Dall’«ebraicità di Gesù» alla «cristicità dell’ebraismo»: il percorso della ricerca storica

gesù ebreoCon questo articolo siamo lieti di dare avvio alla collaborazione con don Silvio Barbaglia, biblista e docente di Scienze bibliche presso lo Studio teologico “San Gaudenzio” di Novara, istituto affiliato alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano. Da poco ha pubblicato il volume Gesù e il matrimonio (Cittadella 2016), ed è anche autore di Il digiuno di Gesù all’ultima cena. Confronto con le tesi di J. Ratzinger e di J. Meier (Cittadella 2011), è diventato noto al grande pubblico in particolare per aver ottimamente confutato le tesi di Luigi Cascioli sulla non esistenza storica di Gesù di Nazareth.

 

di don Silvio Barbaglia*
*docente di Scienze bibliche presso lo Studio teologico “San Gaudenzio” di Novara

 

Come è noto, la Terza ricerca sul Gesù storico è stata caratterizzata dalla riscoperta della cosiddetta «ebraicità di Gesù»; si è sostenuto con forza, in queste posizioni, che Gesù fosse anzitutto ebreo e che appartenesse, dalla sua nascita e per la sua provenienza, a quelle strutture culturali del mondo ebraico, anzitutto.

Invece, l’immagine di Gesù, promossa dalla tradizione credente e dalla critica, nel corso della storia della ricerca, era centrata sull’istanza dell’originalità di Gesù rispetto al suo contesto storico, funzionale a coglierne l’unicità e la peculiarità entro tale originalità; all’opposto, la linea interpretativa che volle vedere e rileggere Gesù nel suo contesto culturale ebraico – promossa in buona parte da alcuni eminenti studiosi di parte ebraica e non solo – ha condotto sempre più ad assottigliare tutti gli aspetti di originalità delle posizioni e delle azioni del Nazareno nel suo contesto, fino a rendere il paradigma dell’unicità e della peculiarità di Gesù sempre più inconsistente e frutto di operazione meramente ideologica, lontana da una presunta fedeltà storica. Questa è, in sintesi, oggi, la posta in gioco della deriva scaturita dalla riscoperta dell’«ebraicità di Gesù».

Occorre però rimarcare un elemento di novità in tutto ciò. Le ricerche pubblicate dal rabbino Daniel Boyarin e del suo seguito, in tema di «ebraicità di Gesù», hanno contribuito, in anni recenti, ad assottigliare ulteriormente le differenze tra Gesù e il suo contesto giudaico nella linea, però, di riconoscervi già in origine, una connessione stretta e connaturata tra ebraismo e cristianesimo, nel momento dell’origine (I secolo d.C.); poiché non di due religioni si trattava ma della stessa, entro distinte forme di comprensione delle identiche fonti e riferimenti istituzionali e legislativi. Diversamente, però, da come il teorema dell’«ebraicità di Gesù» era prima declinato – sostenendo che gli elementi di netta differenza tra ebraismo e cristianesimo fossero opera dell’interpretazione ecclesiale ma non certo del Gesù storico – Boyarin ritiene, in controtendenza, che questi stessi tratti (come la divinizzazione del personaggio gesuano, l’idea di una divinità sdoppiata in Padre e Figlio, di un redentore Dio e uomo insieme, soggetto agente di un processo di salvazione con la sua morte e resurrezione) sono già tutti inscritti e attestati tra i Giudaismi del Secondo Tempio, e l’esperienza storica di Gesù si sarebbe collocata in dialettica con tali aspetti.

Ciò che tradizionalmente veniva inteso come il «pacchetto teologico» della differenza e novità assoluta del cristianesimo, secondo il Boyarin, è invece già presente e preparato dallo stesso Giudaismo: l’originalità di Gesù consisterebbe, invece, nell’avere rivolto a sé e, con lui i suoi seguaci, tali caratteristiche già presenti nelle tradizioni teologiche di alcuni Giudaismi del Secondo Tempio. Il paradosso di tale esito di ricerca sull’«ebraicità di Gesù», che originariamente aveva spinto verso una radicalizzazione della differenza e della distanza tra Gesù e il Cristo, tra l’ebreo di Galilea e la Chiesa di Paolo, giunge con queste più recenti interpretazioni a ritrovare una sintesi di unità tra quelli che si ritenevano essere aspetti inconciliabili proprio in seno allo stesso ebraismo.

