L’inconsistenza scientifica della teoria del gender

GenderL’ideologia del gender è una delle più grandi truffe che sono mai state architettate a danni dell’umanità. Cosa recita in sostanza tale tesi, inventata negli anni ’90? Non si è uomini e donne perché nati con certe identità fisiche, ma lo si è solo se ci si riconosce come tali.

Quindi il sesso (sex) costituirebbe un corredo genetico, biologico e anatomico, mentre il genere (gender), rappresenta una costruzione culturale, che può essere anche contrario al sesso: se voglio sentirmi donna sarò donna e il giorno dopo posso sentirmi uomo, e allora sarò uomo. Oppure se mi gira posso essere gay, lesbo, trans, bisex e via con una scelta di ben altri 17 generi, secondo la “Australian human rights commission”.

E’ ovvio che tale sciocchezza sia una scheggia impazzita della rivoluzione sessantottina, fa parte anch’essa della ribellione  all’autorità, cioè verso tutto quello che ci definisce e che però non è in nostro possesso, come appunto la nostra natura umana. Così è nata questa favola per illudersi di decidere noi chi siamo veramente, eliminando qualsiasi antecedente. La tesi del gender ha anche una chiara origine ateista in quanto è ribellione anche contro Dio, non a caso recentemente Benedetto XVI ha detto in proposito: «La Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna, e il no a filosofie come quella del gender si motiva per il fatto che la reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore».

I Paesi nordici, protestantizzati e dunque secolarizzati, sono all’avanguardia su queste utopie, tanto che uomini e donne si comportano fin da piccoli in maniera completamente uguale, annullando ogni differenza. A Stoccolma, ad esempio, nell’asilo Egalia gli alunni non sono più bambini e bambine, ma “friends” e vengono tutti chiamati con il pronome neutro “hen”. Tutti i giochi e le favole sono obbligatoriamente neutri per indurre artificialmente l’indistinzione, la totale parità e la lotta alla discriminazione. Molti genitori non rivelano il sesso biologico ai propri figli, e nemmeno ai parenti stretti, per lasciare ad essi la scelta.

Marzio Barbagli, prestigioso sociologo italiano autore de “La sessualità degli italiani” (Il Mulino) ha tuttavia spiegato che la negazione delle differenze sessuali «porta più danni che vantaggi». Ha approfondito la psicologa Simona Argentieri: «Nascono dalla presunzione di avere un’idea precisa del processo di sviluppo maschile e femminile, e di correggerlo prevaricando». Diversi studi, inoltre, hanno messo in luce il Norwegian gender paradox, il paradosso norvegese del gender. Si tratta di una segregazione verticale tra uomini e donne nei settori di lavoro, che dimostra come le donne continuino a scegliere professioni tradizionalmente viste come “femminili” e gli uomini quelle tradizionalmente “maschili”. Questo fenomeno è stato oggetto di ricerca da parte di Catherine Seierstad, della Queen Mary University of London. La studiosa ha cercato di capire come mai, nonostante tutti gli sforzi normativi per la parità di genere, i comportamenti dei due sessi non rispecchino l’uguaglianza tanto ricercata.

Anche il sociologo norvegese, Harald Eia, ha cercato di approfondire la questione attraverso un documentario in sette puntate mandato in onda nel 2010. Eia si è rivolto americani e inglesi, da Cambridge alla California State University, passando per UCLA, e ha incontrato diversi docenti di psicologia (R. Lippa, A. Campbell), medicina (S. Baron-Cohen) e sociologia, i quali hanno spiegato che le donne e gli uomini sono, alla fine, ben diversi tra di loro e che questo fatto viene rispecchiato dai loro comportamenti. Eia ha dunque portato tali testimonianze davanti ai responsabili del Nordic Gender Institute, e il documentario si è chiuso con i loro imbarazzi e l’incapacità di fornire spiegazioni scientifiche per la loro linea di pensiero. Uno degli effetti immediati del documentario è stata la decisione, da parte del consiglio dei ministri dei paesi nordici (Nordic Council of Ministers) di tagliare i fondi al Nordic Gender Institute, provocandone la chiusura.

