I benefici sociali ed economici del matrimonio

FamigliaIl matrimonio ha effetti positivi per l’intera società, sopratutto dal punto di vista dei benefici per la salute sociale ed economici.  

Lo riporta un articolo comparso su Heritagecitando una serie di studi recenti. Le famiglie sposate, ad esempio, tendono ad avere  una migliore salute finanziaria, maggiori risparmi e una maggiore mobilità sociale rispetto alle famiglie non sposate. Le coppie sposate tendono anche ad avere un reddito medio più elevato e una maggiore probabilità di possedere case di proprietà rispetto a famiglie con adulti non sposati.

Sposarsi può altre sì avere un  effetto profondamente positivo  sul benessere psicologico, lo stess e l’abitudine al fumo. Il matrimonio è anche associato a  tassi di mortalità più bassi .

I bambini che crescono in famiglie formate da una coppia di coniugi sposati hanno una maggiore probabilità di andare incontro a stabilità economica, elevato rendimento scolastico e maturità emotivaAdolescenti cresciuti in queste famiglie presentano meno probabilità di essere sessualmente attivi  e meno probabilità di abusare di droghe e/o alcool, mostrano inoltre comportamenti sociali migliori e partecipano meno a crimini violenti

Purtroppo per la società i legami matrimoniali sono sempre meno, e sempre meno persone godono di questi vantaggi personali e sociali, preferendo le instabili e disimpegnate relazioni di convivenza

 

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Non essere sposati aumenta il rischio di morte prematura

MatrimonioUna recente ricerca condotta presso il Duke University Medical Center a Durham, North Carolina, ha scoperto che le persone non sposate presentano un rischio più alto di morte prematura in particolare durante la middle age, ovvero tra i quaranta e i sessant’anni.

I ricercatori, guidati dalla dott.essa Ilene Siegler, hanno analizzato i dati di 4.802 persone e hanno appunto scoperto che coloro che non si sono mai sposati avevano più del doppio di probabilità di morire prima rispetto a coloro che sono sposati. Essere single, o aver perso un partner senza averlo sostituito è correlato ad un aumentato del rischio di morte precoce durante la mezza età e riduce la probabilità di sopravvivenza durante l’anzianità. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Annals of Behavioral Medicine e una sintesi è pubblicata su Sciencedaily.

Il matrimonio, dunque, conviene anche dal punto di vista del proprio benessere psicofisico, come è stato anche riconosciuto in un recente editoriale sul British Medical Journal (qui una sintesi): «a conti fatti vale probabilmente fare lo sforzo di sposarsi», hanno concluso con un pizzico di ironia. E’ infatti chiaramente dimostrato che le donne sposate si espongono ad un abbassamento del 10-15% del tasso di mortalità e per gli uomini un calo dei rischi di andare incontro ad ictus, malattie cardiache e complicazioni dovute a stili di vita non salutari.

Una serie di studi simili è possibile trovarla in questa pagina, dove si evince che il matrimonio conviene per la coppia e anche per i figli, i quali sono invece esposti a una peggiore salute psico-fisica se i due genitori non scelgono di sposarsi.

La scelta di sposarsi è fortemente avversata dalla vulgata occidentale, la quale predilige la meno impegnativa convivenza.  La Chiesa cattolica invita invece le coppie al matrimonio per rispondere alla vocazione (compito) che Dio ha dato a loro, ovvero la cooperazione nel dono della vita e la generazione di un nuovo essere umano attraverso l’educazione.

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Le donne sposate subiscono meno abusi di quelle conviventi

abusi contro donneViolenza femminile e matrimonio. Secondo uno studio le donne conviventi o single subiscono più abusi sessuali rispetto alle donne sposate e soffrono maggiormente di depressione e abuso di sostanze stupefacenti.

 

Un interessante studio sul matrimonio è stato pubblicato lo scorso dicembre sul Journal of Public Healthed è relativo a un confronto di donne sposate in gravidanza con donne conviventi o single. L’indagine ha mostrato che le donne sposate sono meno soggette all’abuso subito dai partner, all’abuso di sostanze stupefacenti e alla manifestazione di depressioni post-partum.

Lo studio ha in particolare mostrato che su 6421 donne fertili “solo” il 10,6 per cento delle donne sposate era stata soggetta a uno dei tre mali sopracitati. Ma la percentuale saliva al 20 per cento per le donne conviventi, al 35 per cento per le donne single mai state sposate, e al 67 per cento per coloro che avevano divorziato un anno dopo la nascita del bambino. Dati allarmanti! Lo studio rileva anche che la quantità di figli nati fuori dal matrimonio in Europa ha ormai superato quella dei figli nati all’interno di un matrimonio. Il dottor Marcelo Urquia, epidemiologo promotore della ricerca, sottolinea che “la novità di questo studio è che per la prima volta abbiamo osservato la durata della convivenza delle coppie non sposate e abbiamo constatato che più breve è la convivenza maggiore è il rischio nelle donne di essere violentate, di assumere droghe e cadere in depressione per tutto il tempo della gestazione. Non abbiamo visto questo modello tra le donne sposate, che hanno avuto meno problemi psicosociali, indipendentemente dalla durata del tempo con cui hanno vissuto con i loro coniugi”

Recentemente uno studio dell’Istat, riportato da Il Foglio, ha mostrato molto chiaramente che nel Nord Italia il matrimonio religioso abbia perso 3 punti percentuali rispetto al matrimonio civile. Ma molto acutamente il giornalista Roberto Volpi ha fatto notare come, seppur ci siano più matrimoni civili, è anche vero che rispetto a 3 anni fa la percentuale di matrimoni civili sia scesa di un buon 12 per cento, e che anche questo tipo di unione stia già perdendo terreno. Ma il tema centrale dell’articolo è un altro: ciò che suscita timore è come il divorzio abbia smontato la concezione di famiglia e che ormai non si formino più nuclei familiari poiché non ci sono più certezze, in questo momento soprattutto economiche, che spingano i giovani a uscire di casa.

Nonostante i risultati dello studio sopra citato (come quelli di un’altra recente indagine scientifica), rimane verificata la presenza di numerosi omicidi in ambito familiare. Tuttavia, non è distruggendo uno degli elementi sociali più antichi o sostenendo che la famiglia è più pericolosa della criminalità organizzata che si impedirà il verificarsi di queste crudeltà. E’ soltanto ripartendo da cos’è la famiglia, cos’è il matrimonio che si può sperare di spazzare via questa serie di scandali, ripartendo da una maggior consapevolezza dei due coniugi, che si può sperare di debellare il fenomeno. Anche gli uomini di Chiesa dovrebbero prestare più attenzione alle pratiche di preparazione al matrimonio, affinché sempre più gli sposi comprendano quanto non debbano contare solo sulle loro forze e sentimenti, perché senza che Dio operi nel matrimonio, non si raggiungerà mai il motto biblico: “(l’uomo) si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”. (Gen 2:24)

Vorrei segnalare anche la pagina del nostro sito dedicata proprio ai matrimoni, per chi fosse interessato ad approfondire.

Luca Bernardi

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Il matrimonio porta un beneficio anche dal punto di vista economico

Il matrimonio non è soltanto benefico dal punto di vista psico-fisico, come dimostra un’immensa mole di dati scientifici, ma è anche la prospettiva migliore dal punto di vista economico, come stanno riconoscendo sempre più economisti e ricercatori sociali.

Si è occupato di questo un articolo apparso sul  “New York Times” spiegando che gli studi mostrano come le modificazioni sociali, con aumento di famiglie monoparentali e coppie di fatto, hanno aumentato il divario di reddito tra benestanti e non. Al contrario, secondo il demografo Mindy Scott, le famiglie basate sul matrimonio seguono “traiettorie differenti”. Andrew Cherlin, un sociologo presso la Johns Hopkins University, ha affermato: «Gli americani privilegiati si sposano, e sposarsi li aiuta a rimanere privilegiati».

Una delle ragioni è che gli uomini sposati hanno un maggior incentivo a essere coscienziosi nel lavoro per sostenere la famiglia, essi «godono di un premio economico, negli Stati Uniti, di circa il 19 per cento in più rispetto ai loro coetanei con le stesse credenziali», ha riferito W. Bradford Wilcox, direttore del National Marriage Project e professore di sociologia presso la University of Virginia . Essi «lavorano circa 160 ore in più rispetto ai loro coetanei con stesse credenziali, lavorano in modo più strategico, e di conseguenza, tendono a guadagnare di più». I benefici economici del matrimonio, ha aggiunto, sono però per entrambi i partner: «Le donne che si sposano hanno per la fine della loro vita molto di più in termini di attività, che si tratti di una casa o altri beni».

«La famiglia è assolutamente necessaria per il funzionamento del mercato», ha affermato Jennifer Roback Morse di “The Ruth Institute”. Avere entrambi i genitori biologici permette di creare un giusto mix di competenze e abilità, questa socializzazione sana aumenta anche la possibilità del bambino di diventare un cittadino produttivo. «I sostituti alla famiglia sono costosi e inefficaci, e i contribuenti finiscono per pagarne il prezzo», ha affermato durante una lezioni alla Acton University.

Occorre dunque anche per questi motivi valorizzare e sostenere sempre di più la famiglia tradizionale, basata sul matrimonio tra uomo e donna, istituzione in profonda crisi sopratutto a causa del fallimento della rivoluzione sessantottina.

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Convivenza e coppie di fatto? La ricerca dice no: meglio puntare sul matrimonio

Il più grande nemico del cristianesimo, il filosofo Friederich Nietzsche parlava del matrimonio come «la forma più menzognera dei rapporti sessuali, ed è per questo che gode dell’approvazione delle coscienze pure». Nemmeno su questo ci ha preso, e non è certo un caso che poi è finito in solitudine a parlare ed abbracciare un cavallo.

Esiste oggi, infatti, un’enorme mole di studi scientifici a sostegno delle convinzioni delle “coscienze pure”, i quali dimostrano senz’ombra di dubbio come le coppie di fatto, le convivenze, i rapporti pre-matrimoniali, la contraccezione, e il divorzio siano deleteri per la salute dei soggetti coinvolti, per la qualità della loro relazione sentimentale e sopratutto per i bambini che con loro crescono. Una società che metta sullo stesso piano scelte precarie, non definitive, temporanee come le coppie di fatto all’impegno pubblico della promessa dell’amore, della fedeltà, dell’onore e della durata della loro unione fino alla morte, orientandosi alla generazione ed educazione della persona umana, come fanno i due sposi nel matrimonio, commette un grave errore.

Riteniamo profondamente sbagliato trattare i “quasi matrimoni” come fossero un vero matrimonio, anche perché quest’ultimo è fondato su di una serie precisa di diritti e di doveri, che i liberi conviventi hanno volontariamente abiurato proprio nel momento stesso in cui hanno voluto esprimere il diritto di libertà – costituzionalmente garantito – di affrancare la loro vita affettiva da qualsiasi schema giuridico. Soltanto un’unione stabile e impegnata, tra l’uomo e la donna, permette un futuro equilibrato e sicuro alla società. Ogni uomo, infatti, necessità di certezza e di stabilità per costruire i suoi rapporti affettivi e sociali. Si costruisce per rafforzare e mantenere, non per fare tentativi e poi abbandonare e distruggere ciò che si è costruito.