Questo significa riqualificare lo stesso paradigma dell’«ebraicità di Gesù»: non più teso a strappare il Gesù storico al cristianesimo, per ricollocarlo tra i suoi pari, nel contesto giudaico del primo secolo, attribuendo unicamente alla comunità primitiva la responsabilità d’avere, in qualche modo, tradito la realtà storica e l’intenzionalità originaria del proprio maestro, bensì rileggere e rieditare le stesse radici giudaiche al fine di aprirle ad interpretazioni che il cristianesimo ha fatto proprie nella storia, ma che già risiedevano presso la coscienza ebraica del I sec. della nostra era. Più che una relativizzazione del personaggio cristologico di Gesù di Nazaret, tale posizione tende ad un ampliamento di prospettive dello stesso contesto culturale e religioso dell’ebraismo di allora, troppo spesso letto in antagonismo con le idee teologiche che il cristianesimo ha fatto proprie e quindi ritenuto alieno a ciò che di più proprio appartenne al cristianesimo delle origini.

Questo tipo di apertura, dopo l’epoca della scoperta dell’«ebraicità di Gesù» vede ora, potremmo dire, una riscoperta della «cristicità dell’ebraismo», ovvero di quelle categorie storiche e teologiche che il cristianesimo delle origini è andato a rivisitare perché presenti nelle operazioni stesse della ricerca midrashica sulle Sacre Scritture, ricerca già avviata e istruita dallo stesso rabbì Gesù. La conseguenza più diretta che ne scaturisce è quella di far cadere la tradizionale frattura storica ed ermeneutica che ha caratterizzato tutta l’epoca della riscoperta dell’«ebraicità di Gesù» e, ancor prima, della ellenizzazione del cristianesimo: ovvero la rottura tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, dove al primo corrispondeva l’istanza storica, meramente ebraica e al secondo l’interpretazione di una chiesa in missione e quindi profondamente ellenizzata nei suoi contenuti e intenti; il tutto a discapito di una continuità nella fedeltà storica del dato originario. Tale prospettiva più recente offre forse più chances nel ripensare una continuità sistemica già connaturata allo stesso alveo originante dove si diffuse l’input iniziale che diede vita ad una costellazione ideologica basilare e identitaria del personaggio Gesù di Nazaret, fondata su attese e riletture convalidate da alcune linee teologiche già preparate e attestate in alcuni Giudaismi del Secondo Tempio.

La stessa istanza universalistica che ha caratterizzato la missione del Giudaismo cristiano del I sec. è possibile rintracciarla al livello del Gesù storico in dialettica con il teorema maggioritario dei gruppi giudaici, quello universalistico-gerosolimitano che vedeva il convenire di tutte le nazioni a Gerusalemme, al monte Sion, verso il Tempio (cfr. Is 2,1-5 e Mi 4,1-3), sostenuto ulteriormente dall’opera di Erode il Grande e i suoi successori per l’ampliamento dell’area templare al fine di favorire al massimo livello le feste di pellegrinaggio e la centralizzazione dell’unico luogo di culto, con evidenti ricadute economiche di profitto. La posizione di Gesù si colloca invece entro uno schema che relativizzava il principio dell’unicità del luogo di culto in Gerusalemme, in difesa della libertà di Dio Padre di entrare ed uscire dal suo Tempio, e di abbandonarlo a motivo dell’infedeltà del popolo eletto; teologia conosciuta e consacrata nel libro santo del profeta Ezechiele che, dall’esilio, vede la «gloria del Signore» lasciare ed allontanarsi dal Tempio. Posizione teologica che Gesù fa propria, in territorio critico, come la Samaria: «Né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre…» (cfr. Gv 4,21ss).

E su queste e molte altre premesse vissute e difese fino alla morte da Gesù ha avuto inizio una storia millenaria di testimonianza di fede. Tale prospettiva richiede di prendere le distanze anche rispetto ad alcune conclusioni o sollecitazioni di Daniel Boyarin ma di trattenere l’intuizione di fondo, funzionale ad ampliare le facce del poliedro dell’interpretazione giudaica della cristologia, in origine.

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12 commenti a Dall’«ebraicità di Gesù» alla «cristicità dell’ebraismo»: il percorso della ricerca storica

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  1. lorenzo ha detto

    Questo concetto era già stato espresso nella lettera ai Galati: “Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.” (Gal.4.4,5)

    • Hugo ha detto in risposta a lorenzo

      concordo, ricordando che gesù ha più volte violato la stessa legge mosaica, rivoluzionando e compiendola con i suoi gesti e parole, innovando completamente il messaggio dell’antico testamento, era ebreo ma volle creare qualcosa di nuovo se si può dire in termini spiccioli.

