La morale laica non può avere un fondamento razionale

engelhardt_dopo_dioIl filosofo americano Tristram H. Engelhardt è certamente uno dei più importanti bioeticisti al mondo, direttore del “Journal of Medicine and Philosophy” e docente di Filosofia presso la Rice University. In questi giorni è uscito il suo ultimo volume: “Dopo Dio. Morale e bioetica in un mondo laico” (Claudiana 2014), nel quale –come è stato ben recensito– raggiunge il culmine del suo pensiero, o meglio della sua critica alla possibilità di fare affidamento alla ragione per la costruzione di una morale “laica”.

Egli ad esempio scrive che «una corretta argomentazione razionale non è in grado di fornire un fondamento canonico alla morale o alla bioetica laiche […]. Ho osservato, altresì, che la cultura laica oggi procede senza alcun riferimento a Dio e ho spiegato le ragioni per cui, di conseguenza, non possono esistere né una morale laica comune né una bioetica laica canonica» (p. 26). E’ un tema che il celebre filosofo ha già trattato in suo precedente libro: “Viaggi in Italia” (Le lettere 2012) nel quale, ha scritto: «al centro dell’attenzione ci sono le questioni filosofiche laiche fondamentali concernenti la capacità, o meglio l’incapacità, della riflessione morale laica di dare fondamento alle proprie pretese. Il libro non analizza con sufficiente ampiezza la svolta profonda prodotta nella cultura dominante dell’Occidente dal fatto di essere diventata una cultura dopo Dio. Che cosa comporti la perdita di un significato ultimo, di un orientamento trascendente, è problema che ancora attende di essere affrontato compiutamente».

Nel suo ultimo volume riprende e amplia questa tesi: «Il fatto più significativo è lo sganciamento della morale e dell’autorità dello stato da qualsiasi allusione a un significato ultimo. Poiché la cultura laica dominante del nostro tempo si colloca dopo Dio, la riflessione morale laica non può che occuparsi di ogni cosa come se essa non venisse da nessuna parte, non andasse da nessuna parte e non avesse alcuno sbocco finale. Deve trattarsi, cioè, di una morale e di una struttura politica costruite come se moralità, vita morale, strutture politiche e stati fossero in ultima analisi privi di significato. Il punto non è semplicemente che in un universo senza Dio non esiste alcuna sanzione necessaria nemmeno per atti di malvagità enormi. Tutto è in definitiva assolutamente privo di senso. La forza di questa completa e impenetrabile opacità è ancora in attesa di essere adeguatamente misurata e affrontata» (p.46).

In un suo recente intervento ha ribadito: «Senza fondamenti, e senza una prospettiva divina, non si può dimostrare che abbiano una priorità razionale cogente né la comunità anonima di tutti gli individui, né la comunità di coloro che amiamo e a cui restiamo fedeli. Una volta separate dal proprio ancoraggio in Dio e/o nell’essere (il che significa in una metafisica), tutte le morali e le bioetiche secolari diventano più o meno chiaramente narrative morali particolari, socio-storicamente condizionate, che affermano configurazioni particolari di intuizioni morali che si muovono nella dimensione del finito e dell’immanente. A differenza delle affermazioni di obblighi morali fondati su una comune origine divina, che potrebbero essere riconosciute persino da un ateo come putativamente fondate nell’essere – nonostante l’ateo consideri falsa tale pretesa – la morale secolare contemporanea è necessariamente contingente e storicamente condizionata. Tale sradicamento e tale contingenza hanno implicazioni drammatiche riguardo alla forza delle pretese normative avanzate dalla teoria morale contemporanea dominante di stampo secolare su questioni come il significato morale di autonomia, uguaglianza, uguaglianza di opportunità, diritti umani, giustizia sociale e dignità umana». Queste implicazioni drammatiche vengono riassunte dal filosofo americano nella definizione di “stato secolarizzato fondamentalista”, con le sue morali e le sue bioetiche: «La rottura della cultura contemporanea dalla cristianità tradizionale è legata anche all’emergenza degli stati fondamentalisti secolarizzati», ha affermato.