UCCR ha voluto dimostrare oggettivamente questa convinzione, comunicata da secoli e secoli dalla saggezza della Chiesa cattolica, attraverso un dossier apposito contenente un corposo elenco di studi scientifici realizzati dal 1984 al 2012 (in costante aggiornamento):

 

La famiglia tradizionale è migliore della convivenza e la coppia di fatto

 

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Matrimonio o convivenza? La parola agli studi scientifici

E’ meglio il matrimonio o convivenza? Sposarsi o convivere? Due genitori o famiglie monogenitoriali? Per la coppia e i figli cosa è davvero conveniente, secondo la letteratura scientifica? In questo dossier abbiamo raccolto tutti gli studi scientifici e sociologici sul tema.

 

Cosa dicono gli studi scientifici che mettono a confronto il matrimonio alla convivenza? E’ questo l’oggetto del seguente dossier.

Premettiamo brevemente che la Costituzione italiana definisce l’unione matrimoniale di un uomo e una donna la “cellula fondamentale della società”, in quanto è la soluzione che garantisce sostegno materiale e morale, educazione e stabilità fisica e affettiva ai figli che nascono dalla relazione. Negli ultimi anni questa struttura è stata messa in crisi da altre “identità familiari”, meno impegnative verso una serie di diritti e di doveri implicati nel matrimonio (civile e religioso).

La differenza tra matrimonio civile e cattolico è che i membri della coppia uniti in Chiesa si promettono reciproca fedeltà eterna davanti all’autorità di Dio e tale gesto diventa un sacramento, ovvero l’alleanza degli sposi è integrata nell’Alleanza di Dio con gli uomini.

La convivenza appare una scelta a metà, soggetta a revisioni e scadenze, e pone colui che vive una simile esperienza in un atteggiamento che presuppone fin dall’inizio una temporaneità o una possibile data di fine rapporto, influendo così sulla tenuta della relazione stessa. Abbiamo voluto interrogare la letteratura scientifica, ccercando una conferma o una smentita di questo giudizio e volendo capire cosa è meglio per la coppia e i figli.

 

 

|ELENCO DI STUDI SOCIOLOGICI|

 

  • Nell’aprile 2020 lo psicologo Nicholas Zill, già direttore del National Survey of Children, ha pubblicato un articolo intitolato Family Still Matters For Key Indicators of Student Performance, nel quale ha esaminato i risultati di un sondaggio realizzato dal National Household Education Survey (NHES). Si conclude che gli scolari che vivono con entrambi i genitori, uniti tramite matrimonio, ottengono risultati migliori nell’ambito del progresso scolastico (voti migliori, comportamento migliore, meno sospensioni. Gli studenti delle famiglie monoparentali e quelli delle famiglie sposate non sono tutti uguali nelle prestazioni accademiche e nel comportamento in classe, ha concluso lo psicologo.

 

  • Nel settembre 2018 sul Journal of Marriage and Family una ricerca ha confermato che «permane un rischio maggiore di divorzio per coloro che convivono prima del matrimonio». I ricercatori hanno scoperto che «la convivenza prima del matrimonio è associata a minori probabilità di divorzio nel primo anno di matrimonio, ma aumenta le probabilità di divorzio in tutti gli altri anni testati e questa scoperta è confermata da decenni di dati pubblicati».

 

 

  • Nel marzo 2017 i ricercatori W. Bradford Wilcox e Laurie DeRose hanno pubblicato un saggio mostrando come, «analizzando i dati di 16 paesi in tutta Europa, scopriamo che i bambini nati da coppie conviventi hanno circa il 90% in più di probabilità di vedere la separazione dei loro genitori rispetto ai bambini nati da genitori sposati». Nel volume, Wilcox e DeRose hanno concluso che esiste qualcosa di specifico nel matrimonio che lo rende più vantaggioso per i bambini rispetto alla convivenza: genera stabilità familiare.

 

  • Nel marzo 2017 Peter H. Schuck, professore emerito di Legge alla Yale Law School, ha pubblicato il libro One Nation Undecided, nel quale ha scritto: «La famiglia è il nucleo essenziale di qualsiasi società ed il costante declino delle famiglie con due genitori è probabilmente la tendenza sociale più consequenziale degli ultimi cinquant’anni. In effetti, il singolo miglior predittore di bassa mobilità verso l’alto in una data area geografica è la frazione di bambini con un solo genitore».

     

    • Nel febbraio 2017 uno studio realizzato dal Family Studies and Social Trends Institute ha dimostrato che i bambini nati da coppie non sposate e conviventi -sia negli Stati Uniti che in Europa-, hanno quasi il doppio delle probabilità di vedere i loro genitori separarsi, rispetto ai bambini nati da genitori sposati.

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    • Nel dicembre 2016 sul Journal of the American Heart Association è apparso lo studio intitolato Marital History and Survival After Stroke, in cui gli studiosi hanno concluso: «I risultati hanno mostrato che i rischi di morire a seguito di un ictus erano significativamente più alti tra i non sposati, i risposati, i divorziati e i vedovi, rispetto a coloro che sono rimasti costantemente sposati». La notizia è arrivata anche sui quotidiani italiani.

     

    • Nel giugno 2016, il prof. Pierpaolo Donati, ordinario di Sociologia presso l’Università di Bologna e direttore del CEPOSS (Centro Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria), ha dichiarato: «Le ricerche empiriche mostrano che la famiglia naturale è soprattutto una risorsa, anziché un freno, per il benessere della società. Le coppie sposate o orientate al matrimonio sono più generative di beni relazionali di tutte le altre forme. Felici sono quei nubendi che non si sposano primariamente per il solo fatto di essere innamorati, ma innanzitutto perché mirano al bene della loro relazione sponsale e ai beni che derivano da tale relazione. Il fatto di sposarsi costituisce un valore aggiunto per le persone e per la società, in quanto il patto matrimoniale migliora la qualità delle relazioni di coppia e ha importanti conseguenze positive (biologiche, psicologiche, economiche e sociali) per bambini e adulti. La coabitazione non è uguale al matrimonio, perché rende più instabili le relazioni e crea maggiori incertezze nella vita dei figli. Il divorzio (o il non arrivare a sposarsi) aumenta il rischio di fallimento scolastico dei figli. Le nascite fuori del matrimonio aumentano il rischio di povertà sia per i figli sia per le madri. L’analisi di tre differenti strutture famigliari, in particolare delle famiglie con coppia genitoriale unita, famiglie ricomposte e famiglie monogenitoriali, evidenzia la maggiore fragilità di queste due ultime strutture famigliari».

     

    • Nell’aprile 2016 Anna Egalite, docente presso la North Carolina State University, ha esposto i risultati di un’indagine sul backgroud dei genitori ed il successo scolastico dei figli. Oltre al livello educativo dei genitori, il reddito familiare e l’incarcerazione dei genitori, la struttura familiare è risultata determinante e ha «serie implicazioni per il benessere e il successo scolastico di un bambino». Le famiglie con due genitori, ha spiegato l’esperta, «in generale hanno molti altri attributi che influenzano il livello di istruzione dei loro figli, la salute mentale, le prestazioni del mercato del lavoro e la formazione familiare. Prove più rigorose documentano anche significativi effetti negativi dell’assenza di un padre sul rendimento scolastico dei bambini e sullo sviluppo sociale ed emotivo, portando ad un aumento del comportamento antisociale».

     

    • Nel marzo 2016 è stato dimostrato che l’essere sposati è associato ad una riduzione della probabilità di una famiglia di essere povera, tra il 41 e l’80 per cento, a fronte di una famiglia di non sposati. Al contrario, i genitori single hanno molta più probabilità di essere poveri rispetto ai genitori sposati.

     

    • Nel marzo 2015 uno studio pubblicato dall’American College of Pediatricians ha mostrato che «contrariamente all’attuale percezione di molti adolescenti e giovani adulti che vedono la convivenza come un sostituto del matrimonio o come un trampolino di lancio verso un matrimonio più sicuro, gli studi dimostrano che le convivenze hanno maggiori probabilità di dissolversi rispetto ai matrimoni e che i matrimoni preceduti dalla convivenza hanno maggiori probabilità di fallire rispetto ai matrimoni non preceduti da convivenza». Inoltre, i ricercatori hanno riscontrato il doppio della probabilità «che i partner conviventi implichino infedeltà e violenza tra loro». Infine, anche per i figli, «siano essi nati prima, durante o dopo la convivenza dei genitori, sono maggiormente a rischio di conseguenze negative tra cui parto prematuro, insuccesso scolastico, istruzione inferiore, maggiore povertà durante l’infanzia e redditi più bassi da adulti, più problemi di carcerazione e comportamento, genitorialità single, negligenza medica e problemi di salute cronici sia medici che psichiatrici, più abuso di sostanze (alcol e tabacco) e abusi sui minori. È anche più probabile che le donne conviventi scelgano di porre fine alla vita del proprio figlio prima della nascita».

     

    • Nel febbraio 2015 lo psicologo Nicholas Zill ha spiegato che il basso tasso di vittime di criminalità dei bambini che vivono con i due genitori biologici non è dovuta all’assenza di un maschio adulto in casa a proteggere la famiglia. Infatti, i bambini che vivono con un genitore biologico e un genitore acquisito hanno anch’essi mostrato un tasso elevato di esposizione alla violenza: 84 bambini su 1.000. Lo stesso dicasi per i bambini che vivono con entrambi i genitori biologici che sono conviventi e non sposati: 60 bambini su 1000. La miglior sicurezza per loro è un matrimonio stabile.

     

    • Nel dicembre 2014 sul “National Bureau of Economic Research” si è mostrato che le persone sposate sono più soddisfatte della propria vita rispetto ai single e il benessere della vita matrimoniale persiste anche nel lungo termine. Ma, anche se il picco di benessere e felicità c’è immediatamente appena dopo sposati, il matrimonio serve di più negli anni successivi, quando si entra nella “crisi di mezza età”. Il matrimonio fa bene sempre, ma diventa più importante quando le cose vanno male e c’è bisogno di un supporto. Ed è per questo che il matrimonio funziona meglio se il partner è anche un amico, l’effetto benefico è in media due volte maggiore per le coppie che sono anche “migliori amici”, che sommano l’amicizia all’amore.