David Geary, psicologa dell’età evolutiva presso l’Università del Missouri, ha spiegato che anche tra i nostri parenti stretti, come il cercopiteco,i ricercatori hanno scoperto che le femmine giocano con le bambole molto di più dei loro fratelli, che preferiscono invece palle e macchinine. Sembra improbabile tuttavia, ha spiegato, che le scimmie siano state indottrinate dagli stereotipi della società, come invece sostengono per gli uomini i teorici del gender. Doreen Kimura, psicobiologo della Simon Fraser University, ha invece mostrato che le differenze sono presenti fin nel cervello, e i risultati hanno messo fortemente in dubbio la visione che il genere sia plasmato dalla società. Anche Christina Hoff Sommers, studiosa dell’American Enterprise Institute, ha parlato in modo molto negativo di questo “indottrinamento”.

Infine, il filosofo Vittorio Possenti, docente presso l’Università Cà Foscari di Venezia -anche riferendosi al mancato riconoscimento giuridico di coppie omosessuali- ha spiegato che: «Discriminare non è sempre qualcosa di cattivo, poiché è semplice atto di giustizia trattare in modo diverso cose diverse. Riconoscere le differenze non significa discriminare, mentre ricorrere ai criteri di eguaglianza e non­discriminazione in maniera assoluta può giustificare qualsiasi esito, come quelli di cancellare le diversità di genere o di inventare “nuovi diritti” quali il diritto al figlio, o a disconoscerlo dopo averlo voluto con la fecondazione in vitro (parto anonimo). Definire discriminazione una qualsiasi differenza è dunque un falso egualitarismo in cui non esistono più volti, ma tutto è indistinto, amorfo, intercambiabile e funzionale. Cancellare le differenze reali non è inclusione ma confusione».

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Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz: «studiando filosofia sono divenuta credente»

Il premio Nobel per la chimica, Melvin Calvin, ebbe ad affermare: «Nel cercare di discernere le origini della convinzione sull’ordine dell’universo, mi pare di trovarle in un concetto fondamentale scoperto duemila o tremila anni fa, ed enunciato per la prima volta nel mondo occidentale dagli antichi ebrei: ossia che l’universo è governato da un unico Dio e non è il prodotto dei capricci di molti dèi, ciascuno intento a governare il proprio settore in base alle proprie leggi. Questa visione monoteistica sembra essere il fondamento storico della scienza moderna» (M. Calvin, “Chemical Evolution”, Oxford 1969, pag. 258).

La scienza nasce dall’alveo della religione cristiana, come abbiamo visto, ed è un dato di fatto anche per i nemici dei credenti come Peter Atkins, il quale ha a sua volta riconosciuto: ««la scienza, il sistema di credenze fondato saldamente su conoscenze riproducibili e pubblicamente condivise, è emersa dalla religione» (P. Atkins, “The limitless power of science”, Oxford University Press 1995, pag. 125).

Ma non soltanto l’indagine scientifica è debitrice della religiosità , ma anche quella filosofica. Lo ha spiegato molto bene Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, filosofa e presidente dell’Istituto europeo di filosofia e religione a Heiligenkreuz, in un’intervista per l’Osservatore Romano: «con Cusano mi fu chiaro che la grande filosofia si nutriva normalmente di un potenziale religioso. La stessa critica della religione di Nietzsche si lasciava leggere come “mistica negativa” (Henri de Lubac). Da un punto di vista fenomenologico Dio era da trovarsi indirettamente nel “mondo del fenomeno”; qui incontrai Romano Guardini ed Edith Stein. Entrambi furono miei maestri postumi. Il cuore del mio lavoro è il XIX e il XX secolo perché vi si concentra un grande lascito: la filosofia della religione».

La Gerl-Falkovitz, già docente presso le Università di Monaco di Baviera, Bayreuth, Tubinga e Eichstätt, dal 1993 al 2011 ha retto la cattedra di filosofia della religione e scienza religiosa comparata all’Università tecnica di Dresda, mentre dal 2011 -come già detto- presiede l’Istituto Europeo di filosofia e di religione presso l’Istituto Superiore filosofico-teologico Benedetto XVI, a Heiligenkreuz (Vienna). Durante l’intervista ha citato anche il celebre Edmund Husserl, spiegando che «quasi non parlò di Dio, ma molti dei suoi allievi si convertirono al cristianesimo», ha affrontato il pensiero di Ildegarda di Bingen che Papa Benedetto XVI dichiarerà Dottore della Chiesa e ha rivelato anche qualcosa di sé.

