto è legale dal 1968.

 

Nel novembre 2012, uno studio del Center for Disease Control and Prevention ha rilevato che 12 donne sono morte per complicazioni legate all’aborto legale nel 2008, numero raddoppiato rispetto all’anno precedente.

 

Nel settembre 2012 uno studio delle cartelle cliniche di quasi mezzo milione di donne in Danimarca, pubblicato sulla rivista “Medical Science Monitor”, ha rivelato tassi di mortalità materna significamene più elevati a fronte di un aborto indotto. I ricercatori, hanno esaminato i tassi di mortalità a seguito della prima gravidanza di donne in età riproduttiva, e i grafici dei tassi di mortalità dopo 180 giorni, 1 anno e 10 anni dalla prima gravidanza.

 

Il 30 agosto 2012 sulla rivista Medical Science Monitor è stato pubblicato uno studio intitolato: Short and long term mortality rates associated with first pregnancy outcome: Population register based study for Denmark 1980–2004. E’ basato sulle cartelle cliniche di quasi mezzo milione di donne in Danimarca, e sono stati rilevati tassi di mortalità materna significamene più elevati a fronte di un aborto indotto. I ricercatori, hanno esaminato i tassi di mortalità a seguito della prima gravidanza di donne in età riproduttiva, e i grafici dei tassi di mortalità dopo 180 giorni, 1 anno e 10 anni dalla prima gravidanza. I risultati delle ricerche –come abbiamo osservato– hanno evidenziato tassi di mortalità significativamente più alti tra le donne che hanno abortito in ogni periodo di tempo esaminato; nel complesso, lo studio ha rivelato che le donne che hanno avuto aborti nel primo trimestre avevano un rischio di morte superiore dell’89% entro il primo anno, e un rischio superiore dell’80% nell’intero periodo preso in esame.

 

Nel luglio 2012 è morta per emorragia Tonya Reaves, 24 anni, in seguito ad un aborto in una clinica di Chicago di “Planned Parenthood”.

 

Nel maggio 2012 sulla rivista scientifica PLoS One è stato pubblicato uno studio nel quale si smentisce che l’aborto illegale è associato alla mortalità materna. Uno degli autori dello studio, Elard S. Koch, epidemiologo del Dipartimento di Medicina dell’Università del Cile, ha commentato: «Spiegare la diminuzione del tasso di mortalità materna in Cile come conseguenza dell’uso di farmaci come il misoprostol, il mifepristone o la RU-486 è una speculazione non supportata dai nostri dati epidemiologici». Anche perché l’utilizzo di contraccettivi è diffuso solo tra il 36% delle donne in età riproduttiva. «Questi dati suggeriscono che nel corso del tempo, le leggi restrittive sull’aborto possono avere effetto. In effetti, il Cile presenta oggi uno dei più bassi tassi di morti materne legate all’aborto in tutto il mondo con un calo del 92,3% dal 1989 e una diminuzione del 99,1% accumulata in 50 anni. E’ necessario sottolineare che il nostro studio conferma che il divieto di aborto non è legato ai tassi globali di mortalità materna. In altre parole, rendendo illegale l’aborto non si aumenta la mortalità materna: è un dato scientifico dimostrato nel nostro studio».

 

Il 27 maggio 2011 un medico australiano, James Latham Peters, è stato accusato di mettere in pericolo la vita dei pazienti dopo aver infettato quasi 50 donne di epatite C in una clinica per aborti a Melbourne.

 

Il 26 maggio 2011 un’altra clinica abortista è stata chiusa in America, la Gentilly Medical Clinic for Women, dopo un controllo a sorpresa, dove si è constato che le pessime condizioni igieniche mettevano a rischio le pazienti

 

Il 10 marzo 2011 il The Washington Times ha annunciato la chiusura di altre due cliniche abortive a Philadelphia per “misere condizioni igieniche”

 

Il 3 marzo 2011 la Golden Gate Community Health (GGCH), un ex affiliato di Planned Parenthood e principale fornitore di servizi di aborto di San Francisco, ha annunciato che chiuderà tutte le sue strutture. I guai sono iniziati dopo la morte di una paziente e una cattiva gestione finanziaria

 

Il 22 gennaio 2011 ha definitivamente chiuso la “clinica degli orrori”, il centro abortivo gestito dal medico abortista Kermit Gosnell, dove almeno due donne sono morte sotto i ferri. Il New York Times rivela che gli agenti di polizia hanno trovato che la clinica era «puzzolente, in condizioni generalmente squallide, sangue sul pavimento, un odore di urina nell’aria e feci di gatto sulle scale»

 

Nel maggio 2011 i quotidiani internazionali hanno dato la notizia della morte di una ragazza portoghese di sedici anni a causa dell’utilizzo della pillola RU486. Le vittime accertate della RU486 salgono così a 32. Il Ministero della Salute italiano ha segnalato il caso all’Ema, l’agenzia di farmacovigilanza europea, chiedendo un supplemento di indagine e un aggiornamento sulle segnalazioni di decessi e complicanze.