     

    • Nel novembre 2014 sul The Linacre Quarterly una meta-analisi di studi precedenti ha concluso che i bambini che vivono con i loro genitori biologici sposati hanno costantemente un migliore benessere fisico, emotivo e scolastico. «La migliore letteratura scientifica fino ad oggi suggerisce che, con l’eccezione dei genitori che affrontano violenze coniugali irrisolvibili, i figli crescono meglio quando i genitori lavorano per mantenere unito il matrimonio. Di conseguenza, la società dovrebbe compiere ogni sforzo per sostenere matrimoni sani e per scoraggiare le coppie sposate dal divorziare».

     

    • Nel novembre 2014 l’economista indiana Aparna Mathur, ha scritto su Forbes: «La scarsità dei tassi di matrimonio non è semplicemente un fenomeno sociale e culturale, ma ha importanti implicazioni economiche, come i tassi di partecipazione alla forza lavoro degli uomini, i tassi di abbandono delle scuole superiori dei bambini e i tassi di gravidanza giovanili. Dal momento che questi fattori sono altamente correlati con le opportunità economiche e la possibilità di salire la scala del reddito, questo suggerisce che la disparità di reddito tra le generazioni e la mobilità economica sono criticamente influenzata da decisioni e atteggiamenti delle persone verso il matrimonio. Dal momento che le famiglie monoparentali non sposate generalmente aumentano le fila di famiglie a basso reddito, mentre gli adulti ricchi ed istruiti sposano sempre più partner provenienti da ambienti socio-economici simili, le tendenze di disuguaglianza sono aggravate».

     

    • Nel novembre 2014 uno studio di Guner, Kulikova e Llull dell’Università autonoma di Barcellona ha mostrato come il matrimonio faccia bene alla salute. Gli economisti hanno analizzato i dati degli americani tra i 20 e i 64 anni e hanno scoperto che esiste un divario nello stato di salute tra single e sposati che raggiunge il picco di 12 punti a favore delle persone che hanno contratto un matrimonio. La spiegazione è dovuta a quello che chiamano “effetto protettivo” del matrimonio: le persone si prendono più cura di sé stesse e del proprio partner, l’effetto protettivo è poi evidente sul fronte della prevenzione. Le persone sposate sono molto più portate a sottoscrivere un’assicurazione sanitaria e a effettuare controlli sanitari al colesterolo o alla prostata rispetto ai single.

     

    • Nel settembre 2014 uno studio pubblicato dal Department for Education inglese ha dimostrato che i figli di genitori sposati hanno più fiducia, sono più coscienziosi e assumono meno comportamenti anti-sociali rispetto a quelli con genitori non sposati o in famiglie monogenitoriali.

     

    • Nel luglio 2014 uno studio pubblicato dall’American College of Pediatricians ha mostrato che rispetto alle coppie sposate alla nascita di un figlio, quelle che convivevano alla nascita del bambino avevano una probabilità quattro volte maggiore di separarsi nei tre anni successivi. Inoltre, «la convivenza mette a rischio sia chi convive che i propri figli e nipoti attuali e futuri», secondo i ricercatori. Questi rischi per i bambini includono: peggior rendimento scolastico, aumento del rischio di problemi comportamentali, ansia, depressione e problemi di relazioni sociali; aumento del rischio di abusi sui minori; aumento dei rischi di lesioni fisiche, malattie, ospedalizzazione, somatizzazione e mortalità precoce; aumento dell’abuso di sostanze dannose; aumento dell’incidenza di obesità, malattie respiratorie, attività sessuale adolescenziale e gravidanza (incluso un aumento dei rischi di morte e prematurità per i figli di questi adolescenti); un rischio più elevato di ipertensione, asma e depressione in età adulta; più malattie psichiatriche durante l’infanzia, tentativi di suicidio, malattie legate all’alcol e malattie legate ai narcotici; basso livello socioeconomico, scarso benessere soggettivo e aumento dei problemi coniugali e del divorzio; minore rendimento scolastico e maggiore coinvolgimento nella criminalità sia piccola che grave; più povertà e alto rischio di divorzio dai loro futuri partner.

     

    • Nel giugno 2014 in un articolo sul Washington Post due ricercatori hanno dimostrato che «le donne sposate sono notevolmente più sicure rispetto alle loro coetanee non sposate, e le ragazze/bambine che vivono in una casa con un padre sposato hanno nettamente meno probabilità di essere vittime di abusi o aggressioni rispetto alle ragazze/bambine che vivono senza il loro padre».

     

    • Nel maggio 2014 è stato dimostrato che i bambini che vivono in famiglie con due genitori sposati hanno meno probabilità, anche vivendo in quartieri pericolosi, di essere esposti a crimini violenti rispetto ai bambini di genitori non sposati o divorziati. In particolare, per ogni 1.000 bambini in famiglie con genitori sposati 36 hanno assistito o subito violenze. Al contrario, tra i bambini che vivono con una madre non sposata, il tasso di esposizione a crimini violenti era quasi tre volte superiore: 102 bambini su 1.000. Tra i bambini che vivono con madre separata o divorziata, il tasso di esposizione è stato più che doppio rispetto a quello per i figli di genitori sposati: 89 bambini su 1.000.

     

    • Nell’aprile 2014 sul SAGE Journals una meta-analisi di trenta studi ha concluso che gli studenti che provenivano da una famiglia con due genitori biologici e da alti livelli di coinvolgimento con tali genitori, avevamo maggior successo scolastico rispetto agli studenti figli dei single. Oltre alla struttura familiare, i ricercatori hanno rilevato che la fede di uno studente ha un impatto significativo sul suo rendimento scolastico: frequentare regolarmente la chiesa e definirsi una persona molto religiosa è associato ad un miglior rendimento scolastico. I risultati dell’indagine sono stati più dettagliatamente esposti dall’autore stesso, il prof. William Jeynes, docente di Educazione alla California State University di Long Beach.

     

    • Nel marzo 2014 l’American College of Cardiology ha pubblicato uno studio in cui si rileva che le persone sposate hanno tassi più bassi di diverse malattie cardiovascolari rispetto a coloro che sono single, divorziati o vedovi. Il rapporto tra matrimonio e minori probabilità di malattie vascolari è particolarmente pronunciato prima dei 50 anni.

     

    • Nel marzo 2014 il rapporto del “Family Societies and Research Project” ha rilevato che i figli di divorziati abbandonano prima la casa dei genitori, ma preferiscono la convivenza, il loro rendimento a scuola cala, e quando questi scelgono una università, hanno minori aspettative. In più, risultano avere più facilmente problemi nutrizionali e di ansia, e c’è più possibilità che usino droghe e facciano pensieri di suicidio. Chi vive con la presenza di un patrigno o una matrigna è aiutato finanziariamente, ma non ci sono prove che questa presenza abbia un effetto positivo sul benessere psicologico e sui risultati scolastici.

     

    • Nel gennaio 2014 Nick Schulz dell’American Enterprise Institute ha pubblicato il volume “Home Economics: The Consequences of Changing Family Structure” nel quale ha confermato attraverso l’analisi della letteratura scientifica che i figli del divorzio e i bambini con genitori non sposati tendono a fare molto peggio nella vita rispetto ai bambini di coppie sposate. Un dato non trascurabile, ha osservato, è quello del reddito: crescere al di fuori di una famiglia con due genitori significa beneficiare di un reddito non solo più basso ma anche di meno mobilità sociale. A esempio tra i bambini che iniziano sotto al terzo grado della distribuzione del reddito, solo il 26% di quelli con genitori divorziati riesce a spostarsi verso l’alto rispetto al 42% dei nati da madri non sposate e il 50% di coloro che crescono con due genitori sposati.

     

    • Nel settembre 2013 uno studio della Fundaction ATYME ha rilevato che il divorzio è deleterio per l’87 percento dei casi nei bambini, generando sintomi di rabbia in quelli più grandi (, mentre nei bambini piccoli si rileva tristezza e paura.

     

    • Nel settembre 2013 sul “Journal of Clinical Oncology” uno studio su 734.889 persone ha rilevato che i malati di cancro sposati hanno più probabilità di vivere più a lungo rispetto a quelli che non sono sposati. Alcuni esperti hanno anche soprannominato l’effetto del matrimonio sul cancro come uguale o più potente alla chemioterapia.

     

    • Nel maggio 2013 uno studio realizzato da ricercatori della Rice University e della University of Houston, ha stabilito che i bambini (campione di 10.400 soggetti) che vivono in famiglie in cui i genitori sono sposati hanno meno probabilità di essere obesi.

     

    • Nel maggio 2013 uno studio ha rilevato che quasi nove su dieci bambini nati da genitori conviventi hanno la probabilità di veder divisa la loro famiglia all’età di 16 anni, mentre la metà di loro non vivrà con entrambi i genitori naturali quando raggiungeranno l’adolescenza. Nel 2013 solo il 9% dei bambini nati da coppie conviventi avrà ancora i loro genitori che vivranno insieme quando ne avranno 16.

     

    • Nel maggio 2013 una ricerca è realizzata dall’Instituto de Estudios del Capital Social (INCAS) della Universidad Abat Oliba CEU ha stabilito che «i figli minori che vivono con entrambi i genitori biologici in un matrimonio stabile hanno un welfare molto più elevato rispetto ad altri tipi di situazioni». Fra le altre conclusioni questa è particolarmente interessante: «si può dire con forza che la famiglia classica previene la violenza domestica contro le donne e verso i bambini, i quali hanno tutti gli indicatori di salute migliori, beneficiano di un reddito più alto e maggiori condizioni stabili e favorevoli».

     

    • Nel marzo 2013 uno studio pubblicato su Public Health da ricercatori canadesi, ha mostrato che sia le figlie che i figli di famiglie divorziate hanno significativamente più probabilità di iniziare a fumare rispetto ai loro coetanei provenienti da famiglie sposate. L’analisi si è basata su 19.000 americani e gli autori hanno anche confermato l’esistenza di bassi livelli di istruzione e di reddito, di problemi di salute mentale per adulti figli di genitori divorziati.

     

    • Nel febbraio 2013 i ricercatori dell’Università di Missouri hanno scoperto, in una ricerca pubblicata sul Journal of Family Psychology, che le persone sposate hanno una migliore salute mentale e fisica dei loro coetanei non sposati e hanno meno probabilità di sviluppare malattie croniche rispetto alle persone vedove o divorziate.

     

    • Nel gennaio 2013 una pubblicazione del World Family Map Project ha mostrato che vivere con due diversi genitori permette ai bambini di avere punteggi migliori di alfabetizzazione, a prescindere dalla ricchezza e dall’istruzione. Questo è vero in Canada come lo è negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Australia: «I bambini che vivono con due genitori hanno punteggi più elevati nella capacità di lettura e meno probabilità di ripetere l’anno rispetto a quelli che vivono con uno solo dei due genitori o nessuno dei genitori», hanno detto i ricercatori. Inoltre, «le famiglie con un genitore acquisito forniscono risultati più deboli rispetto alle famiglie con i due genitori biologici».