Ma la critica di Engelhardt non è soltanto rivolta ai tentativi laici di fondare una morale che prescinda da Dio («una visione canonica laica della pienezza umana e della condotta umana appropriata non può essere colta in forma adeguata se non facendo riferimento a Dio», p. 38) ma anche alla “legge naturale” e al cattolicesimo, il quale avrebbe sbagliato a voltare le spalle a Gerusalemme in favore di Atene, ovvero avendo deciso di abbracciare la filosofia e la ragione per la giustificazione delle sue affermazioni. Engelhardt afferma invece che la fede non può che reggersi sull’incontro diretto con Dio e non sulla conoscenza di Dio e della morale che la ratio consente di dispiegare. Questo progetto, secondo il filosofo, sarebbe fallito e per questo nelle nostre società si sarebbe passati da un’idea della morale come scienza del corretto agire a un’idea della morale come (semplice) questione di stile di vita (declassamento): parla così di «collasso del progetto etico-filosofico occidentale, elaborato in Grecia nel v secolo a.C., riproposto nel Medioevo e destinato a diventare, attraverso il cattolicesimo romano, uno dei cardini della cultura occidentale del Medioevo, della modernità e dell’illuminismo. La speranza, concepita dall’antica Grecia e abbracciata dal cristianesimo del Medioevo occidentale, di fondare l’etica in una razionalità morale univoca e filosoficamente giustificata è definitivamente sfumata» (p. 45).

Evidenziati i limiti radicali della filosofia morale, Engelhardt afferma che in un mondo post‐moderno e post‐cristiano, quindi, in cui sarebbe fallito il progetto di legare fede e ragione e in cui Dio e i fondamenti sono respinti, lo spazio dei credenti non è quello di essere assorbiti dalla cultura laica dominante, ma la riscoperta delle autentiche radici della fede del Cristianesimo ortodosso, il quale conserverebbe il richiamo alla genuina spiritualità cristiana: il bene non può essere conosciuto attraverso la ragione e a prescindere da Dio, ma solo a partire dall’incontro con Lui.

Se è decisamente condivisibile la prima parte del suo pensiero, ovvero la sottolineatura dell’infondatezza di una morale “laica” fabbricata dagli uomini, o dalla maggioranza di essi, che prescinde da un ordine superiore (ne abbiamo già parlato anche noi: Ultimissima 30/01/12 e Ultimissima 03/07/12), la seconda parte non la riteniamo affatto corretta. Esiste una legge comune nel cuore di ogni uomo che, se usata correttamente, è capace di guidarlo verso il bene anche con il solo uso della ragione. Certo, privati della fede è un cammino tortuoso, faticoso e difficile ma non impossibile. Come ha affermato Pio XII: «Benché la ragione umana, assolutamente parlando, con le sue forze e con la sua luce naturale possa effettivamente arrivare alla conoscenza, vera e certa, di Dio unico e personale, che con la sua Provvidenza sostiene e governa il mondo, e anche alla conoscenza della legge naturale impressa dal Creatore nelle nostre anime, tuttavia non pochi sono gli ostacoli che impediscono alla nostra ragione di servirsi con efficacia e con frutto di questo suo naturale potere». Ha continuato, «si deve dire che la Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore».

Le conclusioni pratiche di Engelhardt è che lo Stato, impossibilitato a risolvere razionalmente le questioni etiche e bioetiche, non debba propendere per nessuna concezione morale. Tuttavia, come ha rilevato il filosofo Giacomo Samek Lodovici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, «se lo Stato è totalmente neutrale dal punto di vista etico, se anche il divieto di usare violenza non è un principio morale, allora non è moralmente biasimabile un soggetto che lo trasgredisce quando può farlo, evitando conseguenze per lui dannose». Questa è una delle contraddizioni in cui cade il filosofo americano, l’altra è certamente che chi non crede in Dio dovrà fare più o meno ciò che crede utilitaristicamente opportuno, senza che gli altri o la legge morale possano interferire. Engelhardt, infatti, negando un sostegno razionale alle sue posizione etiche non fa altro che accomodarsi al pluralismo etico, sconfinando in una pigra neutralità dominata da assenza di valori.