«Da adolescente ho fatto parte di un gruppo giovanile cristiano», ha raccontato la filosofa tedesca, « lì abbiamo potuto esprimere la nostra critica alla Chiesa, manifestare la nostra saccenteria ed essere guidati intelligentemente da una giovane teologa a una riflessione più profonda. Queste discussioni aperte, ma anche le sante messe, sono state importanti per il mio ancoraggio nella fede. La riflessione filosofica mi ha illuminata e ha rafforzato molte proposizioni della fede non chiare: sono diventata veramente credente studiando filosofia. Perciò oggi insegno anche fenomenologia, perché so che conduce a verità profonde con l’”apprendere a guardare”. Si deve cambiare solo lo sguardo, allora si vedono le Verità di Cristo. Già nella patristica è stato detto: “Tutte le luci della terra di Grecia brillano per il sole che si chiama Cristo”».

Nella sua riflessione ha trovato spazio anche una critica alla moderna “ideologia del gender”, una tesi pericolosa e profondamente contraria alla dignità e diversità della donna: «mi sono occupata obiettivamente di teologia femminista fin dagli anni Settanta, soprattutto di storia delle donne e dell’”immagine” maschile di Dio. Quando l’ideologia si indirizzò verso la “liturgia delle donne” e la costruzione arbitraria di un preteso “matriarcato”, divenni critica: una serie di ideali suonavano irreali e piuttosto zoppi. Considerai criticamente anche Simone de Beauvoir con la sua proposta di mascolinizzazione della donna e, soprattutto, l’ideologia del gender, che ha degradato il corpo alla corporeità neutrale. Ildegarda di Bingen già aveva considerato il corpo con molta serietà. Si può apprendere dalla storia delle donne cristiane molto di buono su questo argomento, ora dimenticato».

Infine una lode al Pontefice: «Con Joseph Ratzinger il Logos cristiano si desta a una vita inattesa. Questo “salva” non solo l’antica e primitiva Chiesa nel presente, ma la salva anche dallo scrollarsi dalle spalle la verità. Il Papa parla da una religiosità del pensiero: la conversione alla realtà».

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La menzogna della “teoria del gender” e l’incapacità ad educare

Può sembrare una presa di giro, ma ahimè non lo è. Nils Pickert è divenuto famoso sui casi di cronaca in quanto si è messo ad indossare la gonna per imitare e solidarizzare con il bizzarro comportamento del suo piccolo di 5 anni.

Il padre, definito dai media “premuroso di sani principi”, non poteva certo obiettare al ragazzino che la gonna la usano le femmine, ma da “attento educatore” all’eguaglianza di genere ha preferito indossarla insieme al bimbo e passeggiare allegramente per le strade di Berlino. Dopotutto, si giustifica Nils, «non mi sta neppure così male».

Il problema è nel fatto che oggi se ne trovano molti di genitori così, (che, beninteso, grazie al cielo non arrivano ad indossare abiti dell’altro sesso), che accettano la teoria su l’eguaglianza di genere o cosiddetta “teoria del Gender”, e che la insegnano ai propri figli come corretta educazione per la crescita. Ritenuta corretta perché neutra, relativista, dunque svuotata del concetto di “educazione”. Ma cosa è questa fantomatica “Teoria del Gender” ? Cercherò in poche parole semplici di spiegarla.

Tradizionalmente gli individui vengono divisi in uomini e donne sulla base delle loro differenze biologiche, infatti il sesso e il genere costituiscono un tutt’uno. La “Teoria del Gender” propone invece una suddivisione, sul piano teorico-concettuale, tra questi due aspetti dell’identità:
a) il sesso (sex) che costituisce un corredo genetico, un insieme di caratteri biologici, fisici e anatomici, maschili o femminili.
b) il genere (gender) che rappresenta una costruzione culturale, la rappresentazione, definizione e incentivazione di comportamenti che rivestono il corredo biologico e danno vita allo status di uomo, donna, gay, lesbo, trans, bisex e altri 17 generi, secondo la “Australian human rights commission”.

Il genere, secondo questa teoria, diventa un prodotto della cultura umana, il frutto di un persistente adeguamento sociale e culturale delle identità, ed è per questo che un uomo può illudersi di “scegliere” di diventare donna e così via. In sostanza, il genere è un carattere appreso o che io scelgo a mio piacimento, non qualcosa di pre-esistente.

Niente di più menzoniero. Come già sosteneva Sigmund Freud, che certo non lo si può definire un oltranzista cattolico, l’uomo e la donna sviluppano la propria psicologia interiorizzando il proprio corpo sessuato durante l’infanzia e l’adolescenza. Quando questo non accade, i soggetti non accettano il proprio corpo reale rappresentandone uno che non corrisponde alla loro realtà personale: il corpo immaginato è diverso dal corpo reale e da questo passo si arriva ad identificarsi per ciò che non si è, portando questi soggetti difronte ad un disorientamento sessuale.