     

    • Nel gennaio 2013 un grande studio pubblicato su European Journal of Preventive Cardiology basato sul registro dati sugli infarti al miocardico tra il 1993 e il 2002 basato su 15.330 soggetti, ha rilevato che il non essere sposati aumenta il rischio di infarto fatale e non fatale negli uomini e nelle donne, indipendentemente dalla loro età. Al contrario, dicono i ricercatori dello studio, soprattutto tra le coppie di mezza età, l’essere sposati e vivere assieme è associato a «prognosi decisamente migliori sugli eventi cardiaci acuti».

     

    • Nel gennaio 2013 una ricerca condotta presso il Duke University Medical Center a Durham, North Carolina, ha scoperto che le persone non sposate presentano un rischio più alto di morte prematura in particolare durante la middle age, ovvero tra i quaranta e i sessant’anni.

     

    • Nel gennaio 2013 una ricerca pubblicata sul Journal of Drug Issues raffrontando – sulla base di uno studio longitudinale con informazioni su oltre 10.000 studenti – il “capitale sociale familiare” , ossia come il legame tra genitori e figli (specie in termini di comunicazione e fiducia) col “capitale sociale scolastico”, ossia la capacità di una scuola di essere un ambiente positivo per crescita ed approfondimento, i ricercatori hanno rilevato come gli studenti con alti livelli di “capitale sociale familiare” e bassi livelli di “capitale sociale scolastico” abbiano meno probabilità di fumare o bere rispetto a quelli con alti livelli di “capitale sociale scolastico” ma bassi livelli di “capitale sociale familiare”. Secondo gli autori, nonostante l’elevato valore dei programmi scolastici contro l’uso di droghe, i genitori rivestono un ruolo decisivo nel plasmare le decisioni dei loro figli riguardanti il consumo di alcol e marijuana.

     

    • Nel dicembre 2012 uno studio sul matrimonio è stato pubblicato sul Journal of Public Health, ed è relativo a un confronto di donne sposate in gravidanza con donne conviventi o single. L’indagine ha mostrato che le donne sposate sono meno soggette all’abuso subito dai partner, all’abuso di sostanze stupefacenti e alla manifestazione di depressioni post-partum.

     

    • Nel dicembre 2012 lo studio “Violent Crime Against Youth, 1994-2010” ha mostrato che nel 2010, il 27,8% di 1000 giovani con un capofamiglia celibe, sono state vittime di un grave crimine violento. Allo stesso tempo, solo il 7,4% ogni 1000 giovani che vive con entrambi i genitori è stato una vittima.

     

    • Nel dicembre 2012 su Child Care Health Development una ricerca, basata sulla popolazione canadese ed effettuata confrontando dati raccolti nel 2005 con quelli rilevati dieci anni prima, nel 1995, ha mostrato che il divorzio comporta, per i figli di genitori decisi a lasciarsi, una percentuale di abusi pari al 10,7%.

     

    • Nel settembre 2012 uno studio realizzato dall’Heritage Foundation ha rivelato che crescere con genitori sposati aumenta notevolmente (82%) le prospettive di sfuggire alla povertà per i bambini. Gli autori hanno affermato: «Il matrimonio è di grande beneficio per i bambini, gli adulti e la società, ha bisogno di essere incoraggiato e rafforzato».

     

    • Nel settembre 2012 uno studio pubblicato sul Journal of Stroke ha dimostrato che gli uomini adulti che hanno sperimentato il divorzio dei genitori prima di aver compiuto 18 anni, presentano tre volte più probabilità di subire un ictus rispetto agli uomini i cui genitori sono rimasti assieme.

     

    • Nel settembre 2012 da dati del National Crime Victimization Survey tre ricercatori hanno rilevato che i giovani hanno meno probabilità di essere vittime di reato se vivono con due genitori piuttosto che in famiglie monoparentali.

     

    • Nell’agosto 2012 uno studio condotto dall’Università di Cincinnati (UC), e presentato alla 107a riunione annuale della “American Sociological Association”, ha mostrato come gli uomini divorziati hanno segnalato un consumo di alcool significativamente maggiore rispetto agli uomini sposati. Per quanto riguarda le donne, il consumo di alcool era un problema con maggiore probabilità tra le donne divorziate rispetto a quelle sposate a lungo termine.

     

    • Nel maggio 2012 uno studio sull’European Journal of Population ha analizzato sistematicamente il benessere di uomini e donne sposati, divorziati, single e conviventi in 45 paesi europei e poi ha calibrato l’effetto della cultura normativa del paese nel determinare il benessere. E’ risultato che gli individui sposati hanno un più alto livello di benessere, seguiti (in ordine) da conviventi, dai single e dai divorziati/vedovi. Gli studiosi hanno smentito che la causa di tale malessere in chi non è sposato dipenda dall’influenza negativa della società su di loro (condizionamento sociale), tanto che gli autori hanno concluso: «il rifiuto sociale del proprio status di partenariato non rende le persone infelici […]. La conclusione generale che si può formulare è il clima sociale normativo ha poco impatto su come le persone valutano i la loro vita nei diversi tipi di relazioni»

     

    • Nell’aprile 2012 un articolo apparso sul “New York Times” scritto dalla psicologa clinica Meg Jay dell’Università della Virginia, ha spiegato come gli studi mostrino in modo chiaro che la convivenza pre-matrimoniale aumenta notevolmente il tasso di divorzio.

     

    • Nel gennaio 2012 in un editoriale sul “British Medical Journal” due ricercatori -David e John Gallacher dell’università di Cardiff- hanno spiegato che le persone sposate vivono più a lungo, le donne sperimentano una migliore salute mentale, mentre gli uomini in una relazione stabile e duratura, come quella prevista dall’unione coniugale, hanno una migliore salute fisica, concludono che «a conti fatti è vale probabilmente fare lo sforzo di sposarsi». Inoltre, lo studio ha evidenziato nelle donne sposate un abbassamento del 10-15 per cento del tasso di mortalità ed un calo dei rischi di andare incontro ad ictus, malattie cardiache e complicazioni dovute a stili di vita non salutari, nella porzione dei candidati maschili che erano impegnati in una relazione matrimoniale. I ricercatori hanno anche confermato che il divorzio può avere un impatto devastante sugli individui, mentre l’avere molti partner è collegato ad un aumento di rischio di morte.

     

    • Nel dicembre 2011 uno studio su “Archives of General Psychiatry” ha mostrato che gli uomini con bassi livelli di comportamento antisociale sono più propensi a sposarsi e che il matrimonio accentua la loro tendenza ad astenersi da comportamenti antisociali. E’ dunque evidenziato un effetto causale del matrimonio alla desistenza dal comportamento antisociale.

     

    • Nel settembre 2011 la Monash University di Melbourne (Australia) ha pubblicato i risultati di uno studio con il quale si dimostra come il matrimonio è uno dei fattori-chiave nella diminuzione della criminalità, riducendo drasticamente la percentuale di assassini, per una semplice ragione: l’autocontrollo.

     

    • Nell’agosto 2011 uno studio pubblicato sulla rivista “Health Psychology” ha stabilito che se qualcuno subisce un bypass coronarico, ha 3 volte più probabilità di essere vivo dopo 15 anni se è sposato rispetto a chi è single, divorziato o vedovo. Gli uomini sottoposti a intervento chirurgico di bypass hanno vissuto più a lungo in virtù del semplice fatto di essere sposati, indipendentemente da quanto fosse felice o infelice l’unione. Le donne felicemente sposate avevano invece quasi quattro volte più probabilità di essere vive dopo 15 anni dall’operazione rispetto alle donne single o divorziate.

     

    • Nel 2011 in un rapporto sul matrimonio e la famiglia, il professor Patrick Parkinson, della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Sydney, ha dichiarato: «Il governo australiano non può continuare a ignorare la realtà che due genitori tendono a fornire risultati migliori, per i bambini, di uno solo, e che l’ambiente più stabile e sicuro per i bambini è quando i genitori sono, e rimangono, sposati l’uno con l’altro». Ha inoltre aggiunto che: «se c’è un grande cambiamento demografici nelle società occidentali che può portare a una vasta gamma di conseguenze negative per molti bambini e giovani, è se essi crescono in una famiglia diversa da quella generata dai loro due genitori biologici>»

     

    • Nel 2011 è stata pubblicata la terza edizione di Why Marriage Matters: Thirty Conclusions from the Social Sciences, opera di diciotto studiosi americani di problemi della famiglia che operano in istituzioni accademiche di diverso orientamento politico-culturale. La conclusione unanime del rapporto è che l’aumento del numero di coppie di conviventi con bambini è la maggiore e poco riconosciuta minaccia alla qualità di vita dei figli nelle famiglie americane di oggi. W. Bradford Wilcox, dell’University of Virginia e coordinatore dello studio, ha spiegato sul New York Times: «In uno straordinario ribaltamento di tendenze, il tasso di divorzio delle coppie sposate con figli è tornato quasi ai livelli che conoscevamo prima della rivoluzione del divorzio iniziata negli anni Settanta. Tuttavia l’instabilità familiare complessiva è in aumento negli Stati Uniti. Ciò sembra essere in parte dovuto al fatto che più coppie stanno avendo figli all’interno di unioni di fatto, che sono molto instabili. Il nostro rapporto mostra anche che i figli all’interno di unioni di fatto hanno maggiori probabilità di soffrire a causa di una serie di problemi sociali ed emotivi – uso di droghe, depressione, fallimento scolastico – in confronto ai figli di famiglie sposate e non separate». Inoltre, i bambini all’interno di coppie conviventi, secondo un recente rapporto, «hannno anche almeno tre volte più probabilità di essere fisicamente, sessualmente o emotivamente abusati». Infine, lo studioso ha concluso: «la convivenza implica meno impegno, meno stabilità, meno fedeltà sessuale, e meno sicurezza ai partner romantici e ai loro figli. Di conseguenza, le coppie conviventi hanno più del doppio delle probabilità di dividersi e quattro volte più probabilità di essere infedeli a l’uno all’altro, rispetto alle coppie sposate. Tutto questo ha implicain queste casecrescono in queste situazioni».Lo psicologo John Gottman, tra i massimi esperti statunitensi di relazioni matrimoniali, professore emerito di psicologia all’Università di Washington ha dichiarato che «tale instabilità ha un notevole impatto negativo sui bambini, il quale si nota nell’esternalizzazione dei disturbi, cioè più aggressività, che a livelo interno, cioè più in depressione. I figli delle coppie conviventi sono più a rischio rispetto a quelli delle coppie sposate».

     

    • Nell’ottobre 2011 uno studio norvegese ha rilevato un eccesso di mortalità delle persone non sposate rispetto ai coniugi, in costante aumento per gli uomini. Tra le donne anziane, l‘eccesso di mortalità di chi non si è mai sposato rispetto a chi lo ha fatto, è aumentato. I norvegesi non sposati presentano dunque una minore sopravvivenza di fronte ad una diagnosi di cancro.