Questo, ad esempio, lo ha portato ad affermare la negatività di aborto, eutanasia ed infanticidio ma sostenendone la liceità. Lo ha fatto ad esempio nel suo “Manuale di bioetica” (Il Saggiatore 1999, pp.155-161) scrivendo: «non tutti gli umani sono persone. Non tutti gli umani sono autocoscienti, razionali e capaci di concepire la possibilità del biasimo e della lode. Feti, infanti, ritardati mentali gravi e malati o feriti in coma irreversibile sono umani, ma non sono persone. Sono membri della specie umana, ma di per sé non hanno lo status di membri della comunità morale laica. Non possono né biasimare né essere biasimati, né lodare né essere lodati; non sono in grado nemmeno di fare promesse, di concludere contratti o di accordarsi su un atto di beneficenza. Per queste ragioni, in termini laici generali non ha senso parlare di rispetto dell’autonomia per feti, infanti o adulti gravemente ritardati che non sono mai stati razionali. Essi non possiedono un’autonomia suscettibile di essere lesa dagli altri. Chi li tratti senza riguardo per ciò che non possiedono e non hanno mai posseduto non li priva di nulla che possa avere una dignità morale laica generale».

Come ha sottolineato anche il prof. Antonio Allegra, docente di Storia della filosofia presso l’Università per stranieri di Perugia, «in uno scenario in cui il riferimento di Dio appare spesso difficile, rinunciare alle armi della razionalità è mossa dalle conseguenze ulteriormente devastanti […]. La difficoltà a procedere in un quadro pluralista che ha rinunciato ai fondamenti filosofici, e le conseguenze incongrue che ne derivano, sono evidenti proprio grazie alle specifiche posizioni di Engelhardt» sulla bioetica.

La redazione

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22 commenti a La morale laica non può avere un fondamento razionale

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  1. Sofia ha detto

    Io invece sono d’accordo su tutto ciò che dice Engelhardt.
    Se esistesse una morale naturale innata non ci sarebbe bisogno di un Salvatore perché ognuno potrebbe arrivarci da solo. Inoltre non esisterebbe tutta questa divergenza di opinioni di cui siamo testimoni sulle cose più basilari come il diritto alla vita.
    Ciò che viene considerato normale, a parte esigue eccezioni, varia molto da una cultura all’altra persino oggi nel “villaggio globale”.

    Cristo nel Vangelo dice che nessuno prima di Lui ha conosciuto Dio, e ciò mi fa pensare all’errore madornale che la Chiesa ha compiuto nell’integrare la morale pagana Aristotelica, che considerava la donna un maschio malriuscito e la schiavitù un fatto di natura non modificabile.

    • andrea g ha detto in risposta a Sofia

      Non sono certo di aver compreso perfettamente il tuo pensiero.
      Ma mi pare che non tenga conto della situazione di corruzione in
      cui si trova il mondo, e quindi ognuno di noi che “dimentica”
      DIO, per far prevalere l’io (autonomo da DIO, appunto).
      L’io che fà riferimento a sè stesso, l’io cioè che ‘glorifica’
      la propria autonomìa da DIO anzichè vederla x ciò che è, la malattìa
      di ogni singolo uomo, ecco questo io non può riuscire, x esempio,
      ad “amare i suoi nemici”, come insegna il Cristo.
      Senza il Cristo (il Salvatore) è impossibile vedere in ogni fatto
      l’opera di DIO, cioè la verità:

      Matteo 10,29

      Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi
      cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia.