Anche il Dott. Roberto Marchesini, noto psicoterapeuta, in una intervista alla rivista Il Timone, parlando della “teoria del Gender” così esplica : «Innanzitutto si tratta di un atteggiamento di ribellione nei confronti della realtà che non può che aumentare la sofferenza e l’angoscia nell’uomo. Secondariamente, questa teoria porta ad una visione che muta radicalmente la natura dei legami relazionali. La relazione, anche sessuale, non è più il compimento di un progetto della natura umana, ma diventa questione di scelta, anche ideologica, sradicata dal livello biologico, persino variabile nel tempo. Infine, come è nel destino di ogni ideologia, anche la “teoria del gender” si sta trasformando quasi in una dittatura, che limita la libertà di pensiero e di espressione e discrimina chi non si adegua a questa visione dell’uomo».

Signori, la natura, (apparte i casi facenti riferimento a gravi patologie, quali l’ermafroditismo) è costituita da maschi e femmine, uomini e donne, un motivo dovrà pur esservi. Non è dato a noi scegliere il proprio sesso, ma bensì di riconoscerlo, di rispettarlo ed identificarci in esso, “c’est la vie”. Quindi vi do un consiglio, se un domani vostra figlia vi chiedesse di farle la barba rispondete così: «No tesoro, la barba se la fa il babbo, semmai quando sarai più grande tu al suo posto ti metterai sulle labbra un bel rossetto», vedrete che la bambina non si scandalizzerà affatto.

Niccolò Corsi

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Isabella Cazzoli (UAAR): «abolire l’uso di “uomo” e “donna”»

E’ uscito in Italia il volume La teoria del «gender» e l’origine dell’omosessualità – Una sfida culturale (San Paolo 2012), scritto dallo psicanalista di fama internazionale, Tony Anatrella, specialista in psichiatria sociale, gesuita e docente alle libere Facoltà di filosofia e psicologia di Parigi e al Collège des Bernardins (persona fortemente discriminata dalla lobby gay, denunciato per reati sessuali e poi assolto dalla Giustizia francese per infondatezza delle accuse, servite solo per giustificare una feroce diffamazione mediatica)

Intervistato su “Tempi.it”, lo psicanalista ha parlato delle conseguenze che si avranno nel prossimo futuro a causa della “teoria del Gender”, ovvero la negazione della differenza sessuale fra l’uomo e la donna. Occorre osservare che nei Paesi secolarizzati, la propaganda ideologia omosessuale trova spesso come alleati i laicisti militanti, per due motivi sostanzialmente: innanzitutto perché questi ultimi hanno bisogno e intenzione di combattere  a priori ogni posizione della Chiesa cattolica, ed essendo essa critica verso il comportamento omosessuale (non verso gli omosessuali, come specifica il “Catechismo”, poiché si scinde sempre il “peccato” dal “peccatore”, a cui è dovuto pieno rispetto), gli ateisti non possono che assumere una posizione opposta. In secondo luogo, questa alleanza sussiste per la volontà comune di diffondere l’idea della neutralità sessuale, ovvero il diritto di definire in maniera ideologica quello che si è, i proprio connotati sessuali, quel che si può essere, cambiare l’identità a piacimento e quindi agire poi di conseguenza, come ha spiegato recentemente l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, mons. Silvano Maria Tomasi. Per quanto riguarda l’ateista, è una volontà di estrema emancipazione da Dio, dal Creatore, è l’uomo ateo che vuole farsi dio di se stesso e illudersi di decidere quel che invece è già deciso, perché per quanto si cerchi di immaginarsi diversi, si rimane sempre quel che si è. Non si può scegliere il nostro genere sessuale, come spiega lo psicologo Marchesini.

Non a caso si tratta della battaglia culturale che ha in mente una delle responsabili dell’UAAR (gli atei fondamentalisti italiani), Isabella Cazzoli, tesoriera dell’associazione. Per lei, come ha scritto, la battaglia culturale da combattere è «arrivare all’abolizione del sostantivo “uomo/donna” per sostituirlo con “persona”». Abolire il significato di “uomo” e “donna”, staccandosi dalla propria natura, perché ognuno si illuda di essere quel che vuole. Occorre ricordare alla Cazzoli, comunque, che lo stesso termine “persona” è un concetto filosofico-teologico introdotto per la prima volta dal Cristianesimo, anzi, fino a Gesù neppure esisteva né in greco né in latino una parola per esprimere tale significato.