     

    • Nell’agosto 2011 un ampio studio apparso in un editoriale del “British Medical Journal” ha rivelato la presenza di benefici se si sceglie di sposarsi piuttosto che convivere. L’esperto dell’Università di Cardiff, John Gallacher, che ha preso in esame lo studio, ha sostenuto che un marito e una moglie felici mangiano in modo più sano, hanno più amici e si prendono maggiore cura l’uno dell’altro: «Il matrimonio e altre forme di relazione possono essere posti su una scala di impegni, maggiore è l’impegno e maggiore è il beneficio», spiega lo studioso. Il matrimonio visto come un impegno quindi e per questo associato a una migliore salute mentale in confronto alla convivenza, la quale solitamente è meno stabile.

     

    • Nell’agosto 2011 uno studio pubblicato negli Stati Uniti dall’ente di ricerca “Child Trends”, dal titolo “Parental Relationship Quality and Child Outcomes Across Subgroups”, ha concluso che i figliastri hanno una probabilità doppia, rispetto ai figli che vivono con i propri genitori sposati, di sviluppare problemi comportamentali. La problematicità è ancora superiore per i figli che vivono con una coppia di fatto, i quali presentano una probabilità tre volte superiore di avere problemi di comportamento.

     

    • Nel maggio 2011 su “The Journals of Gerontology” uno studio ha rilevato che i conviventi con disabilità hanno notevolmente meno probabilità di ricevere cure dal proprio partner rispetto a quanto avviene per le persone sposate. Questo risultato, si spiega, rispecchia l’evidenza di un minore impegno dei conviventi nella relazione e nell’assolvere gli obblighi inerenti l’istituzione del matrimonio.

     

    • Nel marzo 2011 uno studio pubblicato dall’Institute of Social and Economic Research dell’Università di Essexsu, sulla base di una serie di fattori indicativi, ha concluso che le persone conviventi sono significativamente meno felici nel loro rapporto rispetto alle persone sposate e i figli che vivono con un solo genitore sono meno propensi a dirsi del tutto felici della loro situazione.

     

    • Nel febbraio 2011 uno studio pubblicato su “BMC Public Health” ha rilevato che le donne conviventi con un partner senza essere formalmente sposate erano esposte ad maggiore rischio di violenza domestica rispetto a coloro che sono sposate.

     

    • Nel 2010 uno studio pubblicato sul “Bureau of Justice Statistics” ha mostrato che le donne sposate sono vittime di tutte le forme di violenza domestica in livelli drammaticamente inferiori rispetto alle donne conviventi. Per quanto riguarda gli uomini, quelli sposati hanno da 3 a 4 volte meno probabilità di commettere violenza contro i loro familiari e gli stranieri rispetto ai loro coetanei non sposati. Il matrimonio risulta dunque essere un meccanismo di sicurezza fondamentale

     

    • Nel 2010 una metanalisi complessiva ha concluso che la convivenza presenta una significativa associazione negativa con la stabilità coniugale e la qualità coniugale. Studiando tutti i principali studi sul tema si è anche scoperto che gli effetti negativi della convivenza sono rimasti costanti nel tempo, nonostante che essa sia diventata un comportamento più diffuso nella società.

     

    • Nell’agosto 2010 ricercatori della Northwestern University e dell’Università di Chicago hanno pubblicato uno studio sulla rivista “Stress”, rilevando una buona riduzione del livello di cortisolo, noto come l’ormone dello stress psicologico, sopratutto nei soggetti sposati o che hanno un partner stabile. Dario Maestripieri, professore di Sviluppo umano comparativo presso l’Università di Chicago, ha commentato: «anche se può sembrare che il matrimonio sia stressante, abbiamo un crescendo di prove che dimostrano come il matrimonio sia invece il tampone contro lo stress»

     

    • Nel 2010 Harry Benson, direttore del Bristol Community Family Trust, e Stephen McKay dell’università di Birmingham hanno ripartito 12.500 coppie con figli, sposate e non sposate, in cinque diverse categorie a seconda del reddito, scoprendo che anche paragonando coppie economicamente omogenee, quelle di fatto hanno da 2 a 2,5 volte più probabilità di rompersi di quelle sposate. Inoltre, il 97% delle coppie intatte in cui i figli abbiano oltre 15 anni, sono coppie sposate. La convivenza a lungo termine, spiegano, è molto rara.

     

    • Nel luglio 2009 i ricercatori dell’Università di Denver hanno rilevato che le coppie che convivono prima di sposarsi (o le coppie di fatto) hanno una maggiore probabilità di divorziare rispetto a coloro che scelgono di aspettare a vivere insieme fino a dopo il matrimonio. Inoltre, queste coppie hanno riferito una soddisfazione più bassa rispetto al loro matrimonio.

     

    • Nel 2008 i dati del “US Census” hanno mostrato che le donne (e i loro figli) hanno tre volte meno probabilità di vivere sempre in povertà, se sono sposate rispetto a quelle single o conviventi

     

    • Nel 2007 i ricercatori Paul Amato e Rebecca Maynard della Pennsylvania State University hanno argomentato attraverso uno studio che occorre prevenire le nascite al di fuori del matrimonio, propongono tassi di divorzio più bassi, offrendo programmi più educativi per le coppie prima e durante il matrimonio. Rivolgendosi ai sistemi scolastici offrono prove sul fatto che la salute e la corretta educazione sessuale sono molto problematiche per i genitori non sposati. Rafforzare il matrimonio, sostengono gli autori, è anche potenzialmente una strategia efficace per lottare contro la povertà.

     

    • Nel febbraio 2006 sul “Journal of Marriage and Family” uno studio si è concentrato sul ruolo del padre biologico, dimostrando che i figli che vivono lontano dal proprio padre naturale presentano un rischio maggiore di avere un’esperienza di crescita negativa.

     

    • Nel 2005 sul Journal of Human Sexuality i ricercatori evidenziato che il luogo migliore per la crescita di un bambino è all’interno di un matrimonio formato da un uomo e una donna. «Crescere un bambino in un ambiente in cui uno dei genitori è inevitabilmente assente», hanno inoltre spiegato, «è molto diverso dal pianificare una struttura familiare che elimina volutamente i ruoli di madre e/o padre». In questo caso si verificheranno «conseguenze negative per lo sviluppo del bambino e la sua probabilità di vivere una vita soddisfacente».

     

    • Nel 2005 sulla rivista “The Future of Children” il sociologo Steven Nock dell’University of Virginia ha mostrato come l’indebolimento della genitorialità è causato dalla rivoluzione contraccettiva, dal declino del matrimonio come principio organizzatore della vita adulta, e la sempre più accettata visione che il matrimonio e la paternità debbano essere questioni private. Egli considera poi le abbondanti prove scientifiche sulle conseguenze positive del matrimonio sia per quanto riguarda il benessere economico che la salute degli adulti americani.

     

    • Nel 2005 su “Journal of Marriage and Family” uno studio ha confermato gli effetti deleteri del divorzio, mostrando che i figli mostrano livelli più elevati di ansia/depressione e comportamento antisociale rispetto ai bambini i cui genitori restano sposati.

     

    • Nel 2005 studiosi della Harvard University hanno rilevato notevoli prove del fatto che il matrimonio aiuta a mantenere in vita gli esseri umani. Le persone separate, divorziate, single o vedove, infatti, presentano un rischio particolarmente elevato di morire prematuramente. Al contrario, i coniugi hanno un rischio più basso rispetto a tutti gli altri gruppi, e questa è una prova ormai verificata in tutto il mondo.

     

    • Nel 2005 il prof. P.R. Amato della Pennsylvania State University, ha dimostrato che i bambini che crescono con i due genitori biologici sposati, hanno meno probabilità di sperimentare una vasta gamma di problemi cognitivi, emotivi e sociali, non solo durante l’infanzia, ma anche in età adulta. Hanno inoltre un tenore di vita più elevato e fanno maggiori esperienze di cooperazione familiare, sono emotivamente più vicini ad entrambi i genitori, e sono sottoposti a meno eventi stressanti.

     

    • Nel 2005 un rapporto di un team diversificato di studiosi americani della famiglia, ha spiegato che «le persone sposate sembrano gestire meglio la malattia, monitorandosi la salute l’un l’altro, hanno redditi più alti e adottano migliori stili di vita di quanto non facciano i single».

     

    • Nel 2004 nello studio intitolato Father absence and youth incarceration (Center for Research on Child Wellbeing Working Paper), Cynthia C. Harper e Sara S. McLanahan hanno scoperto che i giovani che crescono in famiglie senza padre hanno il doppio delle probabilità di finire in prigione rispetto a quelli che provengono da famiglie tradizionali con due genitori.

     

    • Nel 2004 i ricercatori Gregory Acs e Sandi Nelson hanno concluso la loro ricerca con queste parole: «studio dopo studio costantemente i documenti dicono che, in media, i bambini che vivono con i propri genitori sposati, biologici o anche adottivi, se la passano meglio su una serie di indicatori rispetto ai bambini in qualsiasi sistema vivente».

     

    • Nel 2004, uno studio realizzato da “Urban Institute” ha rilevato che «vivere con genitori conviventi non è così benefico per i bambini come vivere con genitori sposati». Valutando tutta una serie di studi precedenti, i ricercatori hanno tentato di spiegare il motivo per cui «i bambini vivono con conviventi non se la passano così come i bambini che vivono con genitori sposati».

     

    • Nel giugno 2004 ricercatori del dipartimento di Psicologia dell’Università di Denver hanno mostrato che coloro che hanno convissuto prima del matrimonio hanno avuto maggiori interazioni negative, minore impegno interpersonale, un inferiore qualità del rapporto, più bassi livelli di fiducia rispetto alle persone che non hanno convissuto prima del matrimonio (anche dopo aggiustamenti sulla durata della convivenza). I risultati suggeriscono dunque che coloro che convivono prima del matrimonio sono a maggior rischio per una povertà di risultati coniugali.

     

    • Nel maggio 2004 uno studio su “Journal of Marriage and Family” ha mostrato che i bambini che vivono in famiglie con genitori biologici conviventi sperimentano risultati peggiori, in media, rispetto a quelli che risiedono con due genitori biologici sposati. Tra gli adolescenti dai 12-17 anni, la convivenza dei genitori è associata negativamente al benessere, a prescindere dai livelli economici.

     

    • Nel febbraio 2004 sul Journal of Marriage and Family si è valutato il benessere dei figli cresciuti in famiglie ricostituite (campione 13 mila), arrivando alla conclusione che gli adolescenti che vivono con genitori acquisiti, spesso conviventi, hanno uno sviluppo peggiore rispetto ai loro coetanei che vivono con due genitori biologici sposati, e gli adolescenti che vivono in famiglie ricostituite conviventi vivono un’esperienza di maggiore svantaggio rispetto ai loro coetanei che vivono in famiglie ricostituite coniugate.