    • Paolo Viti ha detto in risposta a Sofia

      Ma la morale non c’entra molto con l’esistenza di Dio a mio avviso, la morale c’entra con il bene e con il male, con il vero e con il falso. L’utilizzo sbagliato della morale non significa affatto che non esiste una legge naturale comune agli uomini, ma semplicemente che la maggior parte degli uomini utilizza male il suo criterio morale. In tutte le culture invece c’è il desiderio del bello, del giusto, del vero ed in ogni uomo c’è la capacità di indirizzarsi verso di essi, seppur in modo imperfetto senza il dono della fede.

      Rimango perplesso sul tuo giudizio circa la considerazione della donna come un “maschio malriuscito”. La Chiesa dunque aveva questa opinione di Maria? E la Chiesa considerava la schiavitù un fatto di natura non modificabile? Ma quando mai? Basta leggere San Paolo per capire che non è vero. Per approfondire: http://www.uccronline.it/2012/11/26/cristianesimo-chiesa-cattolica-e-la-schiavitu/

      • andrea g ha detto in risposta a Paolo Viti

        “la maggior parte degli uomini utilizza male il suo criterio morale”-
        Proprio così, senza il Salvatore ci è impossibile adeguarci alla
        volontà di DIO-

        Lucidamente, scrive San Paolo:

        Romani VII,14-25
        Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato.
        Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
        Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.
        Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
        Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è
        accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di DIO, ma
        nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia
        mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra.
        Sono uno sventurato!
        Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?
        Siano rese grazie a DIO per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!
        Io dunque, con la mente, servo la legge di DIO, con la carne invece la legge del peccato.

      • Dario* ha detto in risposta a Paolo Viti

        Io credo che Sofia non si riferisca tanto alla dottrina cristiana quanto al comportamento che in alcune epoche storiche è stato grossomodo la norma per la comunità cristiana (o per meglio dire per la società tutta, sedicente cristiana) anche se non era compatibile col Vangelo

        • Sofia ha detto in risposta a Dario*

          Esatto Dario

          • Paolo Viti ha detto in risposta a Sofia

            Ah scusate allora, non avevo colto. Però non cambierei la mia risposta: anche gli uomini di Chiesa sono uomini e come tali possono usare male la loro facoltà morale, anche la Grazia non è vincolante, ovvero non basta incontrare Cristo, occorre una maturazione continua della fede. Insomma, non credo che l’uso cattivo e sbagliato della moralità da parte di moltissimi uomini sia una prova valida dell’inesistenza di una legge naturale comune a tutti gli uomini.

      • Sofia ha detto in risposta a Paolo Viti

        Non volevo sostenere che quelle siano concezioni della Chiesa, ma di Aristotele il cui concetto di morale naturale è passato poi nel tomismo.
        Se guardiamo alla natura e alla società vediamo che c’è più prevaricazione che cooperazione. Predatori e prede, ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati.
        Questa non è una degenerazione, è proprio la regola, e come dicevo prima Aristotele li dava come dati di fatto normalissimi.
        Per questo c’è bisogno della Grazia.

        • Sofia ha detto in risposta a Sofia

          E questo è anche il mio argomento contro l’impossibilità di fondare una morale laica, perché senza l’Assoluto tutto può diventare lecito come stiamo vedendo in questi ultimi tempi.

        • Paolo Viti ha detto in risposta a Sofia

          Non sono molto d’accordo che nella società umana la regola sia quella che tu descrivi, invece credo sia proprio l’eccezione alla regola. L’incarnazione di Cristo e il Suo messaggio è servito anche a insegnare ad ogni uomo ad usare correttamente la loro facoltà morale. Infatti per la Chiesa non si salva soltanto chi ha creduto in Dio ma anche gli “uomini di buona volontà”.