 

Nell’ottobre 2010 il Cdc («Centres for Disease Control and Prevention») di Atlanta, nell’ultimo numero della prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine, ha annunciato la morte di due donne a causa di shock settico da «Clostridium sordellii», entrambe dopo aborto medico.

 

Il 9 dicembre 2009 il sito web www.christianpost.com ha informato, tramite un’intervista a Troy Newman, presidente di Operation Rescue, che dal 1991, 2/3 delle clinche abortiste americane sono state chiuse per illegalità e procedure mediche pericolose. Allora erano presenti 2.200 cliniche, oggi ci sono solo 713 ambulatori.

 

Il 31 luglio 2009 il ginecologo radicale Silvio Viale, colui che ha iniziato a Torino la sperimentazione della pillola abortiva RU486, ha dichiarato che 29 donne morte a causa della pillola non sono per nulla un problema: «La RU486 non è assolutamente pericolosa. E 29 decessi sono nulla. Non sono un problema per nessun farmaco»[]. Solo un’incidente di percorso quindi, una piccola sfortuna. Sappiamo che qualcuno ha inviato le parole di Viale alle famiglie delle ragazze morte.

 

Il 27 settembre 2007 la The Alternatives abortion clinic di Atlantic City (New Jersey), ha dovuto chiudere per mancanza di adeguate condizioni igieniche. Il personale ha mostrato “un atteggiamento di disprezzo per la salute e la sicurezza dei loro pazienti”.

 

Nell’ottobre del 2006, durante il congresso di Roma della FIAPAC, un’associazione che raggruppa operatori sanitari nel settore della contraccezione e dell’aborto, è stata data la notizia che a Cuba un’altra donna è deceduta a seguito dell’aborto farmacologico. La procedura ha comportato l’impiego delle sole prostaglandine somministrate con uno schema di 4 dosi da 400 mcg ciascuna per via vaginale. Una sepsi da batterio del genere clostridium sarebbe all’origine del quadro settico che ha ucciso la donna.

 

Nel gennaio 2006 il docente di Chimica fisica all’Università di Perugia e membro nazionale del Comitato di Bioetica, Assuntina Morresi, ha informato che sono stati segnalati 607 “eventi avversi” a seguito dell’aborto con la pillola Ru486 alla “Food and drug administration” (l’ente americano preposto alla registrazione dei farmaci) fra il 2000 e il 2004. I 607 casi sono stati analizzati in un articolo pubblicato sugli Annals of Pharmacotheraphy, disponibile in rete.

 

Il 29 dicembre 2005 il ginecologo radicale Silvio Viale, colui che ha iniziato a Torino la sperimentazione della pillola abortiva RU486, ha dichiarato«in nazioni come la Francia, la Gran Bretagna, la Svezia, dove questo farmaco è usato da 15 anni, non siano mai stati rilevati decessi o conseguenze devastanti per la salute della donna».

 

Nel luglio del 2005 il New York Times ha dato notizia di altre due donne morte a causa della pillola abortiva RU486.

 

Nel febbraio 2004 ricercatori finlandesi, basandosi sulle cause di morte di donne tra i 15 e i 49 anni tra il 1987 e il 2000 e associando i dati registrati al Cause-of-Death Register, al Medical Birth Register, al Register on Induced Abortions e al Hospital Discharge Register, hanno rilevato che il tasso di mortalità è più basso dopo un parto (28.2/100, 000), rispetto che dopo un aborto spontaneo (51.9/100, 000) o -ancor di più- rispetto ad un aborto indotto (83.1/100, 000). I ricercatori quindi riconoscono un alto rischio di mortalità per le donne che interrompono la gravidanza rispetto a coloro la portano a termine. Lo studio è pubblicato sull’American Journal of Obstetrics & Gynecology.

 

Il 25 novembre 2003 è morta Leigh Ann Stephens Alford, 34 anni, dopo un aborto sicuro e legale per mano del dottor Malachia DeHenre al Summit Medical Center of Alabama, una clinica del National Abortion Federation a causa di un’emorragia provocata da perforazione uterina.

 

Nel giugno 2003 uno studio sulla mortalità associata alla gravidanza, pubblicato nel numero del “Journal of Obstetrics and Gynecology” (AJOG), ha scoperto che il tasso di mortalità associato all’aborto è 2.95 volte più alto rispetto a quello associato alla gravidanza portata a termine. Lo studio ha coinvolto l’intera popolazione di donne dai 15 ai 49 anni di età in Finlandia tra il 1987 e il 2000. Il tasso di mortalità annuale delle donne che hanno avuto un aborto si è rivelato del 46% superiore a quello delle donne non gravide, mentre le donne che hanno portato a termine la gravidanza hanno rivelato un tasso di mortalità significativamente inferiore alle donne non gravide. Gli autori, guidati da Mika Gissler del Finland’s National Research and Development Centre for Welfare and Health, hanno concluso che la gravidanza contribuisce ad un effetto salutare per le donne.