 Fa piacere comunque rivedere la Cazzoli in attività, anche perché nella sua ultima uscita pubblica (vedi video qui sotto) non ha fatto proprio una bella figura.

 

Qui sotto il confronto tra Isabella Cazzoli e Vittorio Sgarbi a “Domenica5”

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Spagna: un libro contro l’ideologia di genere, il cosiddetto “lavaggio del cervello”

Dopo l’enorme successo del libro di Richard Cohen sugli ex-omosessuali in Spagna, ecco pubblicato un volume intitolato “La ideología de género” (“L’ideologia di genere”) dell’avvocato e docente di Bioetica presso la Universidad Libre Internacional de las Américas de Uruguay, Jorge Scala, appena pubblicato in lingua portoghese e spagnola.

Nell’intervista di ZENIT al professore ci viene spiegato il significato del libro e le implicazioni dell’ideologia di genere nella nostra società: «il sesso sarebbe l’aspetto biologico dell’essere umano, e il genere sarebbe la costruzione sociale o culturale del sesso. Questo significa che chiunque sarebbe in assoluta libertà, senza condizionamenti, di determinare un proprio genere, dandogli il contenuto che si desidera e variando il genere quante volte si vuole. Ora, se questo fosse vero, non ci sarebbero differenze tra maschio e femmina, ad eccezione dei dati biologici; qualsiasi unione tra i due sessi sarebbe socialmente e moralmente buona, tutti potrebbero sposarsi, ogni tipo di matrimonio porterebbe a un nuovo tipo di famiglia. Questo è tutto così assurdo, che può essere imposto solo con una sorta di “lavaggio del cervello” globale».

Il problema, continua il bioeticista, «purtroppo è più profondo e più complesso anche a livello giuridico. L’ethos è ciò che un popolo considera giusto o sbagliato, dal profondo del suo cuore, non importa cosa dicono le leggi, comprende anche ciò che ognuno fa nella propria vita. L’occidente ha perso il suo ethos comune che fino a 30 o 40 anni è stato il cristianesimo». Il prof. Scala vede la causa di questo nel liberalismo che «ha fatto si che molte persone credano che la moralità sia una questione privata e personale. Per alcuni è bene mentire, rubare, uccidere, fornicare, e se tutte le opinioni sono uguali e valgono allo stesso modo non ci sarebbe possibilità di controbattere. L’unico modo per vivere in una società è che le leggi “impongano” un certo ethos, che deve essere accettato da tutti. Nei nostri parlamenti si promuovono leggi su tutti i tipi sul genere, si cerca di formare un nuovo ethos per il nostro popolo. E se il sesso diventa ethos, il sistema totalitario funzionerà al meglio».

Le conseguenze per le future generazioni saranno gravi: «Ho  tenuto una lezione su questa ideologia a tutti gli insegnanti di una città di 7.000 abitanti in una zona rurale della mia provincia. Gente semplice. Verso la fine un insegnante ha detto ad alta voce: “Ora capisco perché pochi giorni fa mio figlio di 7 anni mi ha chiesto: che cosa  sono? Ragazzo o ragazza …?”. La persona formata e matura è immune a questa ideologia, ma se lasciamo confondere i bambini fin dalla prima infanzia con film, TV, scuola, radio, riviste, in molti casi si finirà per rimpiangere tragedie di tutti i tipi». La posizione del prof. Scala è la stessa del prof. Marchesini, di cui abbiamo già parlato in passato. Per approfondire ulteriormente segnaliamo questo articolo e una serie di relazioni pubblicate su “Il Timone (consultabili dopo una registrazione gratuita).

Antonio Tedesco

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Neutralità educativa: esperimenti sessuali sulla pelle dei figli

Lorraine Candy, redattore capo della rivista inglese “Elle Magazine” e mamma di tre figli, ha raccontato in un articolo sul Dailymail la sua scelta educativa: «Ho lasciato mio figlio Henry dormire con una camicia da notte, dopo che ho rinunciato a cercare di fargli mettere un pigiama. Più tardi, ha preso ad autochiamarsi Stephanie, Jean o, più frequentemente, Miss Argentina. Il suo gioco preferito era indossare vestiti di paillettes, giocare alla boutique o al parrucchiere nel suo salone “Slapchicks”, con le sue due sorelle più grandi».