          Io nell’umanità vedo tantissime persone che si dedicano agli altri e tantissime altre che stanno a guardare, tuttavia queste ultime riconoscono che c’è un bene nelle persone che si dedicano ai poveri e agli emarginati. E questo conferma che il cuore dell’uomo è lo stesso per tutti. La Grazia c’è bisogno per evitare di perdersi, per evitare di stare a guardare, per evitare di limitarsi a sopravvivere…ma l’io personale è lo stesso per tutti, credenti e non credenti.

    • Dario* ha detto in risposta a Sofia

      Il problema, Sofia, non è che la morale innata non esista ma che è estremamente tenue e debole nell’animo umano quindi è facilmente nascosta o spazzata via. Se però si ha la pazienza di andarla a cercare nel profondo la si ritrova. Il fatto è che senza l’aiuto di Dio (sia che l’uomo ne sia consapevole sia che non lo sia) è un’impresa umanamente impossibile

  2. Andrea Mondinelli ha detto

    Cos’è la legge morale naturale è ben spiegato dal beato Card. Newman nel cap. 5 della lettera al duca di Norfolk:
    “«La legge Eterna», scrive Sant’Agostino, «è la ragione divina o volontà di Dio, la quale comanda l’osservanza e vieta di turbare l’ordine naturale delle cose». «La legge naturale», osserva san Tommaso, «è un’impronta della luce divina in noi, una partecipazione della legge eterna fatta alla creatura ragionevole». Questa legge, in quanto percepita dalla mente dei singoli uomini, si chiama «coscienza» e benchè possa subire rifrazioni diverse passando attraverso l’intelligenza di ogni essere umano, non ne viene per questo intaccata al punto da perdere il suo carattere di legge divina”.
    Altrettanto chiara la Gaudium et Spes:
    “ Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato”.

    • Guido Periotto ha detto in risposta a Andrea Mondinelli

      Se non ci fosse alcuna legge morale naturale, non vi sarebbe alcuna possibilità di reperire norme morali oggettive ed appellarsi ad esse….il diritto regolante ogni umana convivenza risulterebbe inevitabilmente soggetto ad un totale relativismo e/o storicismo che assumerebbero la forma del dominio di maggioranze più o meno illuminate e/o di poteri forti più o meno manifesti…
      Ma Paolo di Tarso non la pensava così e nel secondo capitolo della Lettera ai Romani scrive: “Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati. Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo”.
      Certo, sarebbe interessante studiare a fondo le ragioni per le quali tale legge, progressivamente, nella modernità, è stata negata e/o fraintesa…
      Non credo che tra queste ragioni si possa escludere la seguente: chi non riesce a vivere come pensa, facilmente, finisce per pensare come vive…
      Per quanto riguarda invece il fondamento ultimo della legge naturale, mi sembra invece impossibile dar torto a quanto sostenuto da Engelhardt nel suo ultimo saggio: esso non può che essere teologico.
      Ricordo che su questo punto decisivo, Atheos = A-ethos, proprio in questo sito, tempo fa, propose considerazioni molto lucide e convincenti..

      • andrea g ha detto in risposta a Guido Periotto

        Condivido parola x parola.
        In particolare, “sarebbe interessante studiare a fondo le ragioni
        per le quali tale legge, progressivamente, nella modernità, è stata negata
        e/o fraintesa…”:
        il Cristo afferma che “il più grande comandamento è “ama il Signore Dio tuo
        con tutto te stesso, con tutte le tue forze”.
        Si tratta di un impegno mentale ‘totale’.
        Cercare DIO -che non percepisco con i sensi-“con tutto noi stessi”,
        è indubbiamente difficile, ma è l’avventura a cui ci ha chiamati DIO
        dandoci l’esistenza.

        Gv XVII,3
        “Questa è la Vita eterna, CONOSCERE TE, Unico Vero Dio, e Colui che TU
        hai inviato nel mondo, Gesù Cristo”.

    • Paolo Viti ha detto in risposta a Andrea Mondinelli

      Enormi complimenti ad Andrea e Guido. Grazie infinite dei vostri contributi!