      • Licurgo ha detto in risposta a Hugo

        Io non ricordo che Gesù abbia mai violato tout court la legge mosaica, ma semplicemente la leggeva fuori dall’ottica ossessiva del fariseo.
        Sul sabato si appiglia al precedente del Re David, sul miracolo fatto nel sabato egualmente si appiglia al fatto della necessità (chi di voi se gli cade un asino nel burrone di sabato non lo tira fuori?), e, soprattutto, riprende un topos tipico delle discussioni ebraiche del tempo sul fatto che il sabato è fatto per l’Uomo e non viceversa.
        L’articolo ha ragione: noi conosciamo principalmente il giudaismo farisaico perchè era quello al potere, perchè è quello che fondamentalmente è sopravvissuto nell’ebraismo odierno, ma sembra proprio che già allora ci fossero moltissime interpretazioni, e quella contro lo zelo legalista era già presente ad esempio in Hillel.

        • Licurgo ha detto in risposta a Licurgo

          Precisazione: non dico che Gesù non abbia avuto in mente di essere Dio e dunque di fondare un culto differente, questo sarebbe un discorso molto lungo e che esula dalle mie capacità: dico solo che quando si poneva agli ebrei del suo tempo non violava mai la legge mosaica ma la temperava con l’umanità e lo spirito, dentro un percorso interpretativo che nella sua epoca già si stava dando in seno allo stesso giudaismo.
          Fosse anche per il semplice fatto che se si fosse messo a violare palesemente senza appelli tradizionali la Torah o a dichiararla non valida, il suo ministero sarebbe durato qualche settimana ad andare bene 😉

          • Hugo ha detto in risposta a Licurgo

            si, per violava intendevo dire che la re-interpretava, la leggeva fuori dall’ottica dei suoi contemporanei come hai scritto tu.

            • Licurgo ha detto in risposta a Hugo

              Il mondo ebraico ha sempre avuto grossi problemi con la Torah: posto che nella sua rigida osservanza di tutte le mitzvot era quasi impossibile da applicare anche allora, ci si domandava su quali articoli della Torah fossero preminenti in caso di impossibilità di osservarne diversi assieme, e di solito, almeno nelle versioni meno ossessivamente legate al precetto come tale, si favoriva lo spirito dei dieci comandamenti che in qualche modo fondano l’asse di riferimento della Torah.
              Gesù, ampliando Hillel, arrivò a dire che le due più importanti mitzvot (in quanto già presenti nella Torah) sono quelle di amare Dio e il prossimo come se stessi, chiarendo che il prossimo non è solo l’ebreo (la parabola del buon samaritano è lampante, ma ci sarebbero diversi esempi), fino ad innovare la Torah dicendo ‘Ama (che nel modo di esprimersi semita, fatto di contrapposizioni e trapassato nel greco koine, equivale quantomeno a ‘non odiare’) il tuo nemico’, che però anche qua non nasce dal nulla, poichè c’è un precetto (non ricordo se del Tanak o del Talmud) in cui si dice che, in condizioni di difficoltà (se si azzoppa l’asino ed esempi simili), il tuo nemico deve diventare come un tuo prossimo.
              Ripeto, per chiarirci, che qua parlo del solo rapporto di Gesù con l’ebraismo e il giudaismo del suo tempo, non della sua divinità e del cristianesimo, che è altro tipo di problema, in quanto non c’è bisogno di presentare, come si usava un tempo, una netta e costruita discontinuità di Gesù col giudaismo per poter affermare, da parte di chi ha fede, i fondamentali del cristianesimo.

        • Vincent Vega ha detto in risposta a Licurgo

          Ora anche Papa Francesco sta cercando di ricordare che la Legge è per l’uomo e non l’uomo per la legge, e i moderni farisei gli remano contro. Ma non possono porre veti all’ispirazione della terza persona della Trinità, lo Spirito Santo, che è Dio. 🙂

      • lorenzo ha detto in risposta a Hugo

        Non è esattamente questo che intendevo: io intendo le parole “pienezza del tempo” come il punto di arrivo di un percorso nella ricerca di Dio fatto di piccoli passi (dal politeismo al monoteismo, da un Dio legato ad un luogo ad un Dio personale, nazionale, universale), ormai arrivato ad un vicolo cieco e che è potuto andare oltre e continuare solo grazie all’Incarnazione.

  2. David ha detto

    Effettivamente é un punto di vista originale anche se ritengo che la non difficoltá di Gesù sia facilmente argomentabile

  3. Hugo ha detto

    bell’articolo, punto di vista inedito direi. non conoscevo boyarin…approfondirò…

  4. Panthom ha detto

    Benvenuto a don Barbaglia, ricordo di aver letto e apprezzato i suoi articoli al tempo di Cascioli…bello ritrovarlo qui tra noi!

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