     

    • Nel novembre 2003 uno studio su “Journal of Marriage and Family” ha rilevato che gli adolescenti che vivono con genitori acquisiti o conviventi spesso vivono una situazione peggiore rispetto ai loro coetanei che vivono con i due genitori biologici sposati. I risultati, spiegano gli autori, contribuiscono alla comprensione del dibattito sulla convivenza circa l’importanza del matrimonio per i bambini.

     

    • Nell’agosto 2003 uno studio pubblicato su “Journal of Marriage and Family” ha rilevato che i coniugi che hanno convissuto prima del matrimonio hanno anche riferito una qualità inferiore del loro rapporto coniugale e una maggiore instabilità della relazione.

     

    • Nel maggio 2003 uno studio del “Center for Law and Social Policy” ha rilevato che in media i bambini che crescono in famiglie con entrambi i genitori biologici lo fanno in modo migliore rispetto a coloro che crescono con genitori single o conviventi. Rispetto ai bambini cresciuti da genitori sposati, i bambini in altri tipi di condizioni hanno più probabilità di raggiungere livelli più bassi di istruzione, diventare genitori adolescenti, maggiori problemi di salute mentale e maggiore povertà.

     

    • Nel maggio 2003 sul “Journal of Marriage and Family Study” è stato mostrato infatti che le coppie conviventi hanno dalle quattro alle otto volte più probabilità di interrompere il loro rapporto rispetto a coloro che sono sposati. Secondo un altro studio– anche una volta sposati, coloro che hanno convissuto prima del matrimonio hanno più probabilità di separarsi o divorziare (il 33% in più, in particolare) rispetto a chi non ha convissuto.

     

    • Nel 2003 uno studio sociologico ha rilevato che i bambini che vivono con genitori sposati (sia biologici che adottivi) provano meno esperienze di disagio materiale rispetto ai bambini che vivono con madri sole, con genitori conviventi o acquisiti

     

    • Nel 2002 una ricerca basata sui dati del National Longitudinal Study Educational (Nels), pubblicata su “Demography”, ha scoperto che gli adolescenti che vivono con genitori non sposati (conviventi) hanno meno probabilità di arrivare al diploma di scuola superiore o di frequentare il college, sono più propensi a fumare o bere, e più propensi ad avviare precocemente l’attività sessuale.

     

    • Nel 2002 sul “Journal of Marriage and Family” ricercatori della Pennsylvania State University hanno rilevato che le coppie che convivono prima del matrimonio hanno una maggiore instabilità coniugale rispetto alle coppie che non convivono. Inoltre, i coniugi che convivono prima del matrimonio presentano più alti tassi di separazione coniugale e di divorzio

     

    • Nel 2002 uno studio realizzato dal Max-Planck-Institut, intitolato “Dissolution of unions in Europe: A comparative overview” e basato su 17 Paesi nord americani e europei ha mostrato che – senza eccezioni – le convivenze hanno una più bassa probabilità di sopravvivere, rispetto ad unioni iniziate direttamente con un matrimonio. Non solo, ma -scrivono i ricercatori- «alcuni paesi europei sono caratterizzati da particolarmente stabili modelli familiari. Questi paesi si trovano in diverse zone d’Europa, ma tutti hanno in comune la caratteristica di essere fortemente dominati dalla confessione cattolica», ed inoltre, «le coppie che iniziano la loro unione con la convivenza sono esposte a rischi di perturbazione notevolmente superiori rispetto alle coppie che iniziano a vivere insieme solo dopo il matrimonio». Paesi con una quota più alta di unioni di fatto sperimenteranno un’alta proporzione di unioni instabili.

     

    • Nel 2002 i ricercatori E. Dourleijn E e A. Liefbroer hanno confermato che le persone che convivono e non sono sposate e le persone che hanno convissuto prima del matrimonio (ex conviventi), presentano un più alto rischio di scioglimento dell’unione sentimentale rispetto a coloro che hanno iniziato la convivenza dopo il matrimonio. Gli ex conviventi hanno infatti un basso livello di impegno rispetto al matrimonio in generale, un atteggiamento negativo sulla vita familiare o presentano personalità o caratteristiche socio-economiche che li predispongono alla dissoluzione della relazione. I risultati rivelano anche che se la convivenza è praticata da circa la metà della popolazione, allora gli ex conviventi si trovano ad avere circa gli stessi rischi di dissoluzione delle persone sposate, «tuttavia, i loro rischi di scioglimento saranno sempre superiori a quelli delle persone che si sono sposate subito senza convivere prima».

     

    • Nel 2002 su “Journal of Marriage and Family” uno studio ha mostrato che vivere separati da entrambi i genitori biologici, indipendentemente dal motivo, è associato ad un aumentato rischio di divorzio in età adulta. In particolare, i bambini nati fuori dal matrimonio, anche se non hanno sperimentato il divorzio dei genitori o la loro morte, avvertono un rischio molto elevato di interruzioni coniugali quando saranno adulti.

     

    • Nel 2002 lo studio “The Kids Are Alright? Children’s Well-Being and the Rise in Cohabitation” ha rilevato che i bambini hanno molta meno probabilità di essere poveri, di soffrire di insicurezza alimentare, di leggere raramente, e avere problemi comportamentali, se essi vivono all’interno di una coppia sposata, piuttosto che con genitori conviventi. I figli di questi ultimi hanno comunque qualche beneficio in più rispetto ai bambini che vivono con madri single.

     

    • Nell’ottobre 2002 i ricercatori W. Sigle-Rushton e S. McLanahan hanno espresso preoccupazione per l’aumento delle convivenze piuttosto che il matrimonio, del sesso prematrimoniale, del tasso di divorzi poiché un grande corpo di ricerca indica in modo chiaro che tutto questo ha un impatto deleterio sui bambini, sulle famiglie e sula società nel suo complesso. In particolare lo studio ha dimostrato che i bambini cresciuti in con madri single sono svantaggiati rispetto ai loro coetanei e questo inconveniente persiste oltre l’infanzia. L’assenza del padre inoltre porta a risultati negativi nel rendimento scolastico, nella salute psicologica, maggiori comportamenti delinquenziali e minore benessere economico e delle relazioni in età adulta.

     

    • Nel giugno 2002 i sociologi Kristin Anderson Moore, Susan M. Jekielek e Carol Emig, attraverso il loro studio, hanno dimostrato che esiste un ampio corpus di ricerche che indicano come i bambini si sviluppano meglio quando crescono con entrambi i genitori biologici, all’interno di un matrimonio. Hanno affermato in particolare: «non è semplicemente la presenza di due genitori, ma è la presenza di due genitori biologici che sembra sostenere lo sviluppo dei bambini». Essi hanno concluso promuovendo strategie per la riduzione delle nascite fuori del matrimonio e invitando a sostenere i matrimoni stabili.

     

    • Nel 2001 uno studio realizzato dall’Urban Institute ha mostrato che gli adolescenti (sia bianchi che ispanici) che vivono in famiglie con genitori conviventi presenta una situazione peggiore, in media, rispetto a quelli che vivono con madri single: mostrano significativamente più probabilità di un minor impegno scolastico, hanno più probabilità di essere sospesi o espulsi dalla scuola (sempre rispetto a quelli che vivono con una madre single). «La nostra analisi», scrivono i ricercatori, «dimostra che vivere con una madre single e il suo fidanzato non è migliore di vivere con soltanto una madre single. In molti casi (in particolare per i bianchi e gli ispanici), è significativamente peggiore. I risultati più favorevoli che osserviamo, invece, sono per gli adolescenti che vivono con i loro genitori biologici, che sono sposati l’uno all’altro»

     

    • Nel novembre 2001 una ricerca su “Journal of Marriage and Family” ha mostrato che il divorzio dei genitori ha approssimativamente raddoppiato le probabilità che i figli avrebbero visto a loro volta la fine del proprio matrimonio con un divorzio. Invece, i figli che hanno visto i loro genitori rimanere sposati, anche se con difficoltà, non hanno rilevato un elevato rischio di divorzio.

     

    • Nell’agosto 2001 uno studio ha mostrato come gli adolescenti maschi e femmine provenienti da famiglie divorziate presentano maggiori problemi accademici, psicologici e comportamentali di coetanei i cui genitori restano sposati. Le analisi indicano che le adolescenti di sesso femminile hanno più probabilità di essere colpite dal processo di divorzio dei genitori, rispetto agli adolescenti di sesso maschile.

     

    • Nel 2001 uno studio della Florida Atlantic University basato su oltre 400.000 omicidi commessi tra il 1976 e il 1994, si è concentrato sul tasso di uxoricidio (l’omicidio di una donna dal suo partner). Si è riscontrato che l’incidenza di uxoricidio era nove volte superiore nelle donne che convivevano con gli uomini rispetto a quelle che erano invece sposate.

     

    • Nel maggio 2000 uno studio sul “Journal of Marriage and Family” ha mostrato che rispetto ai bambini cresciuti con madri vedove, i figli cresciuti con madri divorziate presentano livelli significativamente più bassi di istruzione, stato occupazionale e felicità in età adulta.

     

    • Nel 2000 uno studio pubblicato su “Journal of Health and Social Behavior” ha confrontato la convivenza con il matrimonio, rilevando che i conviventi maschi e femmine, in particolare, presentano livelli più elevati di depressione (2,8 volte in più) e maggiori livelli di consumo di alcol, rispetto ai loro coetanei sposati.

     

    • Nel 2000 una relazione dell’U.S. Department of Justice, intitolata “Intimate Partner Violence” ha rilevato che le donne sposate nelle famiglie tradizionali presentano un minor tasso di violenza, al contrario delle donne unite in altri tipi di relazioni. Le donne non sposate al loro “partner intimo” (cioè, erano conviventi), hanno infatti registrato un tasso di violenza quattro volte superiore a quello delle donne sposate (11,3 per mille rispetto a 2,6 per mille).

     

    • Nel 2000 la sociologa Linda Waite, esperta in famiglia e matrimonio, e il sociologo Maggie Gallagher, hanno spiegato nel loro libro The Case for Marriage: Why Married People are Happier, Healthier and Better Off Financially (Doubleday, 2000), che «le persone sposate sono più felici, più sane e hanno migliori condizioni economiche: infatti, praticamente tutti gli studi realizzati hanno scoperto che uomini e donne sposati sono più felici dei single. Il vantaggio della felicità per le persone sposate è molto grande e molto simile per uomini e donne, e appare in ogni paese su cui abbiamo informazioni» (pag. 168). Inoltre, dallo studio è emerso che le persone sposate sono molto più capaci di essere fedeli rispetto ai loro coetanei conviventi, in particolare gli uomini conviventi hanno presentato quasi quattro volte più probabilità, rispetto ai mariti, di aver tradito l’anno precedente, ma anche le donne conviventi -generalmente più fedeli degli uomini-, hanno presentato otto volte più probabilità, rispetto alle mogli, di tradire il partner

     

    • Nel 2000 il prof. il prof. David Popenoe, docente di sociologia e co-direttore del National Marriage Project presso la Rutgers University, ha scritto il libro “Life without Father” nel quale ha documentato come «il declino della paternità è uno dei problemi più inquietanti che affliggono la società americana: criminalità, sessualità prematura e fuori dal matrimonio, nascite da adolescenti, deterioramento rendimento scolastico, depressione, abuso di sostanze e di alienazione tra gli adolescenti, e la numero crescente di donne e bambini in condizioni di povertà derivano da essa».