 

Nel 2002, David C. Reardon ha pubblicato uno studio chiamato “Deaths Associated with Pregnancy Outcome: A Record Linkage Study of Low Income Women” sul Southern Medical Journal in cui dimostra che su 173.279 donne in gravidanza tra il 1989 e il 1997, coloro che avevano abortito presentavano un rischio significativamente più alto di morte (quasi il doppio nei successivi due anni), a breve e lungo termine (anche fino a 8 anni dopo l’aborto), rispetto alle donne che avevano portato a termine la gravidanza. Esisteva anche un tasso più alto del rischio di morte per suicidio (2,54), incidenti (1,82), cause naturali (1,44), compresa la sindrome di AIDS (2.18), le malattie circolatorie (2,87) e le malattie cerebrovascolari (5.46). Ha dunque concluso che i tassi di mortalità più elevati sono associati all’aborto e che essi persistono nel tempo e attraverso i confini socio-economici

 

Nell’agosto 1997 uno studio finlandese, pubblicato su Acta et Obsetricia Gynecolgica Scandinavica, ha dimostrato che il rischio di morire entro un anno dopo un aborto è molte volte superiore al rischio di morire dopo aborto spontaneo o il parto. Il tasso di mortalità su 100.000 casi si è rivelato essere del 27% per le donne che avevano partorito, del 48% per le donne che avevano avuto aborti spontanei o gravidanze ectopiche, e del 101% per le donne che avevano avuto aborti volontari. Rispetto alle donne che hanno portato avanti la gravidanza, le donne che hanno abortito avevano dunque 3,5 volte più probabilità di morire entro un anno.

 

Il 16 settembre 1997 è morta Gracealynn “Tammy” Harris, 19 anni, dopo un aborto eseguito dal Dr. Mohammad Imran alla Delaware Women’s Health Organization. I rapporti indicano che Tammy ha avuto un attacco cardiaco di fronte ad alcune infermiere della clinica. La famiglia di Tammy ha presentato una denuncia contro Imran e contro la clinica, vincendola

 

Nel dicembre 1996 i quotidiani americani hanno informato di un’altra donna morte in seguito ad un aborto, eseguito presso la clinica abortista A Lady’s Choice Women’s Medical Center in Moreno Valley. Si tratta di Sharon Hampton, 27 anni, uccisa dal medico abortista Bruce S. Steir durante un’interruzione di gravidanza al secondo trimestre. La donna è morta di emorragia interna causata dalla perforazione dell’utero perforato

 

Il 2 novembre 1994 la diciottenne Christine Mora è morta in seguito ad un aborto legale presso il Doctors’ Surgical Center in Cypress, California. Era circa 17 settimane di gravidanza e una scuola superiore di alto livello. La causa della morte è dovuta alla violazione delle cure standard da parte dei medici abortisti. La famiglia ha presentato una denuncia contro la clinica

 

L’11 maggio 1994 è morta la quindicenne Sara Neibel al Midtown Hospital di Atlanta a causa di aborto sicuro e legale a 17 settimane di gravidanza. Le fu dato un certificato di buona salute e venne inviata a casa. Il giorno seguente è morta a causa dal liquido amniotico infettato nel suo sangue. Il Midtown Hospital era allora membro del National Abortion Federation

 

Il 5 settembre 1992 è morta Deanna Bell, 13 anni, dopo che ha subito un aborto multi-fase sicuro e legale presso l’Edward Allred’s Albany Medical Surgical Center di Chicago, membro del National Abortion Federation

 

Il 2 novembre 1991 Latachie Veal, 17 anni e da 22 settimane in gravidanza, è morta in seguito ad un aborto procurato dal dott. Robert Dale Crist. Secondo il racconto della famiglia, la donna a causa della copiosa fuoriuscita di sangue chiese aiuto allo staff della clinica abortista. Le dissero che i suoi sintomi erano normali, e la mandarono a casa. Diverse ore più tardi Latachie ha smesso di respirare

 

Il 17 ottobre 1990 è morta Christina Goesswein, 19 anni e alla 23 settimana di gravidanza, in seguito ad un aborto sicuro e legale praticato dal dottor Moshe Hachamovitch. Al medico abortista è stata sospesa la licenza a causa della sua falsa documentazione in merito alla somministrazione di ossigeno e la perdita di sangue della ragazza

 

Nel 1990 uno studio apparso su Journal of Obstetrics and Gynecology ha dimostrato che, su 5.797 donne con diagnosi di gravidanza extrauterina tra il 1972 e il 1985, il tasso di mortalità della donna che aveva proceduto ad abortire era 1,3 volte superiore al tasso di mortalità tra le donne non sottoposte all’aborto

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