Dapprima Lorraine davanti alla passione del figlio per gli abiti femminili ha deciso di assecondarlo, finchè la situazione cominciò a diventare più pesante: «Chi veniva a casa nostra pensava avessimo tre femmine perché raramente indossava vestiti da maschio. Diceva di preferire indossare qualcosa di ‘più comodo’: abiti, gonne, collant e costumi da principessa. 
In un primo momento ho lasciato andare avanti tutto così perchè mi pareva di renderlo felice. Mio marito si scandalizzava nel vedere il suo unico maschio in tutù. “E’ solo in contatto con il suo lato femminile, gli dicevo io». Si può ipotizzare, da tutto questo, che lei sia a favore di ciò che è stato definito “gender neutral parenting”, ovvero il mito (perché è un’illusione!) del genitore neutrale e distaccato che non educa i propri figli perché crescano a modo loro. E’ una versione del  mito dell’androgino con il quale si  intende distruggere la disuguaglianza fra uomo e donna: non devono più esistere né uomo né donna, ma un solo unico sesso, senza più distinzioni di alcun genere, a partire dal nome. E’ oggi una delle mode più trasgressive: fare esperimenti sessuali sulla pelle dei propri figli. E’ lo stesso approccio adottato anche da Beck Laxton e Kieran Cooper, la coppia che ha fatto notizia tempo fa per non aver voluto rivelare il sesso del loro figlio (maschio) a nessuno.

Tuttavia Lorraine ha anche raccontato come ad un certo punto si sia resa conto della brutta strada nella crescita di suo figlio: «Allora, da dove proviene l’amore per i vestiti femminili? All’inizio, per mio marito ed io è stato molto difficile comprendere. Mi sono buttata sui libri per genitori, i quali mi hanno indicato che si trattava probabilmente del fatto che Henry adorava le sue due sorelle maggiori e voleva essere “nel loro club”.
 A quanto pare, tutti i bambini hanno bisogno di “appartenere” e di avere fiducia. Prima che iniziasse ad andare a scuola, Henry vedeva nelle sorelle i suoi simili quindi voleva indossare ciò che loro indossavano e giocare come loro giocavano, ma quando ha compiuto quattro anni i ragazzi più grandi cominciarono a ridere del suo abbigliamento femminile.
 Non potevo sopportare di vederlo scappare a cambiarsi vergognandosi. Mio marito ed io abbiamo deciso di aspettare il quinto compleanno di Henry nel mese di novembre per dargli la notizia che non ci sarebbero state più paillettes, nomi femminili etc. 
Era leggermente turbato, ma non eccessivamente preoccupato. Egli non comprendeva appieno il motivo ma dall’inizio della scuola a settembre sarebbe diventato più consapevole della differenza tra maschi e femmine comunque.
 Ha chiesto se avesse potuto farlo solo in occasioni speciali e noi abbiamo risposto di sì. Ma poi non lo ha più chiesto».

Concludendo, in tutta la vicenda la più turbata sembra esserne uscita la stessa Lorraine, che ha visto volatilizzarsi l’alter-ego di suo figlio che lei stessa aveva creato. Non si è ancora convinta di avere sbagliato, anche se riconosce che «i genitori come quelli di Sasha dovrebbe ricordarsi che quei primi anni preziosi appartengono ai loro figli, e non a loro». Purtroppo il “caso Sasha” non sembra essere isolato: lo scorso anno negli Stati Uniti i genitori di un bambino di 5 anni chiamato Dyson hanno scritto un libro intitolato “My Princess Boy” e sono apparsi in televisione con lui vestito in tutù. A sentir loro, doveva essere un “ragazzo manifesto” per un cambiamento radicale del pensiero generale. In Canada nel frattempo un altro ragazzino, di nome Storm, veniva usato per pubblicizzare il “gender neutral” mentre in Svezia una coppia lesbica sta crescendo un figlio senza “genere”. Il suo nome è Pop e con lui le “genitrici” non usano i pronomi “lui” o “lei”. Tutt’ora il sesso biologico del bambino/a rimane un segreto. Nel Regno Unito l’ultima frontiera per l’ideologia dell’uguaglianza assoluta tra maschi e femmine risiede nella proposta di un’importante bioeticista di finanziare l’utero artificiale per le donne, così da emanciparle da quei “relitti ancestrali e barbari” chiamati gravidanza e parto.

Antonio Tedesco

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