     

    • Nel 1998 una ricerca su “Journal of Marriage and Family” ha rilevato che il rischio del consumo di droga è più alto tra gli adolescenti in custodia a padri non biologici (padre acquisito) e a padri single, anche dopo aver aggiustato gli effetti per sesso, età, razza-etnia e reddito familiare. Il rischio di uso di droga è più basso nei figli cresciuti in famiglie con madre e padre biologici.

     

    • Nel 1998, un importante studio sul “Journal of Marriage and the Family” ha esaminato il legame tra felicità personale e lo stato civile in 17 diverse nazioni industrializzate, trovando che le persone sposate hanno un livello significativamente più alto di felicità rispetto alle persone non sposate. Questo effetto era indipendente a protezioni finanziarie e alle variabili di controllo, comprese le condizioni socio-demografiche e di carattere nazionale.

     

    • Nel 1998 il docente di sociologia all’Università della Virginia, Steven L. Nock, ha pubblicato il libro “Marriage in Men’s Lives” (Oxford University Press 1998) nel quale spiega e dimostra come il matrimonio e la paternità promuovano un senso di scopo, un maggiore impegno e responsabilità che porta gli individui a proteggere la loro salute al fine di prendersi cura degli altri

     

    • Nel 1996 è stato pubblicato il volume “Life without father” (The Free Press 1996) di David Popenoe, professore emerito di Sociologia persso la Rutgers University, nel quale si dimostra come i bambini nati al di fuori matrimonio hanno cinque volte più probabilità di vivere in povertà, rispetto a chi cresce all’interno famiglie stabili e intatte. Inoltre questi bimbi presentano due o tre volte più probabilità di avere problemi psichiatrici da adolescenti. Il sociologo spiega che, anche se è evidente che vi siano casi in cui bambini allevati da genitori single non presentano questi problemi, sono però un’eccezione: «in tre decenni di attività come scienziato sociale, conosco pochi altri organismi di dati in cui il peso delle prove è così decisamente concorde sul fatto che i bambini nati in famiglie con due genitori sono preferibili a quelle con un solo genitore e a genitori non sposati», ha affermato Popenoe a pag. 176

     

    • Il 6 aprile 1995 con un articolo su “The New England Journal of Medicine” viene recensito uno studio realizzato da Sara McLanahan e Garry Sandefur. Si legge: «C’è bisogno di preoccuparsi per l’aumento delle famiglie monoparentali, o si tratta semplicemente di stili di vita alternativi, senza conseguenze per lo sviluppo del bambino? I dati raccolti da McLanahan e Sandefur dimostrano inequivocabilmente che i bambini hanno bisogno di due genitori. Non è che le madri single non possono crescere figli che diventeranno adulti con successo, la maggior parte lo fanno. Ma il rischio di un esito sfavorevole è molto più elevato per i bambini in famiglie monoparentali rispetto a quelli in famiglie con due genitori. I dati dimostrano che i bambini che crescono in famiglie monoparentali, se i genitori non sono sposati, o sono separati o divorziati, hanno il doppio del rischio di andare male a scuola, problemi comportamentali, abbandono della scuola superiore, essere senza lavoro, mentre per le ragazze c’è il doppio del rischio di diventare madri adolescenti». Questo perché «separazione e divorzio sono evidenti fattori di stress per i bambini», inoltre con «il nuovo matrimonio molti bambini devono adattarsi ai genitori acquisiti e fratellastri, un terzo di questi secondi matrimoni finisce in un altro divorzio, portando ad ulteriore stress».

     

    • Nel gennaio 1995 Steven L. Incocco dell’University of Virginia ha pubblicato uno studio su “Journal of Family Issues” rilevando che le persone conviventi hanno maggiore probabilità di esprimere livelli più bassi di impegno nelle loro relazioni, di riferire livelli inferiori di felicità nelle loro relazioni e di avere rapporti con i genitori più poveri rispetto alle persone sposate.

     

    • Nel 1994 uno degli studi più grandi e sofisticati mai condotto sulla sessualità negli Stati Uniti ha rilevato che, condotto da Robert T. Michael, John H. Gagnon, Edward O. Laumann e Gina Kolata, ha rilevato che le persone che hanno riferito i massimi livelli di soddisfazione sessuale fisica ed emotiva sono coppie sposate, arrivate al matrimonio senza precedenti esperienze sessuali

     

    • Nel 1993 uno studio pubblicato su “American Sociological Review” ha mostrato come l’esperienza del divorzio e della disgregazione familiare durante l’infanzia aumenta notevolmente le probabilità di avere un basso stato occupazionale in età adulta. Al contrario, i soggetti che provengono da ambienti familiari composti dai due genitori biologici mostrano l’opposto.

     

    • Nel 1992 sulla rivista “Journal of Marriage and Family” uno studio ha rilevato che genitori single, matrigne e patrigni e partner conviventi offrono meno attenzioni positive ai bambini rispetto ai genitori originali. Secondo i ricercatori questo è dovuto al fatto che due adulti sono più efficaci di uno, e che i genitori adottivi o acquisiti sono maggiormente estranei riguardo ai bambini.

     

     

    • Nel 1992 ricercatori della Bowling Green State Univeristy hanno dimostrato che la convivenza è associata ad un rischio maggiore di scioglimento, tanto che la moltitudine di dati ha portato ad affermare che la probabilità maggiore di divorzio dopo la convivenza «sta iniziando ad assumere lo status di una generalizzazione empirica».

     

    • Nel 1992 una ricerca condotta congiuntamente da ricercatori dell’Università di Yale e dell’Università della California ha rilevato che uno dei risultati più consistenti in epidemiologia psichiatrica è che le persone sposate godono di una migliore salute rispetto a quelle non sposate. I ricercatori hanno riscontrato il maggior numero di disturbi mentali tra i divorziati e separati, mentre il tasso più basso era tra le persone sposate. Single e vedovi erano in una fascia intermedia.

     

    • Nel 1992 sociologi dell’Università del Wisconsin-Madison hanno pubblicato uno studio attraverso il quale si dimostrava che le coppie che avevano convissuto prima di sposarsi riferivano una peggiore qualità del loro matrimonio, un minore impegno, una visione più individualistica ed una maggiore probabilità di divorzio rispetto alle coppie che non avevano convissuto. Gli effetti negativi crescevano al crescere del periodo di convivenza.

     

    • Nel 1991 su “American Sociological Review” è stato rilevato che i bambini che vivono con i genitori single o genitori acquisiti in una convivenza (o secondo matrimonio) ricevono meno incoraggiamento e meno aiuto nell’attività scolastica rispetto ai bambini che vivono con entrambi i genitori naturali (biologici).

     

    • Nel 1991 una rassegna di oltre 130 studi pubblicati negli ultimi 100 anni, realizzata da ricercatori dell’University of California, ha mostrato un alto impatto sul benessere personale dovuto al matrimonio. Le persone sposate, infatti, hanno mostrato una miglior salute e benessere rispetto alle persone in qualsiasi altra categoria relazionale.

     

    • Nel 1990 lo studio intitolato “Mortality Differentials by Marital Status: An International Comparison” ha rilevato che uomini di mezza età non sposati, siano essi single, divorziati o vedovi, hanno in media due volte più probabilità dei loro coetanei sposati di morire prematuramente. Le donne non sposate, invece, presentano circa una volta e mezzo più probabilità di morte prematura rispetto alle donne sposate. Questi risultati sono coerenti a livello internazionale.

     

    • Nel 1989 i ricercatori Lois Verbrugge e Donald Balaban hanno rilevato che le donne e gli uomini non sposati generalmente trascorrono il doppio del tempo come pazienti negli ospedali rispetto ai loro coetanei sposati.

     

    • Nel 1988, una ricerca di ricercatori dell’Università del Wisconsis pubblicato sull’American Sociological Review ha esaminato gli effetti della disgregazione della famiglia nell’infanzia sull’esperienza familiare da adulti, rilevando una forte evidenza del fatto che le donne che trascorrono parte della loro infanzia in famiglie monoparentali sono più propense a sposarsi e avere figli precocemente, a partorire prima del matrimonio, e vedere rompere il loro matrimonio.

     

    • Nel 1988, l’American Sociological Review ha pubblicato una ricerca secondo cui il tasso di divorzio o scioglimento della coppia per coloro che avevano convissuto prima del matrimonio era superiore dell’80% rispetto a coloro che non avevano mai convissuto.

     

    • Nel giugno 1988 uno studio sul “Journal of Family Issues” ha completamente respinto l’idea che la convivenza prima del matrimonio migliori la scelta del partner. Essa è infatti risultata essere negativamente correlata all’interazione coniugale e positivamente correlata al disaccordo coniugale e alla propensione al divorzio.

     

    • Nel 1984 lo psicologo E. Greenberger si è concentrato sul confronto tra crescita dei bambini in famiglie monoparentali e con due genitori, rilevando che contributi essenziali per lo sviluppo ottimale dei bambini, come l’indipendenza e l’individualità, sono virtualmente impossibili da offrire per chi è single e che la famiglia è l’ambito primo e più importante per lo sviluppo di sentimenti sul sé.

     

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Convivere prima del matrimonio aumenta il rischio di divorzio

 

 

di Anna Paola Borrelli*
*teologa moralista e perfezionata in bioetica

 

Un articolo apparso di recente sul New York Times ha portato alla ribalta un tema piuttosto delicato e diffuso: la convivenza!  “Ho trascorso più tempo ad organizzare il mio matrimonio che non ad essere felicemente sposata”: comincia così il racconto di Jennifer (il nome è inventato), una donna di 32 anni alla sua psicologa clinica Meg Jay dell’Università della Virginia, autrice dell’articolo sul quotidiano americano. La donna (che aveva già alle spalle il fallimento del matrimonio dei suoi genitori) confida alla psicologa di aver convissuto per più di 4 anni, prima di sposare quello che sarebbe diventato il futuro marito e di aver iniziato dopo la terapia anche la ricerca di un avvocato divorzista. Incredula si chiede: “Com’è potuto accadere?”

Nel 1960 negli Stati Uniti le coppie conviventi erano 450.000, mentre oggi il loro numero è aumentato vertiginosamente, fino ad arrivare a più di 7,5 milioni. Si calcola, inoltre, che più della metà dei matrimoni siano preceduti da convivenza. Oltre ai motivi più disparati che vengono enumerati, quali: la rivoluzione sessuale, la pianificazione delle nascite, i vantaggi di ordine economico, riguardanti  la suddivisione di spese e bollette, un’ulteriore motivazione additata dai 2/3 dei giovani americani punta sulla convivenza come una forma di “prevenzione” del divorzio. Ciò emerge dai dati di un sondaggio nazionale del 2001, a cura del National Marriage Project.