  3. Noemi ha detto

    La morale laica che sostiene che la fede è ” irrazionale” sta ormai mostrando le corde con il “Caso”, l’evoluzione darwiniana e tutte le altre spiegazioni sull’uomo e la realtà che non fanno altro che sottolineare come anche il laicismo abbia punti inspiegabili e irrazionali superiori a quelli che, in apparenza, possono attribuirsi alla fede cristiana.

  4. lorenzo ha detto

    La morale “laica”, a ben guardare, non è altro che una morale integralista sotto altro nome.

  5. muzzusu ha detto

    Il laicismo, inteso come trionfo della laicità, è osteggiato oggi dal cattolicesimo in quanto, quest’ultimo, ancora in maggioranza.
    Quando in maggioranza ci sarà l’islam? E ci sarà, prima o poi.
    Forse abituandoci alla laicità oggi, evitando l’ingerenza del clero cattolico nelle leggi dello stato, saremo più pronti a contrastare la stessa ingerenza futura da parte dell’islam.
    Perché se oggi a scuola ci sottomettiamo ad un crocifisso, domani dovremo mandare le nostre figlio col velo in testa. Che ci piaccia o no. La maggioranza vince, no?

    • Flavio ha detto in risposta a muzzusu

      Il laicismo è la morte della laicità, in quanto tentativo di imporre la visione atea alla società (l’ultimo libro di Flores d’Arcais è significativo), con i rispettivi dogmi al seguito. L’ingerenza laicista nelle leggi dello stato è oggi presente sotto i regimi atei in Cina e in Corea del Nord, mentre la cultura cattolica nella tradizione europea ha garantito da sempre la nascita e lo sviluppo della laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio).

    • Marco S. ha detto in risposta a muzzusu

      Sa qual è la differenza, sig.Muzzusu ?
      Che quando le nostre figlie andranno con il velo in testa, nessuno potra’ lagnarsene, senza perlomeno rischiare un dose di legnate.

      Quindi ci sono simboli e simboli e, non a caso, la sottocultura laicista sorge all’interno del cristianesimo e non nell’islam.

    • Danilo ha detto in risposta a muzzusu

      Qualucono lo interpreti al posto mio perchè non ho capito cosa sta dicendo:

      -Siccome il lacismo sarebbe in minoranza e osteggiata dal cattolicesimo che sarebbe in maggioranza.Per cui:
      -L’islam diventarà la maggioranza.
      -Se quindi contrasto il cattolicesmo allora contrsto l’islam,cosiche l’islam non diventerà maggioranza.
      -Se a scuola c’è un crocifisso domani meteremmo tutti il velo.
      -Siccome la maggioranza vince le condizione esposte si verificheranno.

      L’eutanasia della ragione.

  6. Licurgo ha detto

    Da non credente in religioni definite, dico che se c’è una cosa che ha dato grandezza alla teologia cristiana è stata la Scolastica, Tommaso in particolare: una sapiente fusione di tanto aristotelismo con un po’ di neoplatonismo, e la capacità di definire e ampliare concetti abbozzati in Aristotele stesso.
    Io, fossi credente come quello dell’intervista, non getterei a mare l’approccio razionale con l’ ‘incontro’, perchè senza la possibilità razionale delle sua esistenza, chiunque può dirti che il tuo ‘incontro’ è stata un’allucinazione. Io non credo nella divinità di Gesù, ma penso che chi ci creda non sia un folle proprio perchè attraverso la Scolastica ho capito che non è un’ipotesi razionalmente del tutto impensabile.
    Sulla società laica: da laico dico che in genere l’etica laica si costruisce in base al fine con cui si pensa la società, e allora ecco l’etica liberale o quella comunista o quella liberista o quella fascista o quella colonialista ecc… Il discorso poi rimane con quale parametro si giudica la bontà e necessità del fine: io credo che è qui che nel mondo laico prima o poi ci si dovrebbe confrontare sul serio, anzichè pensare che l’etica laica sia avulsa dai modelli sociali, politici ed economici di fondo.

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