Attualmente, però, gli studi dei ricercatori vanno nel senso propriamente opposto e l’esperienza degli sposi va a falsificare le convinzioni dei ragazzi americani. Dalle pagine dell’autorevole quotidiano statunitense si evince che “le coppie che convivono prima del matrimonio (e soprattutto prima di un fidanzamento o di un impegno chiaro), tendono ad essere meno soddisfatte del loro matrimonio e hanno più probabilità di divorziare rispetto alle coppie che non lo fanno”. I ricercatori precisano che non sono le caratteristiche individuali come l’istruzione, la religione o le idee politiche a compromettere la convivenza (“effetto negativo”), ma alcuni dei rischi sono insiti nella convivenza stessa.

Il Pontificio Consiglio per la Famiglia, nel suo Documento “Famiglia, matrimonio e ‘unioni di fatto'”, mette a confronto matrimonio e convivenza, chiarendo che: «la comunità familiare nasce dal patto d’alleanza dei coniugi. Il matrimonio che sorge da questo patto d’amore coniugale non è una creazione del potere pubblico, bensì un’istituzione naturale e originaria che lo precede. Nelle unioni di fatto, al contrario, si mette in comune l’affetto reciproco, ma allo stesso tempo manca quel vincolo coniugale di natura pubblica e originaria che fonda la famiglia. Famiglia e vita formano un’unità che deve essere protetta dalla società, in quanto si tratta del nucleo vivente della successione (procreazione ed educazione) delle generazioni umane» (n. 9).

Quando la psicologa domanda a Jennifer: ”Come siete arrivati alla convivenza?” lei risponde: “Ci siamo scivolati dentro, è successo. Stavamo un po’ da lui un po’ da me, ci piaceva stare insieme ed era più conveniente dividere le spese”. I ricercatori definiscono questo modus operandi come uno “scorrere, uno scivolare dentro”, anziché “decidere”. Nel Documento si legge ancora: «Le unioni di fatto non comportano diritti e doveri matrimoniali, né pretendono una stabilità basata sul vincolo matrimoniale. Si distinguono per la ferma rivendicazione di non implicare alcun vincolo. L’instabilità costante, dovuta alla possibilità di interrompere la vita in comune è, di conseguenza, caratteristica delle unioni di fatto» (n.4). Invece, «con il matrimonio si assumono pubblicamente, mediante il patto d’amore coniugale, tutte le responsabilità che derivano dal vincolo così stabilito. Da questa assunzione pubblica di responsabilità risulta un bene non solo per i coniugi e i figli nella loro crescita affettiva e formativa, bensì anche per gli altri membri della famiglia. La famiglia fondata sul matrimonio è così un bene fondamentale e prezioso per l’intera società, le cui fondamenta riposano solidamente sui valori che si concretizzano nei rapporti familiari e che trova la propria garanzia nel matrimonio stabile». (Pontificio Consiglio per la Famiglia, “Famiglia, matrimonio e ‘unioni di fatto’“, 2).

Pertanto la convivenza diventa, talvolta, la via di fuga dinanzi a scelte più convenienti (la suddivisione delle spese) oppure include il rimando o la mancata assunzione di vincoli e responsabilità. In un’epoca in cui dilagano edonismo e relativismo, il “per sempre” come categoria temporale incute sempre più timore e viene demonizzato, sostituito dal più semplice “forse” o dallo “stare insieme, finchè dura”. Decidere di scommettere tutta la propria vita sull’altro, di impegnarsi seriamente nel presente e nel futuro dell’eternità dell’amore mira a costruire orizzonti stabili al comune progetto di vita a due, a ricoprirlo di valenza giuridico-sociale e ad arricchire l’amore di significato e pienezza di senso.

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Nuovo studio: la convivenza prima del matrimonio aumenta il tasso di divorzio

Ancora una volta gli studi scientifici arrivano a confermare ciò che la dottrina cattolica insegna ininterrottamente da oltre 2000 anni. Questa volta si tratta del tema della convivenza prima del matrimonio.

Nel giungo scorso, Benedetto XVI durante la messa conclusiva della sua visita in Croazia, si è rivolto alle famiglie dicendo: «Purtroppo dobbiamo constatare, specialmente in Europa, il diffondersi di una secolarizzazione che porta all’emarginazione di Dio dalla vita e ad una crescente disgregazione della famiglia. Si assolutizza una libertà senza impegno per la verità, e si coltiva come ideale il benessere individuale attraverso il consumo di beni materiali ed esperienze effimere, trascurando la qualità delle relazioni con le persone e i valori umani più profondi; si riduce l’amore a emozione sentimentale e a soddisfazione di pulsioni istintive, senza impegnarsi a costruire legami duraturi di appartenenza reciproca e senza apertura alla vita […]. Care famiglie, siate coraggiose! Non cedete a quella mentalità secolarizzata che propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio! Mostrate con la vostra testimonianza di vita che è possibile amare, come Cristo, senza riserve, che non bisogna aver timore di impegnarsi per un’altra persona! Care famiglie, gioite per la paternità e la maternità! L’apertura alla vita è segno di apertura al futuro, di fiducia nel futuro, così come il rispetto della morale naturale libera la persona, anziché mortificarla! Il bene della famiglia è anche il bene della Chiesa».

Il quotidiano La Repubblica diede spazio alla replica delle associazioni omosessuali (Comitato Roma Europride, Circolo Mario Mieli, Arcigay, Agedo, Mit, Famiglie Arcobaleno), le quali dichiararono: «Oltre che incomprensibile e falso il suo discorso è al di fuori dalla realtà».  Tuttavia sono passati pochi mesi e la ricerca scientifica ha dato ragione al Pontefice, ponendo fuori dalla realtà i suoi detrattori. I ricercatori dell’Università di Denver hanno infatti rilevato che le coppie che convivono prima di sposarsi (o le coppie di fatto) hanno una maggiore probabilità di divorziare rispetto a coloro che scelgono di aspettare a vivere insieme fino a dopo il matrimonio. Inoltre, queste coppie hanno riferito una soddisfazione più bassa rispetto al loro matrimonio.

Già nel 1988, tuttavia, sul “Journal of Family Issues” si respingeva l’idea che la convivenza migliorasse la scelta del partner. I ricercatori trovarono che la convivenza era negativamente correlata all’interazione coniugale e positivamente correlata al disaccordo coniugale e alla propensione al divorzio. Sempre nel 1988, l’American Sociological Review pubblicava una ricerca secondo cui il tasso di divorzio o scioglimento della coppia per coloro che avevano convissuto prima del matrimonio era superiore dell’80% rispetto a coloro che non lo avevano fatto. Nel 1992 invece i sociologi dell’Università del Wisconsin-Madison hanno pubblicato uno studio attraverso il quale si dimostrava che le coppie che avevano convissuto prima di sposarsi riferivano una peggiore qualità del loro matrimonio, un minore impegno, una visione più individualistica ed una maggiore probabilità di divorzio rispetto alle coppie che non avevano convissuto. Gli effetti negativi crescevano al crescere del periodo di convivenza. Sempre nel 1992 la moltitudine di dati ha portato i ricercatori della Bowling Green State Univeristy a concludere che la probabilità maggiore di divorzio dopo la convivenza «sta iniziando ad assumere lo status di una generalizzazione empirica». Addirittura nel 1995 sul “Journal of Family Issues” si affermava che il ruolo della convivenza pre-matrimoniale è determinante per la successiva interruzione coniugale. Nel 2002 i ricercatori della Pennsylvania State University hanno anche loro pubblicato sul “Journal of Marriage and Family” i risultati di uno studio secondo cui le coppie che convivono prima del matrimonio hanno una maggiore instabilità coniugale rispetto alle coppie che non convivono. Infine, una metanalisi complessiva del 2010 ha concluso a sua volta che la convivenza presenta una significativa associazione negativa con la stabilità coniugale e la qualità coniugale. Studiando tutti i principali studi sul tema si è anche scoperto che gli effetti negativi della convivenza sono rimasti costanti nel tempo, nonostante che essa sia diventata un comportamento più diffuso nella società.

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Nuovo studio: chi è sposato vive meglio e più a lungo di chi è single o divorziato

Un felice matrimonio giova alla salute e può allungare la vita. Lo sostengono i ricercatori dell’Università di Rochester in uno studio pubblicato sulla rivista “Health Psychology”.

Lo studio ha confermato che se qualcuno subisce un bypass coronarico, ha 3 volte più probabilità di essere vivo dopo 15 anni dopo se è spostato rispetto a chi è single, divorziato o vedovo. «L’effetto di soddisfazione coniugale è altrettanto importante per la sopravvivenza dopo un intervento chirurgico come i fattori di rischio più tradizionali: l’uso del tabacco, l’obesità e l’ipertensione», ha detto il dottor Harry Reis, co-autore dello studio.

Gli uomini sottoposti a intervento chirurgico di bypass hanno vissuto più a lungo in virtù del semplice fatto di essere sposati, indipendentemente da quanto fosse felice o infelice l’unione. Per le donne invece conta molto di più la qualità del matrimonio. In altre parole, le donne felicemente sposate avevano quasi quattro volte più probabilità di essere vive dopo 15 anni dall’operazione rispetto alle donne single o divorziate.

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Ricercatori inglesi: il matrimonio migliora la salute e allunga la vita

Pochi giorni fa davamo la notizia di uno studio dell’University della Virginia in cui si sottolineava l’impatto negativo vissuto dai figli di coppie conviventi rispetto a quelli di coppie sposate (cfr. Ultimissima 21/8/11).

In questi giorni un’altra ricerca rivela che anche per i genitori c’è un beneficio se scelgono di sposarsi piuttosto che convivere. Il matrimonio infatti mette di buon umore, migliora l’alimentazione e allunga la vita: è quanto sostiene un ampio studio apparso in un editoriale del “British Medical Journal” e condotto in sette paesi europei. Più dura la relazione e più si accumulano “vantaggi”, a patto che la coppia si ami e si sostenga a vicenda.

L’esperto dell’Università di Cardiff, John Gallacher, che ha preso in esame lo studio, sostiene che un marito e una moglie felici mangiano in modo più sano, hanno più amici e si prendono maggiore cura l’uno dell’altro: «Il matrimonio e altre forme di relazione possono essere posti su una scala di impegni, maggiore è l’impegno e maggiore è il beneficio», spiega lo studioso. Il matrimonio visto come un impegno quindi e per questo associato a una migliore salute mentale in confronto alla convivenza, la quale solitamente è meno stabile.

Il sito del TG1 informa anche che l’anno scorso una ricerca della “World Health Organisation” ha rivelato che le nozze possono ridurre il rischio di ansia e depressione ed è più facile per chi pronuncia il fatidico sì evitare di essere depressi in confronto ai single.

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